giovedì 29 agosto 2013

Nightmare Detective 2


Akumu Tantei 2

di Shinya Tsukamoto

con: Ryuhei Matsuda, Yui Miura, Hanae Kan, Miwako Ichikawa, Ken Mitsuishi, Hatsune Matsushima.

Horror

Giappone (2008)















Se il primo "Nightmare Detective" (2006) era un thriller in parte convenzionale, in cui l'autore riversava temi ed ossessioni personali per creare un intrattenimento di genere riuscito e visionario, con "Nightmare Detective 2" Tsukamoto torna a sperimentare soluzioni visive e narrative; abbandonato il tema della mutazione del corpo e del rapporto tra l'essere umano e la metropoli, oltre che lo stratagemma narrativo del "trio", il grande regista dirige un j-horror dotato di tutti i crismi del genere, nel quale però fa confluire un'interessante riflessione esistenzialista: gli effetti della paura di vivere.



Ritrovatosi nuovamente solo, l'investigatore onirico Kyoichi Kagenuma (Ryuhei Matsuda) è ossessionato da un sogno ricorrente nel quale rivive la morte della madre; la sua vita viene inoltre nuovamente sconvolta da un nuovo caso nel quale si ritrova invischiato: una giovane studentessa, Yukie (Yui Miura), chiede il suo aiuto per liberarsi da un incubo ricorrente; il brutto sogno altro non è che la conseguenza di uno scherzo giocato ai danni di un'altra ragazza, Yuko Kikukawa (Hanae Kan), giovane disfunzionale perennemente in stato di fobia; le cose si complicano quando le compagne di Yukie cominciano a morire dopo aver sognato Kikukawa, e sopratutto quando Kyoichi scopre che la fobia patologica che affligge Kikukawa è la medesima che affliggeva sua madre.


Il tema della paura diviene centrale, in un'evoluzione tematica diretta rispetto al film precedente; la paura che affligge Kikukawa, e che un tempo affliggeva la madre di Kyoichi, è la fobia di vivere, la paura del dolore inflitto dagli altri ai propri danni; paura generata dalla capacità di avvertire i pensieri altrui, che Kyoichi ha ereditato dalla figura materna; l'empatia totale, lungi dal portare ad una forma di comprensione, squarcia, letteralmente, il velo di ipocrisia e rivela la parte più nascosta delle persone: un lato spaventoso perché privo di empatia, che ferisce direttamente la mente e l'anima di colui che lo osserva; la paura è generata, qui, non da fenomeni soprannaturali, ma dal lato peggiore dell'essere umano, la sua parte più egoista e recondita; egoismo che porta le persone a chiudersi in sè stesse e ad odiare chiunque le circondi: lo scherzo fatto ai danni di Kikukawa si rivelerà essere stato un atto di bullismo vero e proprio, posto in essere da Yukie come forma di sfogo per le frustrazioni dovute al cattivo ambiente familiare in cui è costretta a vivere; egoismo che non risparmia nemmeno il protagonista, che per tutta la prima parte rimane chiuso in sé stesso e si rifiuta di aiutare la giovane ragazza perchè troppo impegnato con i suoi problemi personali.


Nel ritrarre il malessere esistenziale che attanaglia i personaggi, Tsukamoto non manca di dare una soluzione al loro stato: la via d'uscita dalla paura non è la violenza o la distruzione (auto o eteroimposta), che Kyoichi e Kikukawa inizialmente cercano di perpetrare, bensì l'appoggio reciproco, che si estrinseca non tanto nella comprensione delle disgrazie, quanto nell'aiuto e nella sopportazione del malessere altrui; la comprensione, intesa come accettazione del malessere altero, non viene raggiunta dai personaggi nemmeno grazie alla loro capacità esper; l'autore sembra suggerirci come l'unico vero rimedio sia dunque l'empatia verso il prossimo: empatia che non si sostanzia tanto nella conoscenza totale dello stato dell'altro, quanto nella sua accettazione disinteressata.


Tsukamoto costruisce l'intero film come un j-horror anomalo; i momenti di tensione pura, di fatti, non mancano e sono tutti costruiti su sussurri, piccoli gesti e pericoli più suggeriti che mostrati, nella miglior tradizione dell'horror giapponese; tuttavia, la narrazione si basa non tanto su di essi, quanto sull'analisi dei personaggi, in particolare del protagonista Kyoichi, promosso a centro totale della trama; l'autore ne eviscera la complessa psicologia e ne esplora il passato, mostrando l'origine atavica dei suoi poteri; Kyoichi viene dipinto come un uomo schiavo delle sue paure infantili, che non ha mai superato; la paura delle visioni oltremondane, in particolare, lo perseguita ancora nei sogni; è la paura del fantasma della madre, tuttavia, ad essere il principale polo narrativo: l'ossessione dovuta all'incomprensione della figura materna porta il detective a mettere in discussione sè stesso e le sue capacità; il superamento della paura si ha, però, non grazie alle abilità sovrannaturali, ma al confronto tra l'uomo e la sua fobia, che Kyoichi è chiamato ad affrontare come un bambino; la catarsi giunge nel momento in cui egli affronta a viso aperto ciò che lo affligge, e una volta superatolo, si ritrova di nuovo bambino, a piangere sconsolato perchè privato totalmente della vicinanza materna, sia essa anche solo un'ombra del passato.


L'intera narrazione viene poi strutturata dall'autore come una serie di visioni oniriche; il passaggio dalla realtà materiale al sogno si fa in questo seguito ancora più fluida; le visioni sono ora ancora più cariche di elementi simbolici, ma non altrettanto affascinanti; l'atmosfera cupa ed opprimente del predecessore lascia spazio ad un'atmosfera horror più convenzionale e meno visionaria; Tuskamoto riesce tuttavia a creare almeno due sequenze da antologia: lo scontro "allo specchio" tra Kyoichi e Kikukawa e il loro successivo riappacificamento, nel quale i personaggi sono immersi in una natura selvaggia, simbolo della forma primigenia umana perduta nel mondo moderno.


Sequel solo nominale, "Nightmare Detective 2" è una vera e propria evoluzione tematica del suo predecessore; meno convenzionale del primo capitolo, più pregno di simbolismi e profondità tematica, ma anche meno spettacolare, è un ulteriore prova della versatilità dell'autore e della sua verve, ancora in pieno fermento nonostante una carriera di durata quasi ventennale.

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