con: Gene Hackman, John Cazale, Harrison Ford, Cindy Williams, Allen Garfield, Frederic Forrest, Michael Higgins, Teri Garr, Elizabeth MacRae, Robert Duvall.
Drammatico/Thriller
Usa 1974
L'arrivo in sala dell'edizione rimasterizzata de La Conversazione è purtroppo coinciso con la morte di Gene Hackman, le cui tragiche circostanze la rendono ancora più dolorosa. E' però in senso lato una benedizione ricordare la sua memoria con una delle sue performance più solide, una di quelle forse meno citate quando si parla di lui, visto che ai primi posti figurano sempre Il Braccio Violento della Legge e Gli Spietati; ma è di certo nel modo in cui caratterizza Harry Caul che tutto il talento del compianto attore riesce a risaltare, anche se in modo estremamente sottile.
Una pellicola, quella di Coppola, che anch'essa non viene solitamente citata tra le sue opere migliori, venendo sempre surclassata, nella memoria collettiva dal coevo Il Padrino- Parte II, oltre che dai cultissimi Apocaplypse Now e Dracula di Bram Stoker, ma che rappresenta una delle prove più fulgide anche del suo di talento.
Un film che nasce da necessità estrinseche: sono i primi anni '70 e lo scandalo Watergate è lì lì per scoppiare. La diffidenza verso il governo dell'amministrazione Nixon è forte e il cittadino si ritrova a fare i conti con un potere statale che per tutelarsi non esita ad usare la violenza spicciola o anche a violare la privacy dei singoli, in azioni reminiscenti di quei totalitarismi europei che sembravano aboliti, di sicuro non degne di uno stato di diritto e di una democrazia.
Quella dell'essere spiato diventa una paura serpeggiante nella società, visto il clima rovente del post-1968, situazione che sempre in quegli anni porta Sam Peckinpah a dirigere il suo Killer Elite e il duo Robert Redford-Sydney Pollack e creare I Tre Giorni del Condor.
Per dare corpo a tali paure, Coppola decide di creare un piccolo film tutto basato sui personaggi. Un film che di certo non avrebbe contato scene spettacolari e che quindi difficilmente uno studio gli avrebbe prodotto. Riesce però a spuntarla con la Paramount quando questa decide di affidargli la regia del sequel de Il Padrino dopo il suo iniziale rifiuto. Eseguiti gli obblighi con il piccolo kolossal, il grande regista ha così mano libera per plasmare un'opera di certo non meno ambiziosa. E il risultato finisce per pagare: La Conversazione non solo è un capolavoro, ma nel 1974 gli è anche valsa la Palma d'Oro a Cannes.
Harry Caul (Hackman) è un affermato esperto di intecettazzioni. Il suo ultimo incarico, affidatagli da un misterioso imprenditore per il tramite di un sinistro intermediario (Harrison Ford) lo ha portato a spiare una coppietta (Cindy Williams e Frederic Forrest). Tuttavia, già quando il mandante inizia ad evitare di incontrarlo, Caul inizia a sospettare come sotto ci sia una storia decisamente più complessa.
Tutti possiamo essere intercettati. Non esiste privacy. Ovunque ci troviamo, sia nella solitudine della nostra abitazione che in una piazza gremita di gente, qualcuno può udire le nostre parole. Se già il pensiero che un organismo statale possa intromettersi nella vita privata è scioccante, ancora più destabilizzante è sapere che ad intromettersi possa essere un privato, ossia chiunque abbia i soldi per ingaggiare un intercettatore.
Caul alla fine non è che un mercenario, un uomo che per denaro distrugge vite, tanto che il suo passato è macchiato del sangue di gente anche innocente, da cui lo stress che affronta nel nuovo lavoro.
Ma La Conversazione non è soltanto un'opera che scandaglia la sensazione della paranoia, quanto in primis un piccolo saggio sulla solitudine, cucito letteralmente addosso al suo protagonista.
Tutta la prima parte è rivolta alla sua descrizione: un uomo che vive isolato in un guscio, una tana interiore simboleggiata dal suo appartamento da scapolo, dal quale si rifugia dal mondo esterno. Un solitario, forse stanco, forse semplicemente disilluso, la cui melanconia è magnificamente sottolineata dalle note di David Shire (cognato di Coppola).
Caul ha una relazione con una giovane donna, la quale ignora tutto di lui. Ha un amico, forse, solo nel collega Stan (il sempre ottimo John Cazale, che anche qui riesce a brillare nonostante lo scarno screen-time). Per il resto, è un uomo che ha paura di esporsi, paura di mostrare la sua umanità al prossimo proprio perché sa che essa può essere oggetto di ricatto.
Quando tenta di aprirsi, nella scena della seduzione con la compianta Teri Garr, Coppola sottolinea le sue frasi con uno splendido movimento di macchina ripetuto tre volte, tre campanelli d'allarme verso un errore che sta per commettere, come rivelerà qualche minuto dopo. Quando qualcuno riesce a violare il sancta sanctorum della sua privacy, nella scena del regalo di compleanno, Coppola lo guarda da lontano, con campi lunghi e panoramiche, praticamente le inquadrature principali usate nel suo appartamento, simbolo del suo distacco. Quando Caul decide di confessarsi, di rivelare a qualcuno qualcosa di se stesso, lo fa solo in sogno, cercando di connettersi con quella che ritiene una sua vittima, in una sequenza onirica nella quale Coppola inizia a sperimentare una messa in scena barocca.
Caul è un introverso, un uomo che vive di rimpianti, non solo quello che male che ha causato, ma anche di quello che potrebbe causare; il suo isolamento è volto ad evitare il dolore. E il suo lavoro, nel quale pur eccelle, è esso stesso fonte di dolore, soprattutto quando si scontra con la sua formazione cattolica.
E' nel dare corpo alla caratterizzazione del personaggio che Hackman risplende: per far risaltare la sua insicurezza e la sua tristezza, usa un approccio minimalista, usando sempre e solo gli sguardi, al massimo qualche piccolo gesto. Non esagera mai nella melodrammaticità neanche quando la scrittura lo richiede e il suo Harry Caul, prima ancora che credibile, è un personaggio che vive grazie ad una sincerità disarmante.
Il tema della paranoia subentra del tutto nella seconda parte e si lega a doppio filo con la caratterizzazione del protagonista. Da qui, Caul entra davvero in crisi al pensiero di poter aver nuovamente causato dolore a qualcuno. Da cui la ricerca ossessiva di un rimedio, solo per poi scoprire come tutto fosse diverso dai suoi sospetti. Il suo sguardo, che pur penetra senza remore nel privato, non è per forza di cose limpido, non è sempre veritiero: per quanto sia il migliore sulla piazza, il suo è pur sempre un punto di vista parziale sulla realtà, che quindi non può essere colta nella sua interezza.
Ribaltando l'assunto iniziale, Coppola anticipa il cinema che l'amico e collega Brian De Palma affronterà davvero con Vestito per Uccidere (benché anticipato già ne Le Due Sorelle) e decostruisce tutto quello che aveva costruito nel corso di tre quarti di film.
Il punto è chiaro: in quanto esseri umani, non possiamo avere fiducia in nulla, neanche nelle nostre sensazioni.
Da cui quel magnifico finale, dove Caul sprofonda nella disperazione paranoica e il suo sancta sanctorum viene fatto a pezzi, simbolo della mancanza totale di certezze nulla sua vita. Se non una: quella della solitudine.

La messa in scena distingue La Conversazione dal classicismo de Il Padrino. Qui Coppola, oltre che nelle sequenze clou, ricerca le inquadrature in modo più metodico, più sofisticato, facendo talvolta del virtuosismo fotografico un topos, come nella bella scena della cabina telefonica.
Il suo occhio è clinico quando si tratta di dar corpo all'interiorità di Caul, ma sa quando smettere di trattenersi e ricercare soluzioni più azzardate (ancora, la scena del sogno), in un equilibrio di stili che rende la regia qualcosa di incredibile, anche se al contempo incredibilmente sottile, mai davvero del tutto virtuosistica, mai compiaciuta delle soluzioni che adotta. Soprattutto quando fa il paio con la scrittura, che talvolta si fa smaccatamente teatrale, come nella lunga scena madre del festino nel laboratorio, punto di svolta e al contempo centro nevralgico narrativo che viene sviluppato con la semplice interazione dei personaggi, ma portato in scena in modo dinamico, privo delle pastoie proprie del puro teatro filmato.
Proprio il modo in cui Coppola fa convivere tali contrasti rende La Conversazione un'opera unica, un esperimento che riesce perfettamente a coniugare racconto intimista e rappresentazione di ansie sociali, thriller e melodramma, teatro e puro cinema.
Rivisto oggi, poi, questo piccolo-grande capolavoro finisce per imporsi come una visione ammonitrice: cinquant'anni il pensiero che ci fosse un orecchio in ascolto nelle nostre case era paranoico, oggi è una realtà placidamente accettata.
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