Uomo dal carattere difficile, scontroso, definitivamente umorale; Brando era solito passare repentinamente dalla serenità più spensierata all'introspezione più cupa. Fortemente provato da un'infanzia non facile e da un'adolescenza avventurosa, aveva il carattere perfetto per l'applicazione del metodo Stanislavskji-Strasberg, che portò ad un livello di drammaticità all'epoca inconcepibile; "metodo" che ridefinì totalmente sin dagli esordi teatrali post-Actor's Studio e che lo impose come l'incarnazione perfetta di una nuova generazione di attori, i quali non mimavano più le emozioni, ma le vivevano sul palco assieme ai personaggi e al pubblico. Stile che portato al cinema ebbe effetti dirompenti: prima di lui nessun attore riuscì ad incidere le sue emozioni su pellicola in modo così vivido e vibrante, a bucare lo schermo per colpire lo spettatore al cuore e alla mente.
Dotato di un carisma inarrivabile, Brando fu anche icona di stile e sex symbol, sogno per le donne e modello di riferimento per gli uomini; ma nonostante la fama, non dimenticò mai il suo lato umano, che anzi sembrava perseguitarlo sempre di più con l'avanzare degli anni; militante della prima ora per l'indipendenza di Israele negli anni '40, apripista nelle marce per i diritti umani degli anni '60, arriva finanche a farsi sparare durante la notte degli Oscar nel '73 per evitare che la polizia espropri le terre di una riserva indiana; impegno pubblico che faceva il palio con una vita privata burrascosa: tre matrimoni, una serie di figli avuti con estranee, il ritiro su di un isola tropicale acquistata appositamente per fuggire dalla società consumistica, da lui ritenuta falsa e ipocrita; e l'ostilità verso chiunque lo venerasse o lo trattasse con rispetto, che gli costò l'amicizia del regista Francis Ford Coppola. Depressione che sfociò anche nella trasfigurazione fisica: l'obesità dovuta ad un appetito insaziabile, volto a colmare un vuoto interiore senza fine.
Oggi, dieci anni dopo la sua scomparsa, è doveroso rendere omaggio ad un uomo che ha dedicato tutta la sua vita all'Arte; e il modo migliore per farlo è ripercorrere i fasti della sua gloriosa carriera.
1951- UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO
Dopo l'esordio sul Grande Schermo con "Il Mio Corpo ti Appartiene" (1950) di Zinnemann, Brando si riunisce con il regista Elia Kazan e porta su schermo la pièce di Tennessee Williams che li aveva già resi celebri a Broadway; coadiuvato da Karl Malden (che poi sarà al suo fianco in molte delle sue successive pellicole), da Kim Hunter e da Vivien Leigh (unica aggiunta al cast per la sola versione filmica), Brando dà vita ad uno dei suoi personaggi più celebri: Stanley Kowalsky.
Perfetto mix di violenza e fragilità, Kowalsky è il maschio alfa, un uomo totalmente incapace di sentire i sentimenti altrui, ma che prova un fortissimo sconforto interiore; affascinante e al contempo agghiacciante, Brando crea per il suo personaggio un look che farà storia: jeans e t-shirt.
1952- VIVA ZAPATA!
Dal carattere indomito e anticonformista, Brando si cala totalmente nei panni di Emiliano Zapata, il leader dei rivoltosi messicani in lotta contro l'oppressione dei padroni; coadiuvato da un esordiente Anthony Quinn (che vinse l'oscar), il grande attore, dalle ataviche origini tedesche, si dimostra più che credibile come messicano, regalando una performance forte ed incisiva.
1953- GIULIO CESARE
Jospeh L.Mankiewicz dirige uno splendid adattamento della più "politica" tra le opere di Shakespeare; Brando è Marc'Antonio, figlio putativo di Cesare che si rifiuta di accettarne l'omicidio; il monologo al popolo romano è semplicemente da brividi.
1953- IL SELVAGGIO
Brando avrebbe voluto fare un film sulla ribellione giovanile dichiaratamente a favore dei ragazzi "scapestrati", che desse voce al loro malessere e cercasse di comprenderne le cause; gli autori volevano invece un semplice film di cassetta da dare in pasto al pubblico affamato di star, motociclette e storie d'amore impossibili; il risultato è una pellicola trascurabile, nel quale però il grande attore crea un'altro look destinato a fare storia: cappello e chiodo; divertente ancora oggi lo scontro con un allora esordiente Lee Marvin.
1954- FRONTE DEL PORTO
Per la terza volta diretto da Elia Kazan, Brando vince il suo primo oscar come miglior attore; sul set gli scontri tra i due erano all'ordine del giorno: il grande regista era stato costretto a collaborare alla "caccia alle streghe " indetta da McCarhty e Nixon, rovinando la carriera di molti autori della vecchia Hollywood; Brando, come al solito dalla parte dei più deboli, arrivò persino a minacciarlo di morte. Il risultato fnale è una pellicola stramba, nella quale le ambizioni "neorealiste" di Kazan si scontrano con le esigenze dello spettacolo, creando un noir "proletario" di sicuro fascino.
1958- I GIOVANI LEONI
Edward Dmytryk crea un perfetto spaccato della II Guerra Mondiale, dando voce tanto alle Forze Alleate quanto ai Nazisiti; a Brando spetta il compito più arduo: interpretare un ufficale della Wehrmacht che scopre suo malgrado tutti gli orrori della guerra; ruolo che all'epoca non mancò di generare scandalo.
1960- PELLE DI SERPENTE
Di nuovo nei panni di un personaggio di Tennessee Williams, Brando viene affiancato dal regista Sydney Lumet ad un'altra grande star dell'epoca: Anna Magnani; tuttavia la coppia non funziona a dovere, colpa anche di uno script prevedibile e stereotipato; l'unica collaborazione tra i due mostri sacri merita comunque una visione; e la sua giacca di pelle di serpente, neanche a dirlo, ha fatto epoca.
1961- I DUE VOLTI DELLA VENDETTA
Brando voleva Kubrick alla regia; dopo una prima fase di pre-produzione, il grande regista dovette però abbandonare il progetto, che fu poi portato su schermo direttamente dall'attore; la sua (purtroppo) unica prova da regista è un western di 2 ore e 20 minuti nel quale fa confluire una ricerca psicologica inedita per gli standard dell'epoca; una storia di vendetta e redenzione dura e interessantissima, che Brando costruisce su misura per sè stesso e per l'amico Karl Malden.
1966- LA CACCIA
La vecchia Hollywood è ormai al declino; una nuova generazione di autori sta per rifondarla sulle istanze del cinema europeo; la carriera di Brando attraversa un periodo di stanca, nel quale però brillano il western "A Sud-Ovest di Sonora" (1966) e sopratutto "La Caccia", terzo film del maestro Arthur Penn; il grande attore è qui Calder, sceriffo di una piccola cittadina del sud; la fuga di un giovane detenuto (Robert Redford, per la prima e unica volta affianco a Brando) rivela l'ipocrisia e il lerciume nascosto sotto la patina di perbenismo imperante; solo Calder sembra voler continuare ad incarnare gli ideali di civiltà e onore ormai tramontati e per farlo dovrà scontrarsi contro l'ottusità dei suoi concittadini.
1969- QUEIMADA
Gillo Pontecorvo firma un interessante apologo sui corsi e ricorsi della Storia; Brando è William Walker, agente della corona inglese chiamato a fomentare una rivolta sull'immaginaria isola di Queimada (letteralmente "bruciata"), in modo che i coloni portoghesi siano scacciati dagli indigeni; dieci anni dopo, Walker è costretto suo malgrado a sedare le rivolte degli ex ribelli contro i nuovi padroni inglesi.
1972- IL PADRINO
Il 1972 è l'anno della rinascita artistica; Brando partecipa ai due più grandi successi della stagione: "Il Padrino" e "Ultimo Tango a Parigi", creando due performances perfettamente speculari. Diretto da un semiesordiente Francis Ford Coppola e basato sul romanzo omonimo di Mario Puzo, "Il Padrino" è una delle pellicole apripista della New Hollywood e Brando inaugura con esso la seconda giovinezza della sua carriera.
Don Vito Corleone è il suo personaggio più famoso, divenuto in brevissimo tempo un'icona del Settima Arte e della cultura popolare, la cui intensa interpretazione gli valse un oscar rifiutato per motivi politici; Brando dà vita al vecchio patriarca rispolverando tutto il repertorio dell'Actor's Studio: trucco pesante per invecchiare di venti anni, cotone in bocca per ingrandire la mascella, voce stridula e rauca; Vito Corleone è un gangster vecchia scuola che si confronta con la nuova generazione idealmente incarnata dal figlio Michael, il cui volto è quello di Al Pacino, perfetto simbolo della nuova generazione di attori americani formatisi presso l'Actor's Studio post-Brando.
1972- ULTIMO TANGO A PARIGI
Il film scandalo degli anni '70, che valse a Brando e Bertolucci finanche una condanna da parte del tribunale di Bologna per "pornografia e oscenità". Brando dà vita ad un personaggio unico, un uomo distrutto dal dolore per il tradimento e la perdita del suo unico vero amore, che crede di poter ridurre il rapporto uomo-donna alla sola carnalità; il suo Paul vive di reminiscenze personali, improvvisazioni sul set e intuizioni dell'ultimo minuto; il risultato è la sua performance più viva, toccante ed empatica, nella quale si confessa dinanzi allo stesso spettatore.
1976- MISSOURI
Nel western crepuscolare di Arthur Penn Brando è Lee Clayton, cacciatore di taglie spavaldo e vanesio incaricato di catturare il ladro di cavalli Tom Logan; divenuto oramai una leggenda dello Schermo, il grande attore rivaleggia con l'amico Jack Nicholson in una gara di bravura tra istrioni senza esclusioni di colpi.
1978- SUPERMAN
Da leggenda a Mito: in 20 minuti scarsi, Brando divora il film e si impone nuovamente come perfetta incarnazione patriarcale. Il monologo al piccolo Kal-El, scritto da Mario Puzo, è epica attoriale allo stato puro.
1979- APOCALYPSE NOW
Diretto nuovamente da Francis Ford Coppola, ma questa volta con un metodo opposto rispetto a "Il Padrino"; un Brando invecchiato e stanco si diverte sul set a dare filo da torcere ad un regista sull'orlo del suicidio; improvvisa totalmente la parte, recita le poesie di Eliot e inventa monologhi sull'orrore; il suo Kurtz diviene così un personaggio più grande del film, un uomo fattosi demone pienamente cosciente del Male che sparge per il mondo, dallo sguardo fosco e penetrante, eppure talmente umano da muovere all'empatia totale. Al di là di ogni metodo, Brando scavalca ogni possibile definizione e si impone definitivamente come migliore attore della Storia del Cinema.
1997- IL CORAGGIOSO
Dopo anni relegato in piccoli ruoli o in piccoli film, prima di terminare la sua carriera con il mediocre "The Score" (2001) ed il doppiaggio del videogame ispirato a "Il Padrino" nel 2006, Brando regala al pubblico un ultima, memorabile interpretazione; nel dimenticabile esordio alla regia di Johnny Depp (con il quale già aveva lavorato tre anni prima in "Don Juan DeMarco-Maestro d'Amore), Brando interpreta un produttore di snuff movies vecchio e disilluso, un mostro sfatto e ripugnante modellato sul Kurtz di "Apocalypse Now"; una scena che da sola vale la visione dell'intero film.
EXTRA
Quando si parla di attori o recitazione, l'argomento del doppiaggio è quasi sempre un tabù: vituperato ad oltranza, ostracizzato dai cinefili più radical chic e detestato in molti ambienti professionali; una cosa è certa: i doppiatori, per molti attori, sono la morte dell'arte.
Per molti, ma non per tutti; e di fatto, Marlon Brando, il più grande attore della Storia, più vantare anche un'ulteriore record tutto italiano: l'essere stato doppiato dai migliori doppiatori che il nostro cinema abbia conosciuto. Il suo doppiatore abituale era Giuseppe Rinaldi, voce storica di anche di Paul Newman e Jack Lemmon, la cui tonalità calda donava un carisma ulteriore alla fisicità di Brando. Mentre Sergio Fantoni diede vita alla versione italiana di Kurtz, infondendo al personaggio un magnetismo ed una carica epica ancora maggiore.
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