lunedì 26 agosto 2019

Charlie Says

di Mary Harron.

con: Matt Smith, Hannah Murray, Sosie Bacon, Suki Waterhouse, Grace Van Dien, Kayli Carter, Marianne Rendòn, Chace Crawford.

Drammatico

Usa 2018
















Il 9 Agosto del 1969, la villa al 10050 di Cielo Drive, Los Angeles, viene presa d'assalto da alcuni esponenti della "Manson Family", comune di stanza sulle colline; durante quello che verrà presto definito come "eccidio", persero la vita cinque persone, tra cui Sharon Tate, attrice e moglie di Roman Polanski, all'epoca all'ottavo mese di gravidanza. L'episodio causò un'onda mediatica incredibile, divenendo presto famoso come uno dei peggiori massacri della storia degli Stati Uniti, ispirando fin da subito una florida sequela di pellicole che ne ricostruivano, in modo talvolta anche alquanto efficace, i tragici avvenimenti.
Atrocità effettiva a parte, il Massacro di Cielo Drive verrà ricordato come il primo episodio che portò all'infrangersi del sogno di pace universale dell'epoca, proprio a causa dello status sociale degli assassini, guidati da Charles Manson, il quale diverrà famoso come uno dei peggiori serial killer della storia pur non avendo, di fatto, mai ucciso nessuno.
Inutile sottolinearne la figura: vero e proprio santone autoproclamatosi come il nuovo Gesù Cristo, Manson riuscì a convertire alla sua scalcinata dottrina un consistente gruppo di persone, vivendo nello Spahn Ranch, famoso per essere stato la location di infinite produzioni hollywoodiane.
E in occasione dei 50 anni dall'accaduto, non potevano mancare delle pellicole dedicategli; se già negli scorsi anni lo scarno "10050 Cielo Drive" e lo sconcertante "The Haunting of Sharon Tate" avevano cercato di riportare l'attenzione sul caso, è il solo "Charlie Says" a portare una ricostruzione degli eventi davvero riuscita e interessante.



Alla regia troviamo Mary Harron, già autrice del cult "American Psycho", la quale però decide di abbandonare ogni forma di vouyeurisimo e spettacolarità, adottando un piglio simile a quanto fatto nel suo "Ho Sparato a Andy Wharol", restando il più possibile ancorata ai fatti. Il punto di vista adottato è quello di Leslie Van Hauten (Hannah Murray), che insieme a Patricia Kernwinkel, Susan Atkins e Tex Watson perpetrò materialmente gli omicidi. Punto di vista che viene a sua volta filtrato attraverso quello della professoressa Karlene Faith, che per anni ha seguito il trio di ragazze per reinserirle nella società. Assistiamo così all'ingresso nella comune, ai suoi rituali e allo stile di vita perpetrato. La Harron non abbellisce nulla, raccontando nei minimi particolari l'accattonaggio, le cene a base di ortaggi raccattati nell'immondizia, la promiscuità sessuale e i deliri religiosi della Famiglia. Il ranch viene così ritratto come un'alcova di pezzenti fuggiti di casa, che ripudiano il passato e che non hanno un vero futuro, tutti ipnotizzati dal fascino di Manson, il quale viene a sua volta spogliato di ogni effettivo carisma per essere ritratto come l'egocentrico che, nei fatti, fu.



Manson è un ciarlatano manipolatore, dai modi autoreferenziali e autocelebrativi, che propaganda una filosofia antimaterialista che sfocia nell'apocalittico, arrivando a profetizzare una rivolta degli afroamericani che porterà alla fine della società civile. Il suo è un percorso discendente, dove la volontà di annullare le menti dei propri seguaci per creare una strampalata utopia terrena lascia presto spazio alla rabbia per una carriera musicale mai decollata (Manson decise di colpire l'indirizzo di Cielo Drive poiché in precedenza occupato da Terry Melcher, produttore che rifiutò di produrre il suo album d'esordio), ossia la contraddizione totale con la sua stessa sconclusionata filosofia. Un plauso va fatto a Matt "Undicesimo Dottore" Smith, che incarna il personaggio riuscendo a dargli un'aura tangibile di carisma, senza mai scadere nel gigionesco o nell'overacting spicciolo.



Se Manson è l'oggetto descritto, il soggetto della narrazione è la stessa Leslie Van Hauten, la quale compie un doppio percorso evolutivo: da timida ragazza piccolo-borghese a seguace ipnotizzata dalle parole del guru, per poi tornare ad una forma di coscienza effettiva grazie agli insegnamenti della Faith. La sua parabola diviene quella del prototipo femminile dell'epoca, quello di una donna che si allontana da una società che tenta di relegarla in secondo piano, per abbracciare uno stile di vita libertino solo in apparenza, che cela, infatti, una sottomissione ancora più pressante, solo per poi trovare un equilibrio nella filosofia femminista effettiva, la cui conoscenza porta alla liberazione e alla catarsi verso il male compiuto, che coincidono con l'abbandono del plagio da parte di Manson, di quel costante "Charlie says" del titolo, mantra ripetuto per giustificare tutte le deprecabili azioni compiute o subite.



La narrazione della Harron è secca, quasi cronachistica, non cerca lo scandalo ed evita il sensazionalismo. Nella descrizione del massacro, il suo stile si fa parco, tralasciando la messa in scena diretta per concentrarsi maggiormente sulle sue conseguenze. Più spazio viene così concesso all'omicidio dei coniugi LaBianca, seconde vittime della furia della Famiglia, la cui morte viene invece portata in scena in modo diretto.



Il limite del film è intrinseco all'approccio adottato: non va oltre i fatti, oltre la ricostruzione attenta di quanto accaduto. Limite che non è tuttavia un difetto vero e proprio: "Charlie Says" resta lo stesso un'interessante prova di cinema d'inchiesta, che getta uno sguardo lucido verso un passato mostruoso, ancora oggi difficile da dimenticare.

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