con: Tom Hardy, Linda Cardellini, Matt Dillon, Kyle MacLachlan, Al Sapienza, Noel Fisher, Gino Cafarelli, Mason Guccione, Rose Bianco
Biografico
Usa, Canada 2020
Dopo la pazzesca debacle di "Fantastic Four" e dopo essere stato silurato dalla Disney, a Josh Trank non restavano che due possibilità; la prima, più semplice, era il ritiro dalle scene, un uscita in silenzio contemplativo quanto mai dovuto a causa del suo comportamento bambinesco dietro le quinte. La seconda, più rischiosa, consisteva nel dare forma ad un progetto più piccolo, ma non meno ambizioso dei kolossal ai quali era legato, che dimostrasse come la sua stella non fosse un fuoco di paglia, un film in grado di dimostrare il suo talento come filmmaker prima ancora che come direttore di troupe; e con "Capone", Trank prova a dimostrare di avere ancora qualcosa da dire e da rischiare. E purtroppo ci riesce solo in parte.
Focalizzato sull'ultimo anno di vita dell'ex boss di Chicago, Trank ne segue il disfacimento fisico e mentale, affidandosi ad un affiatato Tom Hardy che, sotto un trucco pesantissimo, riesce a catturare gli stati d'animo decadenti e sofferenti del personaggio.
Nel corso della narrazione, Capone si confronta con il suo lascito, con un figlio semi disconosciuto, l'uccisione dell'ex amico Johnny (Matt Dillon) e l'F.B.I. a caccia del suo tesoro da 10 milioni di dollari.
Capone è qui figura tragica, re caduto e sconfitto che marcisce nel corpo e nell'anima, sepolto sotto il peso di quella violenza spietata che gli ha permesso di arrivare al vertice. Ma Trank sembra costantemente restio nel fargli avere una catarsi, nell'affrontare di petto il tema dell'abbandono e della solitudine.
Quella di "Capone" è una discesa nel buio dell'animo e nello sfacelo del corpo che si attorciglia su sé stessa sin dai primi minuti, senza cercare di arrivare mai da nessuna parte. L'afflato puramente descrittivo diventa qui una gabbia concettuale dalla quale Trank non sembra volersi liberare mai. Anzi, man mano che il film avanza, c'è quasi un compiacimento nell'inanellare sequenze patetiche che umiliano il protagonista senza però riuscire davvero a comunicarne il dramma. Non che un personaggio come Al Capone possa essere, in fondo, tutta questa maschera tragica, ma la sua storia fatta di eccessi e castigo ben avrebbe potuto essere declinata come una tragedia classica.
A Trank interessa piuttosto il registro da thriller psicologico, senza però mai subordinarlo alla narrazione. Il risultato è una sarabanda di scenette nelle quali Tom Hardy si muove come in trance, perso in un'interpretazione metodica che, mal diretta, si fa subito caricaturale.
In fondo, forse è proprio questo l'obiettivo di Trank, decostruire il personaggio in una caricatura, un'ombra di ciò che fu durante gli anni di potere, ridotta a versione patetica di sé stessa. Il che, purtroppo, fa il paio con uno script claudicante e superficiale, restando così puro potenziale mal sfruttato. E, come se non bastasse, il montaggio, curato dall'autore in prima persona, appare a volte vistosamente insicuro, rendendo ancora più piatta la visione di quello che avrebbe potuto essere un dramma vigoroso, ma che preferisce essere un biopic incolore.
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