giovedì 12 giugno 2014

Salò o le 120 giornate di Sodoma

di Pier Paolo Pasolini

con: Paolo Bonacelli, Giorgio Cataldi, Umberto Paolo Quintavalle, Aldo Valletti, Caterina Barotto, Elsa de Giorgi, Helene Surgere, Ines Pellegrini, Sergio Fascetti, Giuliana Melis, Fardiah Malik.

Italia, Francia (1975)
















La notte tra l'1 e il 2 novembre 1975, sulla spiaggia di Ostia, Pier Paolo Pasolini viene linciato da un gruppo di ragazzi appartenenti all'estrema destra extraparlamentare e successivamente ucciso da Pino Pelosi, giovane appartenente al sottoproletariato romano, lo stesso che il grande artista descriveva nei suoi "Ragazzi di Vita"; stroncato in maniera atroce e vigliacca, Pasolini lascia ai posteri come suo precoce testamento poetico e spirituale "Salò o le 120 giornate di Sodoma", la sua opera più genuinamente provocatoria, feroce e spiazzante, foriera di scandali ed incomprensioni, ma anche pregna di significati e riflessioni tutt'ora urgenti.




Tratto da "Le 120 Giornate di Sodoma" del Marchese De Sade; nel 1944, a Salò, quattro potenti, un Duca (Paolo Bonacelli), un Magistrato (Umberto Quintavalle), un Presidente (Aldo Valletti) ed un Vescovo (Giorgio Cataldi), siglano un accordo: sposare le reciproche figlie per rinsaldare il proprio potere e ritirarsi in una villa di Marzabotto per dedicarsi ai piaceri più bassi e lascivi; sequestrati nove ragazzi e nove ragazze (due dei quali moriranno nei primissimi minuti) tutti di umili origini, aiutati da quattro repubblichini coartati tra gli strati più bassi della società, quattro giovani fascisti e quattro megere (tutte ex prostitute), i quattro si abbandonano a riti orgiastici e sadici verso i giovani, senza remore né limiti.




Abbandonato ogni compromesso estetico e visivo, Pasolini crea la sua opera più esplicita e violenta, ancora più cristallina nelle metafore rispetto ai quattro film del Ciclo del Mito, un puro impeto di rabbia in immagini. "Salò" è l'inferno in Terra; la Trilogia della Vita si era conclusa appena un anno prima, con il trionfo della gioia e dell'amore nel finale dello splendido "Il Fiore delle Mille e una Notte"; ora comincia la (purtroppo mai completata) Trilogia della Morte, di cui "Salò" è al contempo prologo ed epilogo. Non vi è gioia nel sesso, non vi è esaltazione nella carnalità: il corpo diviene il supremo strumento di tortura, perfetto mezzo per infliggere dolore e ricevere piacere. La divisione tra vittime e carnefici è netta: da un lato i quattro potenti, simboli di una classe dirigente pronta a tutto pur di soddisfare le sue voglie; dall'altra i giovani figli del "quarto stato" e dei Partigiani (ossia di coloro che si sono ribellati allo status quo), pura carne da macello da schernire e divorare; in mezzo vi sono tre categorie di figure ancillari al potere: i giovani repubblichini e le camice nere, che si accompagnano spontaneamente ai potenti ricoprendo a seconda dei casi il ruolo di carnefice o partner sessuale, e le megere, le "donne del potere" che dilettano gli uomini con le storie delle loro passate esperienze.




Con Pasolini lo stupro del potere diviene una cerimonia sacrale; una volta entrati nella villa assieme ai personaggi si assiste ad un serie infinita di riti parareligiosi volti all'esasperazione della carnalità più brutale e deviata; la sottomissione sessuale viene perpetrata mediante una serie di rituali precisi e coreografati come una messa blasfema, foriera di una numerologia precisa; il numero 4, emblema dei primi quattro gironi infernali del primo cerchio, dedicato agli "incontinenti" nell' "Inferno" di Dante, ritorna più volte nella pellicola: 4 sono i capitoli in cui è diviso il film (un "antinferno" e tre gironi), 120 giorni, ossia 4 mesi, è la durata del soggiorno a Marzabotto, 4 sono i simboli del potere, 4 sono le meretrici che gli accompagnano, 4 sono i giovani repubblichini e i giovani fascisti, 4 sono le serve nude che presiedono ai banchetti e 16 (ossia 4x4) sono le giovani vittime sacrificali. La cerimonia si svolge secondo un rito preciso: nella "sala delle orge" una megera per ogni girone racconta una serie di rivoltanti episodi che l'hanno vista protagonista in gioventù, al fine di risvegliare i sensi dei padroni; durante il racconto questi possono liberamente abusare di qualsiasi vittima, a prescindere dal loro sesso; durante i pasti, nel refettorio, serve e vittime sono alla mercè, sessuale e non, dei signori e dei loro aiutanti; nell' "ultima stanza" si svolgono i riti più feroci e blasfemi: i matrimoni parodistici, la gara di deretani e la degradazione dell'essere umano a forma animale; nel cortile antistante la villa, in ultimo, si svolge il rituale definitivo: il massacro della carne da macello per la soddisfazione definitiva della libidine più depravata. Quella di "Salò" è in fondo la descrizione di lungo rito satanico, una cerimonia volta a parodizzare l'effetto del potere sulle masse per esplicitarne la carica distruttiva e lo scandalo in esso intrinseco: un potere che non conosce limiti, che non tollera ciò che vi si può opporre e che distrugge tutto per l'appagamento di sé stesso.




E se il potere è prevaricazione; la sodomia e la sottomissione sessuale divengono emblemi di una classe dirigente che crea regole (il regolamento letto all'ingresso della villa) volte a disciplinare la convivenza civile (il soggiorno a Marzabotto) di un numero preciso di persone, che in realtà altro non sono se non un giogo con il quale avvinghiare i più deboli; la supremazia del più forte (il più agiato) sul più indifeso (i meno abbienti) si esplicita nella trasformazione in giocattolo sessuale; supremazia non squisitamente gerontocratica: anche tra i carnefici vi sono giovani, pronti a sostituire i loro maestri/padroni nel finale; quella di Pasolini è in realtà un'accusa universale, non strettamente circoscritta all'Italia fascista, per quanto ad essa perfettamente calzante: è la società stessa ad essere marcia, corrotta fin nelle fondamenta, a prescindere da chi sia al potere; e non per nulla, è la società italiana degli anni '70 ad aver ispirato la profonda sfiducia che l'autore vive nei suoi ultimi mesi di vita: un paese ormai sociologicamente al collasso, dimentico di valori umani o morali, nel quale la massificazione consumistica sta trasformando le persone in oggetti tramite un processo ancora più disumano rispetto a quello del decennio precedente, del famoso"boom economico" descritto sarcasticamente in "Uccellacci e Uccellini" (1966); e non per nulla, la Democrazia Cristiana allora ancora saldamente al potere altro non era se non un'ideale riproposizione di quella stessa classe dirigente che aveva creato la vera Salò, fatta di vecchi fascisti sotto mentite spoglie, grossi imprenditori senza scrupoli, vecchi nobili viscidamente attaccati al potere e chierici collusi con lo Stato.




In tale ottica, la villa diviene ideale cartina di tornasole dell'Italia tutta, governata da un gruppo di fanatici volti all'autocompiacimento le cui atrocità sono accompagnate da battute di scherno e barzellette innocue che ne accentuano la cattiveria; tra di loro non vi è spazio per i sentimenti, se non che per quelli di rabbia e libidine; i quattro "signori della villa" sono dei cani feroci pronti a sbranare le loro vittime e dedite al culto della depravazione; una depravazione che trova tre forme, racchiuse in tre gironi ideali contraltari di quelli danteschi.


 


L'introduzione è l'"Antinferno", prologo girato in esterni e con camera a mano, sulla scorta di un ritrovato gusto neorealista; il contratto tra i potenti viene siglato, viene celebrato il rituale delle nozze incestuose, i repubblichini che affiancheranno i potenti sono raccolti per le campagne e, dal canto loro, si concedono volentieri ai loro signori; le giovani vittime vengono scelte come carne dal macellaio: rapite dalle loro famiglie e denudate di fronte ai padroni per saggiarne la costituzione e la bellezza. All'arrivo alla villa viene letto il regolamento: essi esistono solo per soddisfare le loro voglie, qualsiasi violazione delle regole (compreso il recitare le preghiere) sarà punito con la morte immediata. Le regole sono fissate, le portate del "banchetto" pronte all'uso; non vi è spazio per i dissidenti: chi si rifiuta di sottostare alle regole o cerca di fuggire viene fucilato; l'atto della preghiera, inteso come esplicitazione della forza dello spirito, viene represso: le vittime non hanno anima, sono pura carne da consumo; la negazione di tale status è affermazione di una qualità che il potere non riconosce e per questo deve essere annientato, negato tramite la morte fisica di colui che lo afferma.




Il "Girone delle Manie", introdotto dai racconti della sig.ra Vaccari (Helene Surgere), apre i giochi; si entra nella villa: da qui in poi la messa in scena si fa estrema quanto le immagini mostrate; la pittoricità da sempre propria delle inquadrature pasoliniane qui si fa ancora più plastica e profonda; volti e corpi divengono quadri in movimento, in un tripudio di forme ipnotiche, espressione perfetta della ritualità della carne che in esse vi si consuma. In tale girone rientrano tutte le stramberie più folli ed atroci; i giovani divengono trastulli per la masturbazione, cani a cui viene lanciato il cibo, corpi nudi da frustare alla prima disobbedienza; il cibo che viene loro lanciato serve a sottolinearne la natura animalesca, di bracchetti da compagnia; e lo scherzo dei chiodi nella polenta (una delle scene più genuinamente disturbanti mai concepite), uno scherzo volto alla sottomissione totale; durante il pranzo, una delle camicie nere sodomizza una serva per il puro piacere e a sua volta viene usato come strumento di piacere da parte del Presidente: la sodomizzazione è forma di affermazione della superiorità da parte di chi fa le veci potere, ma anche piacere per chi quel potere lo detiene; il sacramento del matrimonio, fondamento della società stessa, viene schernito in una cerimonia blasfema, nella quale due vittime vengono fatte sposare, ma la cui consumazione viene sottratta dai padroni, riproposizione in chiave moderna dello "Ius Prime Noctis" medioevale: nella privazione dell'autonomia del coito, il potere trova la sua forma più viscerale e scellerata.




Secondo girone, "Girone della Merda", introdotto dai racconti della sig.ra Maggi (Elsa de Giorgi): la coprofagia come sinonimo di una società che si cannibalizza; la classe dirigente produce escrementi, il popolo si ciba di questi escrementi; la merda diviene cibo e motore unico dell'intera civiltà; il dominio del corpo diviene dominio dell'intera funzione biologica: i ragazzi sono chiamati a defecare a comando; il deretano stesso diviene oggetto di culto: viene istituita una gara per scoprire chi ha il culo più bello; il premio è la morte: non la morte istantanea, ché sarebbe liberazione dalle sofferenze, ma la morte infinita, volta alla distruzione totale dell'individuo nella reiterazione della sofferenza inflitta. La deviazione verso la coprofagia è suprema forma di umiliazione ed assoggettamento: le vittime devono mangiare feci assieme ai loro padroni; viene celebrato un secondo matrimonio: il Presidente sposa una ragazzo e lo forza a cibarsi di feci, il nutrimento ideale per la prima notte di nozze; l'unione è qui sopraffazione, nonchè comunione basata sull'escremento, ossia sullo scarto più inutile.




Ultimo girone, "Girone del Sangue", accompagnato da un'unica storia narrata dalla sig.ra Castelli (Caterina Borrato): il sadismo come forma definitiva di oppressione; il girone si apre con un terzo (ed ultimo) matrimonio blasfemo, celebrato dal Vescovo e che vede l'unione dei tre padroni con altrettante camice nere; nel "Girone del Sangue" si arriva al castigo definitivo, forma di selezione per "scremare" coloro che non sono degni di rientrare a Salò; la tortura è qui l'estrema espressione della sessualità: a turno, ciascun signore si diverte ad infliggere dolore e morte alle vittime colpevoli di aver violato il regolamento; i repubblichini divengono definitivamente i valletti volti al sollazzo di colui che osserva le torture; la società viene scissa in distinte sotto-categorie: dapprima in due parti, con tre carnefici, un gruppo di vittime ed un osservatore che riceve il piacere dalle torture; in secondo luogo anche tra i giovani avviene una divisione: da un lato i penitenti, condannati a soggiornare prima nella merda, poi all'uccisione violenta, dall'altro coloro che saranno salvati. La violenza inflitta diviene puro atto sessuale, la cui ferocia divide anche gli ultimi: colti in flagranza durante atti amorosi o minacciati di morte per il semplice fatto di possedere una fotografia, i ragazzi si vendono a vicenda al Vescovo, espressione di una religiosità deviata verso il puro potere, ossia verso la sopraffazione delle folle e dunque perfetto "primo carnefice"; l'unico a resistere è un ragazzo colpevole di aver copulato con la serva di colore: simbolo della ribellione politica, esso è l'unico "coraggioso" che non indietreggia dinanzi alla violenza dei padroni, che anzi sfida sollevando il pugno sinistro, simbolo di tutto ciò che va contro l'ideale della maggioranza; unico gesto in grado di intimidire i quattro sadici, viene stroncato in un tripudio di violenza: il potere non può ammettere alcuna differenza, ogni dissenso va distrutto.
Immersi tra le feci, i penitenti invocano invano l'aiuto di Dio: non vi è salvezza in un mondo privo di ideali, non c'è un Dio pronto a salvare gli innocenti; tutto quello che resta è carne sminuzzata, occhi strappati e lingue mozzate.




Nella totale mancanza di speranza, nella negazione ultima e definitiva di una qualsiasi forma di salvezza o penitenza volta al riscatto, Pasolini trova il punto definitivo e più spiazzante della sua intera riflessione filosofica; se in "Edipo Re" (1967) le colpe del sovrano non trovavano una redenzione, ma almeno una forma di castigo, in "Teorema" (1968) il pater familias conscio dei suoi peccati si avviava ad un disperato cammino di redenzione e in "Porcile" (1969) vi era una forma di riscatto per una società preistorica che condannava i suoi mostri, nel mondo che preconizza in "Salò" non vi è condanna alcuna per i carnefici, bensì il loro duplice trionfo: da un lato quello sulla nuova generazione di sottoproletari e ribelli, ridotta a carne da macello; dall'altra quello sulla società tutta, con i repubblichini pronti a prenderne le redini una volta plasmatisi a immagine e somiglianza.




Un mondo fatto unicamente di sopraffazione e violenza, quello di "Salò"; un incubo ad occhi aperti oggi più spaventoso di quarant'anni fa; perchè nel mezzo ci sono stati gli anni '80 con la "Milano da Bere", il crollo delle ideologie, la fine degli intellettuali, il berlusconismo feroce e il culto dell'apparenza; la visione di Pasolini si realizza: a partire da meno di cinque anni dalla sua morte, i quattro padroni hanno sottomesso il Paese, colui che si è ribellato è stato ucciso senza remore, la classe dirigente cannibalizza il resto della società civile e tutto quello che si produce e consuma è pura spazzatura.


 


E sarà proprio quella società plasmatasi sulla falsariga dei modelli dei quattro padroni a distruggere per sempre Pier Paolo Pasolini: un gruppo di ragazzi indottrinati dalle ideologie neofasciste e un diciassettenne di strada che vedeva nel sesso e nella violenza le uniche forme di sopravvivenza. E al di là della tristezza e del rimpianto per la sua prematura scomparsa, sorge un dubbio atroce: cosa ne sarebbe stato del grande intellettuale uno volta che questi sarebbe stato "condannato" a vivere in un mondo che è celebrazione delle sue paure più aberranti? Una domanda retorica perchè priva di effettiva risposta; eppure, una forma di (spaventosa) certezza non può non affacciarsi nella mente di chiunque abbia assimilato la sua filosofia: il suo unico destino poteva essere solo il suicidio, l'autodistruzione generata dall'impossibilità di soffrire un mondo oramai privo di ogni forma di morale.

EXTRA

Il film doveva essere inizialmente diretto da Sergio Citti, fratello di Franco e collaboratore di Pasolini fin dal suo esordio; alla sceneggiatura collaborarono, non accreditati, anche Maurizio Costanzo e Pupi Avati, oltre allo stesso Citti.

Ottenuto il visto-censura solo dopo un ricorso in appello, "Salò" venne distribuito in Italia, nei cinema di Milano, a partire dal 10 gennaio 1976; dopo appena tre giorni di programmazione il film fu sequestrato dalla Procura della Repubblica di Milano e il produttore Alberto Grimaldi venne addirittura condannato per direttissima a due mesi di reclusione per il reato di oscenità; Grimaldi fu in seguito assolto in appello e il film tornò nelle sale, in una versione censurata, a partire dal 10 marzo 1977; il successivo 6 giugno, tuttavia, il pretore di Grottaglie ne ordinò di nuovo il sequestro su tutto il territorio nazionale per "offesa verso il comune senso del pudore".

Nel 2006, Giuseppe Bertolucci ha diretto "Pasolini Prossimo Nostro", documentario di circa un ora che ricostruisce il pensiero dell'autore tramite una serie di interviste d'epoca montate sulle splendide foto di scena scattate nel dietro le quinte di "Salò"


A seguito della morte di Pasolini, sulla spiaggia di Ostia, nel punto preciso in cui fu rinvenuto il cadavere, venne eretto un monumento in sua memoria.


Lasciato vergognosamente in stato di abbandono per tre decadi, il monumento fu restaurato ed ampliato nel 2005, in occasione del trentennale dalla morte del grande autore.


Sebbene la sentenza di primo grado che condannava Pelosi come unico responsabile della morte di Pasolini tendeva ad escludere il concorso di altri soggetti nella commissione dell'omicidio, le sue prime testimonianze parlavano esplicitamente di altri soggetti che lo avevano aiutato durante il pestaggio, tant'è che la Corte di Cassazione lo condannò, nel 1976, per omicidio volontario in concorso con ignoti; tornato in libertà il 23 settembre del 2009 dopo aver scontato la pena, Pelosi venne affidato ai servizi sociali: il suo primo incarico è stato quello di ripulire il monumento a Pasolini.

Sul processo realtivo all'omicidio Pasolini, Marco Tullio Giordana ha dedicato un lungometraggio nel 1995: "Pasolini, un delitto italiano".


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