lunedì 18 settembre 2023

Io Capitano

di Matteo Garrone.

con: Seydou Sarr, Moustapha Fall, Affif Ben Badra, Issaka Sawadogo, Bamar Kane, Oumar Diaw, Hichem Yacoubi, Princess Erika.

Italia, Belgio, Francia 2023


















Lo stile di Matteo Garrone ha sempre unito gli opposti del realismo a tratti estremo con il surreale, creando una specie di "realismo magico" che non ha eguali nell'attuale panorama cinematografico, poiché riesce davvero a fondere le due istanze alla perfezione.
Su tale, perfetta, unificazione poggia anche "Io Capitano", che, anzi, rappresenta forse lo zenith di questa sua visione, portando in scena il dramma dei migranti in modo crudo e privo di effettivi abbellimenti di sorta, ma iniettando in un racconto di stampo verista delle derive visionarie che ne aumentano il fascino, creando una "favola" dall'incredibile indole umana.



Senegal. Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall) sono due adolescenti comuni, che alternano il lavoro come muratori alla scuola e sognano di diventare dei celebrati musicisti. Dopo aver messo da parte i soldi necessari, i due partono per l'Europa, pur a fronte del diniego della madre del primo. Il viaggio, ovviamente, sarà tutt'altro che facile.




Garrone guarda al dramma dei migranti, ma il suo sguardo si poggia anche su di una realtà praticamente inedita, ossia quella del luogo di partenza. 
Si è abituati a considerare l'Africa come una realtà monolitica, dove la povertà estrema porta ad un disagio insostenibile, immaginandola sempre come una serie di villaggi sperduti dove la gente fa la fame in mezzo alla sabbia. Il Senegal di "Io Capitano" è invece quello più vicino al reale che forse il cinema europeo abbia mai ritratto, ossia un luogo dove la povertà esiste, ma non è estrema e che per questo è in tutto e per tutto simile all'Italia del Secondo Dopoguerra. Le immagini che aprono il film sono in un certo senso le più spiazzanti, con la descrizione di una vita quotidiana lontana dagli stereotipi, dove i giovani protagonisti vivono come in un ritratto pasoliniano, in un mondo dove le scalcinate condizioni economiche non impediscono di trovare una forma di tranquillità, di felicità persino, con le celebrazioni tradizionali che portano gioia e una situazione famigliare di certo non facile, ma neanche impossibile da sopportare.



L'intento di Garrone non è ovviamente quello di criticare chi abbandona una società vivibile per intraprende un viaggio della speranza talvolta futile, come qualche ottuso leghista potrebbe eccepire, bensì quello di dare spazio e corpo ai sogni di due ragazzi che potrebbero essere tranquillamente italiani, due adolescenti che sognano nulla più che una forma di benessere negato in un luogo di nascita disastrato.
Il racconto è quindi inizialmente concentrato sulla pura descrizione del viaggio, ma poco alla volta cambia natura. Di episodio in episodio, con una parata di orrori costante, il personaggio di Seydou si trasforma da ragazzo qualunque che lotta per la sopravvivenza a giovane uomo il quale decide di salvare quante più vite possibili. La sopravvivenza passa dall'essere quella individuale a quella del gruppo, di una collettività che gli eventi votano alla sconfitta, alla morte violenta e, prima ancora, alla perdita totale di ogni umana dignità. Il capitano del titolo è nient'altri che questo ragazzo il quale si carica sulle sue sole spalle la vita di tutti i suoi simili. E nel rifiuto di un finale iperbolicamente drammatico, Garrone evita facili ridondanze e ancora più facili patetismi, creando una storia mai ricattatoria e per questo davvero emozionante.



La descrizione del viaggio affonda le sue radici nella realtà più pura. I singoli episodi sono basati sulla vera esperienza di Mamadou Kouassi Pli Adama, che ha collaborato attivamente alla stesura della sceneggiatura; dalla sua esperienza sono ripresi gli episodi della benedizione degli antenati, così come l'incontro sibillino con l'uomo di mezza età che cerca di dissuadere i protagonisti a partire. E sempre sulla sua storia, è basata la descrizione degli orrori dei campi di prigionia in Libia, con i migranti ridotti e vera e propria carne da macello, res da derubare, stipare in luride stalle e rivendere agli avventori facoltosi.




E' proprio nella descrizione di questo girone dantesco di pura violenza che l'occhio di Garrone raggiunge l'apice della visionarietà: l'immagine di Moussa appeso al soffitto è impossibile da dimenticare, l'ideale icona di quella disumanizzazione imposta a quegli esseri umani colpevoli solo di essere deboli. Tanto che anche l'immagine oramai più iconica del film, il volo della donna del deserto, per quanto esteticamente bella, perde per significato in suo confronto. E per tuto il resto della durata, la regia riesce sempre a creare immagini genuinamente belle, che donano un meritato tocco di interesse anche estetico ad una storia tetra. 
La grandezza di Garrone come narratore va così ricercata nella sua capacità, qui più fulgida che mai, di creare momenti onirici e surreali in una storia realistica, giustapponendo sempre con efficacia sequenze drammatiche, come la travesta sulla "carretta del mare", ad altre genuinamente visionarie, come quelle immagini della traversata del Sahara che potrebbero essere tranquillamente uscite da "Dune", o l'arrivo alla piattaforma petrolifera, descritto come l'approdo in un mondo alieno. Oltre che nella capacità di dirigere un cast di non professionisti in modo eccellente.




"Io Capitano" rientra così di diritto tra i migliori film del grande regista romano, un viaggio vivido e toccante in una realtà che spesso si decide codardamente di ignorare.

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