martedì 24 giugno 2014

I Duellanti

The Duellists

di Ridley Scott

con: Keith Carradine, Harvey Keitel, Edward Fox, Tom Conti, Albert Finney, Cristina Raines, Diana Quick, Gay Hamilton, Meg Wynn Owen.

Drammatico/Storico

Inghilterra (1977)













Guardando pellicole come "The Counselor", "Le Crociate" o "Hannibal" sembrerebbe impossibile, ma vi fu un tempo un cui Ridley Scott era un autore vero, dotato di uno stile personale e in grado di creare due delle pellicole più influenti di sempre: "Alien" (1979) e "Blade Runner" (1982); visionario, esteta fin nel midollo, in grado di creare immagini potenti e raffinatissime, sperimentatore nell'uso del montaggio e anticipatore di tendenze future, Scott fu uno degli artisti di punta del cinema americano degli anni '80; nel corso del tempo la sua carica visionaria e l'eleganza eststica si sono stemperate e adagiate sui canoni hollywoodiani più popolari, in particolare sulle istanze del cinema-videoclip di Michael Bay, che pure ha pesantemente influenzato la (ben più mediocre) produzione di suo fratello Tony; ha smesso di sperimentare, di rischiare nuove possibilità tecniche, narrative e visive e si è ridotto ad un mediocre mestierante, ricordato esclusivamente per i cult del passato; ma nel 1977, a seguito del successo del suo esordio "I Duellanti", vincitore del Gran Premio della Giuria di Cannes, Scott era una delle migliori promesse del cinema europeo.


Strasburgo, 1800; Gabryel Feraud (Harvey Keitel) è un ufficiale degli ussari di Napoleone ligio al codice d'onore cavalleresco; dopo aver ucciso un rivale in duello, Feraud viene ripreso dal suo ufficiale per il tramite del giovane soldato Armand D'Hubert (Keith Carradine); l'umiliazione subita per il richiamo all'interno del salotto della ricca Mademoiselle Leonie (Meg Wynn Owen) è la scusa perfetta per imbastire un duello d'onore con D'Hubert, che si protrarrà ironicamente per quindici anni.


Il punto di riferimento dell'estetica scottiana è qui altissimo: il "Barry Lyndon" (1975) di Stanley Kubrick, con il quale in quegli anni stringeva una lunga e proficua amicizia; dal capolavoro del grande regista Scott riprende l'idea di un film in costume come perfetto spaccato di un'epoca, ma anche e sopratutto lo stile, sia nella messa in scena che nella fotografia, curata da un allora esordiente Frank Tidy, già suo collaboratore in televisione. Scott immerge ogni figura in chiaro-scuri nettissimi, colori caldi per gli interni e freddi per gli esterni; gioca con la luce come un vero e proprio pittore, inaugurando un'estetica dell'illuminazione che sarà il suo marchio di fabbrica per buona parte della sua filmografia a venire; nella messa in scena, d'altro canto, eccede con le carrellate all'indietro kubrickiane, a disvelare la natura puramente derivativa del suo stile, che si fa vero e proprio richiamo nella scena in cui introduce il personaggio della moglie di Feraud: interpretata dalla bellissima Gay Hamilton, già interprete di "Barry Lyndon", che Scott mostra con un primissimo piano come a volerla sventolare in faccia al pubblico in modo trionfale; il risultato è a tratti indigesto: troppo compiaciuto e barocco, ai limiti del tronfio.


Eppure le immagini sono sempre ipnotiche, perfette nella composizione anche nelle dinamiche scene di duello, girate tutte con camera a mano come nel capolavoro di Kubrick; ogni singolo incontro tra i due antagonisti ha un suo stile e trasuda tensione da ogni fotogramma: la prima scaramuccia, volutamente piatta e lenta, il furioso scontro nel granaio, dove le due figure si inseguono fino allo sfinimento, il magnifico confronto a cavallo, in cui Scott introduce flashback e flashforwrd spezzando la linearità del racconto, introducendo una forma di montaggio strettamente narrativa che da qui in poi avrebbe fatto scuola; fino all'ultimo magnifico incontro, un anticlimax intenso e onirico che anticipa di cinque anni lo splendido inseguimento finale di "Blade Runner" (1982). Ed è proprio nel montaggio che Scott si fa notare: spezzato, ai limiti del frammentario, usato per centellinare la tensione ed isolare ogni singola scena in uno spazio-tempo unico e rarefatto; l'uso improvviso degli stacchi e degli attacchi nel mezzo della scena, volti ad infrangerla per creare tensione drammatica, fa qui il suo esordio e toccherà l'apice massimo già nel successivo "Alien".


Ma l'opera prima di Scott non è semplice estetica, quanto un trattato ironico e preciso dello scontro tra due figure speculari; Gabryel Feraud è un soldato vecchia maniera, il cui onore è ragione di vita; come introduce la voce narrante "per un soldato l'onore è un ossessione" e Feraud è la personificazione di questa istanza; vive per servire il proprio orgoglio e gioisce nell'umiliare i suoi avversari; privo di scrupoli e ripensamenti, Feraud è la tradizione militaresca napoleonica fatta carne, una figura ormai prossima all'estinzione che trova nel confronto con il suo rivale un ulteriore motivo di affermazione; ed Harvey Keitel dona al personaggio una carica austera a tratti insostenibile, incarnando perfettamente il rigore folle del suo personaggio. D'altro canto D'Hubert incarna la nuova generazione si soldati, più duttile e meno legata ai dogmi del codice cavalleresco e di conseguenza più razionale; Keith Carradine si dimostra perfetto nelle vesti del soldato suo malgrado costretto a combattere e ad ottenere fama e gloria dagli inutili scontri con il rivale; il lungo duello così diviene scontro ideale tra bieca tradizione e modernità conscia dell'inutilità dei vecchi dogmi.


Ed è la tradizione a venire battuta al suo stesso gioco: distrutta ed umiliata secondo le regole cavalleresche e forzata ad accettare la sconfitta, ossia privata persino di una morte onorevole; Feraud diviene nel finale l'incarnazione dell'età napoleonica: lo scontro si conclude nel 1816, ossia due anni dopo il Consiglio di Vienna, e il personaggio viene trasfigurato in un doppio dell'imperatore; umiliato e sconfitto, non gli resta che mettersi in disparte, ritirarsi ed ammirare un mondo al tramonto, in un immagine splendida, che da sola vale la visione dell'intera pellicola.


Magnifica è anche la ricostruzione d'epoca, con costumi e location perfettamente ricercati e valorizzati dalla regia pittorica e attenta ad ogni dettaglio; "I Duellanti" è, in sostanza, un quadro semovente, un dipinto d'epoca rarefatto ed affascinante, un esordio che sorprende ancora maggiormente se si tiene conto del budget ridicolo con cui è stato girato: appena 900.000 dollari dell'epoca.

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