con: Kyle MacLachlan, Francesca Annis, Sian Phillips, Sean Young, Sting, Kenneth McMillan, Jurgen Prochnow, Virginia Madsen, Josè Ferrer, Silvana Mangano, Max Von Sydow, Brad Dourif, Dean Stockwell, Patrick Stewart, Linda Hunt, Everett McGill, Richard Jordan, Jack Nance, Alicia Witt, Leonardo Cimino.
Fantascienza
Usa (1984)
---SPOILERS INSIDE---
1981: David Lynch è reduce dal successo globale del capolavoro "The Elephant Man", che gli ha permesso di imporsi ad Hollywood come nuovo "enfant prodige" del surrealismo; le proposte di lavoro fioccano da ogni lato: ogni grosso studio vorrebbe affidargli un progetto particolare, il più delle volte di stampo fantascientifico; e tra i tanti, quello a cui Lynch si avvicina per primo è un film che con la sua poetica c'entra poco e nulla: "Il Ritorno dello Jedi", terzo capitolo della saga di "Guerre Stellari" che Lucas vuole affidargli non tanto per motivi squisitamente artistici, ma per meglio controllarne la produzione; questo perchè dopo i fasti de "L'Impero colpisce Ancora" (1980), il papà della "Galassia lontana lontana" si sentiva spodestato dal suo trono ed era in cerca di un giovane regista da poter manipolare, il cui buon nome servisse unicamente come selling point aggiuntivo.
Fiutato l'inganno (Lynch ammetterà, nel 2008, quanto fossero stati disastrosi i suoi incontri con Lucas), il grande autore decide di dedicarsi ad un'altra pellicola sci-fi, di registro totalmente diverso (se non addirittura opposto) rispetto all'epopea pop lucasiana; un progetto ambizioso, che gli viene affidato dal produttore Dino De Laurentiis, all'epoca smanioso di creare qualcosa di unico ed imponente; un progetto, di fatto, "bigger than cinema" che segnerà per sempre Lynch e lo stesso produttore: l'adattamento di "Dune", il capolavoro letterario di Frank Herbert pubblicato nel 1965, che da quasi dieci anni Hollywood (e non) tentava di portare sul Grande Schermo. Un'impresa colossale, che nel decennio precedente aveva tentato, purtroppo invano, il grande Alejandro Jodorowsky e che ora si realizza.
Il risultato è un film monco, a tratti visibilmente incompleto, ma anche una delle pellicole più genuinamente affascinanti e spettacolari mai concepite.
Anno Domini 10.191; l'Universo è suddiviso tra le nobili casate del Landsraaad, tra le quali spiccano due famiglie rivali: i nobili Atreides e i viscidi Harkonnen; sul trono siede l'Imperatore Padiscià Shaddam IV (Josè Ferrer), ma il vero potere sembra appartenere alle sette religiose, come la Sorellanza delle Bene Gesserit, e sopratutto alle compagnie commerciali, tra le quali la più potente è la Gilda dei Navigatori; questa è l'unica in grado di muovere le navi spaziali attraverso il cosmo e per questo gioca un ruolo essenziale nell'equilibrio del potere; lo strumento a loro necessario, vero e proprio motore dell'intero Universo, è il Melange, la Spezia, una potentissima droga in grado di aumentare i sensi di chi la assume e di "annullare lo spazio"; la sorellanza Bene Gesserit usa la Spezia per aumentare le proprie capacità fisiche e mentali, i Navigatori per guidare le navi tra le stelle. Ma la Spezia esiste su di unico pianeta in tutto l'Universo: il desertico Arrakis, che gli indigeni chiamano "Dune".
La concessione per l'estrazione della Spezia viene affidata dall'Imperatore al Duca Leto il Giusto (Jurgen Prochnow), patriarca della famiglia Atreides, il quale si muove su Arrakis portando con sè la sua concubina Jessica (Francesca Annis), ex strega delle Bene Gesserit, e il loro unico figlio Paul (Kyle MacLachlan); quello che non sanno è che in realtà Paul è il "Kwisatz Haderach", un messia profetizzato dal Bene Gesserit e atteso dai Fremen, gli abitanti del deserto di Arrakis, che lo venerano come un dio in Terra venuto per guidargli contro l'oppressione degli invasori esterni.
Quel che è peggio è che la venuta del Kwisatz Haderach contrasta con i piani della Gilda, la quale ordina all'Imperatore di uccidere Paul; per farlo, viene inviato su Arrakis anche il barone Vladimir Harkonnen (Kenneth McMillian), mostruoso capo della casata omonima, ossessionato dalla distruzione degli Atreides.
Con David Lynch, la space opera divine vero e proprio viaggio in un altro universo; il mondo di "Dune" è talmente complesso e vivo da infrangere lo schermo e saldarsi indelebilmente nella mente dello spettatore. Ogni pianeta ha una sua connotazione etnica e sociologica precisa, che si rispecchia nelle scenografie e nei costumi: Caladan con le sue costruzioni in legno e le uniformi simil-prussiane degli Atreides; Giedi Primo, l'infernale pianeta degli Harkonnen, ideato da Lynch come un coagulo di incubi post-industriali ed ospedalieri, con rivoli di scarichi fognari che ornano ogni stanza e i rossi guerrieri addobbati con paramenti di gomma e plastica; Kaitan, il pianeta dell'imperatore, concepito come una gigantesca città sulla quale svetta il palazzo d'oro del sovrano; la sorellanza Bene Gesserit, riconcepita come un'adunanza di streghe calve e dai denti di metallo; i Mentat, i computer viventi, che Lynch caratterizza con labbra cremisi e sopracciglia folte, veri e propri "animali da calcolo"; la Gilda Spaziale, nella quale confluisce tutto il gusto retrò dell'autore, con gli umanoidi calvi che comunicano per il tramite di un microfono dei primi del '900, aggiungendo un tocco di steampunk all'estetica futuribile. E naturalmente Arrakis, il pianeta desertico, con i Fremen bardati nelle eleganti tute distillanti, che si aggirano per i sitch intagliati nelle rocce e combattono con i moduli estranianti, invenzione dello stesso Lynch: armi in grado di trasformare il pensiero insito nel suono in proiettili, una geniale estensione della "voce", il potere principale del Bene Gesserit.
La potenza visiva di "Dune" è tutt'oggi insuperata; con un budget di 40 milioni di dollari, il più alto per un film di fantascienza fino ad allora, Lynch si assicura la collaborazione di Carlo Rambaldi e Giannetto De Rossi e sfoga la sua sfrenata immaginazione in creature aliene mostruose e affascinanti. Il Navigatore che introduce il complotto all'inizio del film è la perfetta sintesi di tutti gli incubi lynchiani calati in un contesto sci-fi: un essere umano il cui corpo è mutato sino a diventare "altro", regredendo ai livelli di un feto mostruoso ed imponente. Così come il Barone Harkonnen incarna la paura inconscia della malattia sessuale: un pederasta il cui corpo obeso è afflitto da una malattia sconosciuta, che riempie il suo viso di pustole come una moderna peste bubbonica, mentre le sue viscide mani corrompono giovani vittime sacrificali. E il verme, Shai-Hulud, il simbolo stesso di Dune prende vita su schermo irrompendo in tutta la sua ferocia, spazzando via ogni ricordo di visioni futuribili che siano (tutt'oggi) apparse al cinema.
Ma "Dune" non è semplicemente puro spettacolo visivo, né un mero adattamento degli scritti di Herbert; nelle mani di Lynch, l'epopea fanta-filosofica per antonomasia diviene un vero e proprio viaggio non solo in un mondo "altro", futuribile eppure verosimile, ma al contempo un viaggio nei meandri della psiche, attraverso immagini spettacolari ed ipnotiche. "Dune" è un'esperienza sensoriale, un'alterazione della percezione dello spettatore che si fa strada nella mente al pari dell'esperienza di maturazione del suo protagonista, Paul; Lynch gioca con le sensazioni più avvertibili: lo spettacolo delle immagini, il sinuoso incedere delle musiche oniriche di Toto e Brian Eno, i dialoghi introspettivi delle voci off dei personaggi; lo spettatore viene così catapultato direttamente nel subconscio stesso del film, in una dimensione nel quale si mischiano visioni e sensazioni, in un percorso sognante e a tratti epico. Lo spettatore diviene così parte integrante dello spettacolo: dinanzi all'opera di Lynch bisogna lasciarsi catturare, trasportare in un mondo nuovo, immergersi nelle acque della mente di Paul e dei suoi mostruosi avversari.
Perchè l'universo di "Dune" è un mondo in cui la sensazione e le percezioni contano quanto le azioni; tutte le elucubrazioni di Frank Herbert trovano su schermo un'appropriata messa in scena. Arrakis è un vero e proprio luogo della mente, immerso in un futuro nel quale la tecnologia e la filosofia sono un tutt'uno. La Spezia è lo strumento attraverso il quale l'uomo aumenta le proprie capacità sensitive; un'equivalente dell' LSD, purgata da ogni eccesso autodistruttivo, che come nelle civiltà primitive conferisce poteri divinatori; il futuro diviene il territorio inesplorato: la capacità di predire gli eventi, di guardare in ogni luogo possibile è il vero potere che l'essere umano ora agogna; un potere che lo trasforma da dentro, rendendolo più che umano, più simile al dio. E in tale aspetto Lynch supera Herbert e caratterizza Muad'Dib come una vera e propria divinità in Terra (similmente a quanto avrebbe fatto Jodorowsky): non una marionetta nelle mani della setta del Bene Gesserit che si ribella e istituisce un proprio regno, bensì un vero e proprio "essere superiore", in grado di plasmare la realtà a suo piacimento. Differenza che non mancò di scatenare le polemiche dell'autore, ma che aggiunge una suggestione religiosa e messianica ancora più viva e pulsante rispetto al romanzo di partenza.
Ma la Spezia è anche il "motore" che muove il cosmo, un equivalente futuro del petrolio, l' "oro nero" che le corporazioni (la Gilda) e i governi (l'impero) smaniano di possedere per poter cingere l'Universo nella loro presa. I Fremen, guerrieri puri e non corrotti dalla smania di potere, sono altresì l'equivalente delle popolazioni arabe, i beduini sottomessi e schiacciati da un invasore straniero e disumano (gli Harkonnen come le truppe inglesi e americane), ma pronti a spodestarli grazie all'avvento di un messia (Muad'Dib come il colonnello T.E. Lawrence, straniero che emancipa un popolo nel quale viene accolto come un suo pari), che li guida nella Jihad, la guerra santa non contro gli infedeli, ma contro gli oppressori, simbolo della fierezza umana che si vendica del mito del guadagno.
Malauguratamente, "Dune" è anche la storia di un gigantesco fraintendimento, di una vera e propria frode e finanche di un fallimento di enormi proporzioni.
Dino De Laurentiis credeva fortemente nel talento di Lynch quando gli affidò il progetto; con un budget enorme e la collaborazione di alcuni tra i migliori artistici e tecnici in circolazione, Lynch adattò di suo pugno il romanzo in sceneggiatura, aggiungendo elementi anche dagli altri capitoli della saga di Herbert (la forma mostruosa del Navigatore viene introdotta solo nel secondo romanzo, "Messia di Dune", così come la vasca nel quale si muove è di fatto un omaggio al carro reale de "L'Imperatore-dio di Dune", il quarto romanzo; nel film sono inoltre presenti riferimenti al Bene Tleilax e al pianeta Ix, non presenti nel primo libro), creando uno script di quasi 500 pagine (ossia quasi 5 ore di film), nel quale l'universo letterario di Herbert appariva ancora più vivo e la storia del primo libro veniva adattata in modo pressocchè integrale.
Approvata la sceneggiatura, Lynch ha avuto carta bianca anche durante le riprese, che per quasi tutta la loro durata si svolsero nella piena libertà; se non che, negli ultimi mesi di lavorazione (il processo produttivo durò in tutto quasi 3 anni: la pre-produzione iniziò nel 1981, ma il film uscì nelle sale americane solo nel dicembre del 1984), Lynch cominciò a subire l'ingerenza di De Laurentiis affinchè la produzione si concludesse il prima possibile; e sopratutto un forte taglio del budget destinato all'ultimazione degli effetti speciali; quel che è peggio è che venne tolta all'autore ogni decisione in merito al montaggio: su 5 ore di film, il final cut è di appena 2 ore e 10 minuti, ossia meno della metà.
Tagli "selvaggi" che rovinano ineludibilmente il film, che di fatto non ha un secondo atto; l'intera narrazione si riduce così ad una gigantesca introduzione al mondo di Dune, ai complotti orditi dall'Imperatore e dal Barone e alla sola vendetta di Paul nei loro confronti; la maturazione del personaggio, la sua ascesa a leader dei Fremen, le feroci battaglie contro le truppe degli Harkonnen vengono compresse in un montaggio veloce ed ellittico, dal quale si salvano solo le splendide visioni elaborate da Lynch per i sogni. E la presenza di sottotrame lasciate sul pavimento della sala di montaggio è avvertibile ad una visione attenta: chi ha letto il romanzo riconoscerà facilmente i figli adottivi di Paul e la sua concubina Fremen, presenti in più scene, ma ridotti a mere comparse.
"Dune" resta, così, una pellicola sfortunatamente incompleta e a tratti superficiale; per anni Lynch ha evitato di creare una sua Director's Cut, nonostante le esortazioni dei fans di tutto il mondo, a causa dei "brutti ricordi" che un lavoro del genere gli evocherebbe; fatto sta che anche nella sua veste monca, l'epopea onirica e religiosa di Lynch resta una delle esperienze fantascientifiche più incredibili che lo spettatore possa sperimentare.
EXTRA
Pur non esistendo un'effettiva Director's Cut del film, è comunque disponibile una versione estesa della durata di 189 minuti; questa versione, trasmessa da varie emittenti televisive e disponibile in DVD dal 2003, non è però stata approvata da Lynch: nei titoli di testa il suo nome è stato rimpiazzato con lo pseudonimo di Alan Smithee, soprannome che gli iscritti al sindacato dei registi americano possono usare per celare la propria identità qualora vogliano disconoscere un film che hanno diretto; anche per la sceneggiatura di questa versione, Lynch ha usato uno pseudonimo: Judas Booth; Judas è un riferimento a Giuda Iscariota, colui che tradì Gesù, mentre "Booth" è un riferimento a John Wylkes Booth, l'assassino di Lincoln.
Prima che gli fosse tolto il final cut dal film, Lynch aveva già iniziato a lavorare alla sceneggiatura di un ipotetico adattamento di "Messia di Dune"; il colossale flop del film stoppò il progetto, aumentando il risentimento dell'autore.
Nel 2000, la rete via cavo americana SyFy creò una miniserie tratta dal primo romanzo di "Dune"; con un budget di appena 20 milioni di dollari, il "Dune" televisivo è un piccolo serial a tratti inguardabile, vera e propria perla del trash, nonostante i contributi di attori del calibro di William Hurt e Giancarlo Gianni e la fotografia di Vittorio Storaro.
Decisamente più riuscito è il sequel "I Figli di Dune", miniserie di tre puntate prodotta sempre da SyFy nel 2003; il primo episodio è un adattamento piuttosto fedele di "Messia di Dune", mentre i restanti due portano in scena il terzo romanzo, che dà nome alla serie; nel casto compaiono questa volta anche Susan Sarandon, James McAvoy e Stephen Berkoff.
A partire dal 2008, la Universal ha tentato di creare un nuovo adattamento cinematografico di "Dune"; l'aspetto visivo doveva essere curato da Jock, mentre come regista si avvicinò dappirma Peter Berg e poi Pierre Morel; dato l'enorme budget richiesto, la major decise di cassare il progetto. E forse è stato un bene, visto che né Morrel, nè Berg possiedono la forza visionaria necessaria per rendere giustizia agli scritti di Herbert.
Più felice è stato invece il destino di "Dune" in ambito videoludico; a partire dal 1992, la Westwood Studios ha pubblicato una serie di RTS ispirati al mondo di Herbert, che riprendevano nei filmati, girati con attori in studio, l'estetica del film di Lynch. Della serie fanno parte:
"Dune II: the building of a dynasty" (1992)
"Dune 2000" (1999)
"Emperor: Battle for Dune" (2001)
Vero e proprio testo sacro della fantascienza hardcore della seconda metà del '900, il "Ciclo di Dune" si compone di sei romanzi principali: "Dune" (1965), "Messia di Dune" (1969), "I Figli di Dune" (1977), "L'Imperatore-dio di Dune" (1981), "Gli Eretici di Dune" (1984) e "La Rifondazione di Dune" (1985). Morto nel 1986, Herbert ha purtroppo lasciato incompiuta la sua opera: l'ultimo romanzo si chiude con un finale aperto, che lascia presagire una prosecuzione che Herbert non ha mai scritto.
Nel 2006, Brian Herbert, figlio di Frank, e lo scrittore Kevin J.Anderson hanno però dato vita al progetto di "Dune 7", ideale conclusione della saga, composta da altri due romanzi: "Hunters of Dune" e "Sandworms of Dune".
L'influenza degli scritti di Herbert su tutta la produzione fantascientifica a venire è immensa; basti citare, in proposito, i due casi di plagio più clamorosi, entrambi effettuati da George Lucas:
I cavalieri Jedi della saga di "Star Wars" possiedono come abilità speciale quella di controllare la mente altrui; "trucco" ripreso dal potere della voce della sorellanza Bene Gesserit di "Dune"; nel romanzo, le streghe della sorellanza vestono con un saio nero ed un cappuccio, proprio come Luke Skywalker ne "Il Ritorno dello Jedi" (1983). Nell'ultimo capitolo del primo romanzo di "Dune" fanno inoltre la loro comparsa le famose spade laser, usate però come strumenti di lavoro anzicchè come armi.
Ma il caso più clamoroso di plagio riguarda il quarto romanzo della serie, pubblicato nel 1981, "L'Imperatore-dio di Dune". In esso appare come protagonista Leto II Atreides, figlio di Muad'Dib, un ibrido uomo-verme immortale e della lunghezza di circa sette metri;
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