venerdì 4 luglio 2014

Eraserhead- La Mente che cancella

Eraserhead

di David Lynch

con: Jack Nance, Charlotte Stewart, Allen Joseph, Jeanne Beats, Laurel Near, Judith Roberts, Jack Fisk.

Usa (1977)


















----SPOILERS INSIDE---

Vi è una correlazione innata tra cinema e sogno; il film è un prodotto della mente di una persona, l' "autore", che si affaccia nella mente di un'altra persona, lo spettatore, mediante lo schermo; il film è pensiero, intuizione, riflessione; ma, nel suo connubio indelebile di immagini e suoni, è sopratutto immaginazione, sogno appunto. Il surrealismo filmico di Dalì e Bunuel degli anni '20 altro non era che una estremizzazione di tale concetto: la narrazione convenzionale e dialogica veniva sostituita da un simbolismo ermetico, criptico, talvolta genuinamente enigmatico, ma sempre e comunque pregno di significato; e nella sua opera, David Lynch ha sempre portato avanti e "oltre" le istanze di quel surrealismo avanguardista che furoreggiava nell'Europa dei primi decenni del '900.




Americano di nascita, ma fortemente europeo per la concezione del mezzo cinematografico, Lynch esordisce ancora ventenne nella video-art con una serie di cortometraggi sperimentali e spiazzanti; nella sua genesi artistica viene fortemente (e forse inconsciamente) influenzato da due dei capolavori meno conosciuti di Ingmar Bergman: "Persona" (1966) e "L'Ora del Lupo" (1968), dai quali riprende il gusto per l'onirismo simbolico e le atmosfere distorte e malate; e per tutta la sua carriera svilupperà uno stile unico, in perenne evoluzione tra reminiscenze classiche e avanguardia più pura, che gli permetterà di creare alcune tra le visioni più affascinanti e genuinamente sconvolgenti dell'intera Storia del Cinema.




Il suo è uno stile particolarissimo, che partendo dalla tradizione surrealista classica e da un immaginario talvolta tipicamente americano, trova nuove elaborazioni e rielaborazioni del concetto di visione e simbolo; i film di Lynch non seguono, sovente, un procedimento logico nella narrazione, ma strettamente a-logico; Lynch è l'indagatore dell'inconscio, la sua macchina da presa scandaglia i meandri più reconditi della mente umana per ricrearne la percezione più intima della realtà; il suo occhio filtra il reale e lo rielabora sotto forma di pura visione: il cinema diviene così suprema espressione dell'inconscio alla ricerca di quella realtà nascosta al di là (o per meglio dire "al di sotto") della patina del sensibile che ammanta la vita e la società (americana) coprendone i lati più cupi e terribili, che così riescono a trovare una forma visibile, rivelandosi in tutta la loro grottesca mostruosità.
Ed "Eraserhead" è il suo disturbante esordio nel lungometraggio; prodotto con soli 20.000 dollari dell'epoca e girato nell'arco di quasi cinque anni, questo suo primo incubo d'autore è un viaggio di sola andata nella psiche distorta di un uomo alle prese con orrore tutto personale ed al contempo estremamente universale: la paternità.




In "Eraserhead" compaiono per la prima volta tutti gli stilemi dell'opera futura di Lynch; la scatola nera recante l'ignoto, i flash di luce, la "dark room", il proscenio teatrale, la musica d'antan e sopratutto i personaggi declinati come freaks.
Per comprendere l'intero film occorre partire da un presupposto-base necessario: la messa in scena lynchiana, come detto, non mima la realtà, ma l'inconscio; "Eraserhead" altro non è che un viaggio nella psiche del suo stesso protagonista Henry Spencer (Jack Nance, poi apprezzato caratterista e collaboratore abituale di Lynch), un uomo medio e mediocre la cui vita viene sconvolta dalla notizia della paternità. I temi della generazione e del coito sono qui il perno di tutta la riflessione lynchiana; il film, di fatto, si apre con un'immagine fortissima: nella mente di Henry si fa strada la visione, disturbante e bislacca, di un pianeta alieno, dove un demiurgo monco e sfatto aziona una serie di leve, un meccanismo che fa piovere sulla Terra un feto deforme, che risalirà dalle viscere del terreno da un buco; viene, cioè, generato da una madre e messo al mondo fuoriuscendo dal corpo della stessa.




Henry è impiegato in una tipografia; vive in un distretto industriale reso un vero e proprio inferno in terra: una landa desolata nella quale si ergono dei mostruosi capannoni, avvolta dai rumori perenni di una misteriosa attività siderurgica e ammantata da fumi e liquami di scolo; il delirio post-industriale diviene con Lynch metafora della deriva disumana: forma esteriore di uno squallore ed un malessere totalmente interiore. Henry vive solo, in un piccolo appartamento scarnamente addobbato, nel quale spiccano una pianta secca su di un comodino ed un radiatore che sembra avere vita propria; la routine quotidiana, la "vuotezza" in cui il giovane è perso, viene interrotta da una notizia shock: Mary (Charlotte Stewart), la sua "ragazza" ha partorito un bambino, nato precoce e deforme, e ora i due devono sposarsi.




I due interni principali sono la prima incarnazione della dark room lynchiana: l'appartamento di Herny e la casa dei signori X, i genitori di Mary, ideali archetipi della famiglia-tipo americana; i nidi familiari divengono gallerie degli orrori: la famiglia X è un vero e proprio circo ambulante di freaks, versioni iperboliche della classe piccolo borghese americana; la signora X (Jeanne Bates) è una madre asfissiante, sempre pronta a soffocare chiunque le sia a portata e depositaria di due patologie croniche: l'epilessia e la ninfomania repressa; il signor X è un idraulico logorroico, testimone del cambiamento della zona in cui vivono e quindi fautore della distruzione dell'ambiente un tempo ospitale in cui i personaggi si muovono; la nonna è una sorta di manichino di carne, un burattino perso in una catalessi eterna e usata come strumento da cucina, che sembra muoversi solo quando non viene inquadrata; e infine Mary, l'archetipo della ragazza della porta accanto, anch'essa afflitta da turbe psichiche ed emotive che ne disintegrano la grazia; epilettica, perennemente sull'orlo di una crisi di nervi e del tutto incapace di occuparsi della sua creatura. La famiglia è un circo degli orrori che distrugge definitivamente la psiche di Henry, lo incatena ad una paternità non voluta e ne disvela il lato più distruttivo.




Il parto e la generazione sono per Lynch la primigenea causa dell'orrore; come ne "Il Demone sotto la Pelle" (1975) ed in "Alien" (1979), il coito ed il parto sono descritti come atti mostruosi e forieri di orrori. Il bambino, il frutto di tali atti, è un mostriciattolo repellente, dalla forma solo vagamente umana, i cui occhi spiritati seguono Henry in ogni sua mossa e il cui lamento perenne diviene parte della colonna sonora.
Il feto è un mostro, la paternità una condanna; eppure, è proprio questo "aborto" a rappresentare il personaggio più umano di tutta la pellicola: è lui che ride e che piange, che si ammala e soffre, l'unico a non essere schiavo di vizi o psicosi ma delle sole necessità (il cibo, le cure); necessità che trasfigurano Henry in un orco dalle fattezze di un Harold Lloyd grottesco e allucinato: l'insofferenza verso la creatura lo porta ad un odio strisciante e solo suggerito non tanto verso il coito in sé, quanto verso la generazione, come si evince nella scena del teatro; quella di Lynch non è sessuofobia vera e propria, quanto rappresentazione di una paura inconscia ed atavica: la paura edipica, del figlio che castiga il padre e ne distrugge l'esistenza.




E di fatto Henry giace lussuriosamente con la procace vicina (come si evince dal simbolismo del "bagno tra le lenzuola") e nel suo sogno è il feto a decapitarlo dall'interno, a strappargli la vita per impossessarsene definitivamente.
Quella di Henry è "una mente che cancella", una psiche sottilmente volta verso la distruzione; nella sua testa c'è una gomma, uno strumento per disintegrare qualcosa di creato, di esistente, volto a ridurlo verso il nulla più totale. Nella sua mente vi è un conflitto atavico tra la divinità creatrice e quella distruttrice: la prima è un mostro sfregiato e monco poichè foriero di un castigo, la seconda una bambina dalle forme grottesche ma dal sorriso dolce poichè liberatrice; Henry predilige la morte: agogna la distruzione di ciò che ha creato per liberarsi; nella notte, distrugge i feti generati inavvertitamente da Mary durante il sonno come visto nella sua visione; e nel finale uccide la creatura, ne distrugge il corpo facendolo esplodere dall'interno: uccide così la sua parte creatrice e si unisce a quella disgregatrice; Henry è un assassino: il frutto di una società malata sia sul piano personale (la famiglia) che su quello universale (il mondo trasandato e decadente che attraversa), è un orrore frutto di orrori e creatore di altri orrori, perso in una devianza generata dal disgusto verso un universo (corporale e metafisico) che non comprende e che rifugge.




Il mondo in cui Henry si muove è pura proiezione del suo inconscio; il teatro diviene così rappresentazione totale e definitiva del suo io più profondo, una sorta di "sogno nel sogno"; il teatro è il punto di incontro tra il protagonista e la bambina in bianco, ossia tra l'uomo e l'ispirazione per l'omicidio; al contempo, il teatro diviene luogo ideale della rappresentazione della paura più inconscia di Henry: la morte, avvenuta per decapitazione interna da parte del feto; il teatro è altresì non un semplice non-luogo in cui dare forma al subconscio, ma anche un ponte tra questo e il pensiero più razionale: è per il suo tramite che accediamo alla scena in cui viene mostrato il lavoro di Henry; il palco diviene così nesso tra l'anima e la mente, tra l'io incosciente e quello cosciente.
L'incubo di Henry è forse l'incubo dello Lynch; quello di un uomo che non sa come approcciarsi al suo corpo e ai misteri che esso genera; scioccato da ogni scoperta, ma sopratutto dalla ripulsa che egli stesso prova.


E nonostante lo scarso budget e la relativa inesperienza, l'autore conia già qui uno stile riconoscibilissimo; riprende (per sua stessa ammissione) da Kubrick l'uso spasmodico dei grandangoli per gli interni: le sue dark room sono degli spazi solo nominalmente piccoli, che schiacciano nella loro immensità i personaggi e li separano indelebilmente; la stanza diviene un incubo a parte, una sorta di spazio proscenico nel quale gli attori sono chiamati a compiere movimenti minimi, imbalsamati in pose plastiche come manichini mossi da fili invisibili. Il tempo viene dilatato fino alla non-esistenza: non vi è una cronologia precisa tra gli stacchi, fatta salva la sola linearità nel racconto; l'incubo è perenne e comune a tutti i personaggi, nonostante il punto di vista prevalente sia quello di Henry. E l'influenza degli anni del muto e della televisione viene rielaborata da Lynch per creare un'atmosfera malata unica: i lunghi silenzi interrotti solo dai rumori di scena, la camera fissa per gli esterni, nei quali Henry si muove come un Charlie Chaplin da incubo (tra le prime inquadrature vi è anche un omaggio riconoscibile a "Il Monello"), il bianco e nero contrastatissimo, dove le ombre richiamano la lezione dei maestri dell'espressionismo; e la colonna sonora, con le sue sonorità anni '40 e '50, avvolge tutto in una patina grottesca e delirante; quello di Lynch è un surrealismo squisitamente post-moderno, che si ciba delle influenze del passato prossimo ormai sedimentatesi nell'inconscio dello spettatore per creare una forma nuova, delirante e affascinante.






EXTRA

La tematica della mostruosità insita nel concetto di generazione e nel nucleo familiare era già stata sviluppata da Lynch nel suo mediometraggio del 1970 "The Grandmother", visione obbligatoria per comprendere al meglio il percorso che lo ha portato ad "Eraserhead".


Opera per lungo tempo invisibile, "The Grandmother" è stata edita in Italia da Raro Video nello splendido DVD di "Eraserhead" a partire dal 2009.

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