con: Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Anouk Aimée, Sandra Milo, Rossella Falk, Barbara Steele, Guido Alberti, Caterina Boratto.
Italia, Francia 1963
Cosa definisce il genio? Quando un autore smette di essere un semplice artista dotato di una propria visione per ascendere al rango di fuoriclasse?
Difficile dare risposte complete e coerenti; di certo si può affermare che quando un regista riesce a creare dal nulla (anzi, in questo caso dal meno del nulla) una delle sue opere più complete e affascinanti, il termine "genio" appare azzeccato e perfettamente calzante. E "8 1/2" è, alla fin fine, questo: un'opera che viene dal nulla e che rappresenta il nulla; o, per essere più precisi, un'opera che proviene dal pozzo nero della mente di ogni autore, quello della mancanza di ispirazione, che si fa, genialmente, forma filmica completa e concreta, crogiolo di intuizioni, passioni e ossessioni genuine e trascinanti.
La narrazione è puro pensiero; tramite il suo doppio filmico Guido, interpretato dal suo feticcio Mastroianni, nuovamente suo doppio dopo "La Dolce Vita", Fellini da forma al pensiero, alla sua coscienza più viva e remota. Da qui l'uso costante della soggettiva: le immagini partorite su schermo sono pensieri che parlano al pensatore, materia onirica che si fa ombra chiara, immagine definita di un caos cosciente ed incosciente, il quale su schermo trova una forma a suo modo ordinata e, prima ancora, una forma tutta che lo definisca.
Le prime immagini sono le più descrittive: un ingorgo nel quale il protagonista è bloccato, ossia l'impossibilità del pensiero di fluire verso una destinazione certa. Guido si libera dal blocco, ma prende il volo, ossia non intraprende un percorso preciso, levitando casualmente. Al contempo, il suo corpo è legato al terreno, ovverosia gli è impossibile raggiungere la vetta creativa totale e, anzi, finisce per schiantarsi al suolo.
La "trama" è così definita: Guido, così come Fellini, non ha un'idea precisa per la sua nuova opera; al momento, la sua ispirazione è frammentata tra le passioni terrene (le donne), i ricordi (l'infanzia) e la pressione del sacro (gli incontri con le figure di chiesa). Nulla è definito, tutto è svago, sfumato e esperienze, impressioni, emozioni e reminiscenze finiscono per mischiarsi in un unico flusso di coscienza.
Le immagini di "8 1/2" sono al contempo reali e oniriche, verità e impressione. Da qui l'uso di un'atmosfera rarefatta durante le sequenze di veglia e di un uso marcato del movimento di macchina in quelle di sogno; laddove il confine tra verità e sogno è labile, lo stile si fa marcato, sicuro e preciso, quasi a controbilanciarne lo status.
Le tematiche che Fellini porta su schermo sono tutte, rigorosamente, personali. Come già in passato, anche qui rielabora esperienze private, le trasfigura sino a cambiarle per creare un mondo immaginario che sia specchio deformato della realtà.
Affronta in primis il confronto con i genitori, il giudizio che questi darebbero della sua vita "lasciva", la quale viene messa alla gogna anche nel confronto con l'istituzione religiosa; in uno scenario da incubo, un altro prelato ricorda a Guido come non ci sia salvezza fuori dalla Chiesa, il che getta un'ombra sulle proprie azioni, sempre giudicate come peccaminose e contrarie ai dettami dell'autorità.
Ancora più burrascoso è il rapporto con le donne; Fellini, quasi facendo un mea culpa, punisce la sua stessa lussuria in modo ironico: dapprima fa immergere Guido in una fantasia dove tutte le donne della sua vita lo venerano, solo per far seguire, nell'ultima parte del secondo atto, un castigo dato dal senso di colpa verso la moglie; l'autobiografia è così volutamente malcelata dietro all'alias, con l'amante Sandra Milo ad interpretare praticamente sé stessa e Anouk Aimée nei panni dimessi di un doppio della Masina.
Su tutto aleggia un tocco autoironico, con il quale è lo stesso Fellini a prendere in giro la sua opera, questo suo coacervo di ricordi, immaginazione, simboli e paure che, nel far confluire umori e pensieri su schermo, non solo ha un senso del tutto personale, ma finisce anche per trasformare lo stesso linguaggio cinematografico in qualcosa di altro, lontano dagli schematismi classici (sebbene pur sempre basato su di uno script, scritto come sempre dall'autore assieme a Flaiano e Pinelli), vicino al romanzo sperimentale dei primi del '900. Un cinema che è privato e universale, vago e concreto, sincero e artefatto, tutto e nulla. In una sola espressione, arte allo stato puro.
EXTRA
Tra gli epigoni più famosi di "8 1/2", vanno citati almeno:
"Stardust Memories" (1980) di Woody Allen, nel quale l'umorale autore newyorkese omaggia Fellini con un proprio "diario" sul caos d'autore, riprendendo anche il gusto per la soggettiva e la panoramica laterale.
Sempre Allen avrebbe ripreso nuovamente il registro "zibaldonesco" di Fellini nel successivo "Harry a Pezzi", dove al centro della storie vi è invece uno scrittore in crisi.
"Barton Fink- E' successo a Hollywood" (1991), nel quale i fratelli Coen danno corpo alla vera crisi d'ispirazione di uno sceneggiatore in erba, il quale non riesce a generare nulla e la narrazione si fa volutamente vuota e frammentaria, in un geniale ribaltamento dell'intuizione felliniana.
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