di Roman Polanski.
con: Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmannuelle Seigner, Grégory Gadebois, Mathieu Amalric, Vincent Perez, Harvé Pierre, Wladimir Yordaroff.
Storico
Francia, Italia 2019
Le immagini più potenti de "L'Ufficiale e la Spia" restano su schermo per pochi istanti. Sono quelle dei roghi dei libri di Zola, della "Notte dei Cristalli" ante literam e della massa che dà del traditore a Dreyfus. Pochi fotogrammi ben centellinati da un Roman Polanski che torna alla sua forma migliore per riportare su schermo il caso storico del capitano dell'esercito francese che, alla fine del XIX secolo, generò scandalo.
Uno scandalo che si comprende in pieno una volta che si inscrive l'episodio nel suo contesto storico. Nella Francia post-rivoluzionaria, su carta, tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge. Ma nei fatti, ovviamente, non è così: l'antisemitismo, figlio delle teorie sulla superiorità della razza che, tempo un quarantennio, porteranno ad un bagno di sangue, è ancora pulsante, presente in tutti gli strati della società.
Lo stesso protagonista Picquart (interpretato da un Jean Dujardin sorprendentemente misurato) è un seguace delle dottrine razziste e anch'esso antisemita. Ciò che lo distingue dai suoi antagonisti è la coerenza di spirito: una volta abbracciato il credo dell'esercito e, di conseguenza, i dettami dello Stato di Diritto, fa di tutto per tenere fede a quel concetto di onore obiettivo, che va oltre le piegature personali della realtà.
La piaga portata in scena da Polanski è quella della mancanza di onore, dell'incoerenza di un corpo militare che, come doppio dell'intera società, poggia su di un concetto inconsistente del medesimo, pronto a piegarsi ad ogni esigenza. Il suo occhio si spinge così tra le pieghe di un sistema arcaico solo su carta, che già fa ampio uso di intercettazioni e furti di corrispondenza come nei tempi moderni, il tutto per snidare un fantomatico nemico, una talpa dai mille volti che alla fine viene fatta impersonare ad un capro espiatorio, ad un uomo ligio al dovere e all'etichetta il cui unico difetto consiste nel professare la religione ebraica.
La corruzione morale prima ancora che giuridica dei personaggi viene portata in scena con immagini che, al contrario delle tematiche, sono incontrovertibilmente perfette, inquadrature ricercatissime nella composizione, nonché talvolta di straordinaria profondità. Un'eleganza stilistica che fa il paio con una sgargiante ricostruzione storica, dove abiti e scenografie si incrociano alla costante ricerca di un "bello" perfetto controaltare del marciume che si annida sotto la patina dei personaggi.
Un film magnifico, questo "J'Accuse", un'opera schietta e profonda la quale, purtroppo, oggi come oggi risulta necessaria, in una società dove l'intolleranza d'accatto la fa, purtroppo, da padrone.
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