giovedì 9 aprile 2015

I Fratelli Grimm e l'Incantevole Strega

The Brothers Grimm

di Terry Gilliam

con: Matt Damon, Heath Ledger, Lena Heady, Jonathan Pryce, Monica Bellucci, Peter Stormare.

Fantastico/Commedia

Usa, Inghilterra, Repubblica Ceca (2005)














Davvero dura la vita da filmaker per Terry Gilliam. A partire dalla fine degli anni '90 non c'è stato un progetto a cui ha preso parte che non fosse afflitto da ritardi, defezioni o disastri naturali di sorta, come se la carica acida e distruttiva e sfoggiano le sue opere si fosse trasformata in una calamità naturale, una sorta di nuvolone fantozziano che lo perseguita su ogni set.
Perchè superata la crisi successiva al deragliamento di "The Man who killed Don Quixote", Gilliam si fionda subito si di un altro progetto, per certi versi più complesso ed ambizioso, la cui lavorazione arriva, si, a termine, ma solo a seguito di una serie di peripezie degne del Barone di Munchausen. "The Brothers Grimm" si presenta, almeno su carta, come un'opera stratificata ed intrigante: una rilettura dei classici fiabeschi mittleuropei con protagonisti i due omonimi fratelli, che nel XIX Secolo ripresero le favole tradizionali germaniche per farne una raccolta di storie della buonanotte edulcorandone i contenuti; protagonisti che, lungi dall'essere i due semplici studiosi di letteratura che erano nella realtà, sono ritratti come finti cacciatori di streghe, cialtroni ambulanti che tentano di sbarcare il lunario nella Germania occupata dalle truppe di Napoleone... finchè non sono costretti a confrontarsi con una vera strega.
Ma nel passaggio su pellicola lo spirito dissacratorio e visionario di Gilliam si perde e il risultato è uno strambo mostro di Frankenstein nel quale confluiscono visioni d'autore stentate, umorismo d'accatto e personaggi piatti; una creatura che, da qualsiasi punto la si guardi, risulta indigesta e malriuscita.


A cosa sia da addebitare la mancata riuscita del film non è dato saperlo; sulle prime verrebbe da biasimare la sceneggiatura di Ehren Krueger; anzi proprio Krueger, solito sceneggiatore superpagato e privo di talento; per intenderci: è lui il responsabile dietro gli abomini di "Scream 3" (2000) e dei seuqel di "Transformers", un curriculum davvero entusiasmante; ma sfortunatamente, Krueger non può essere additato come il solo responsabile visto che il suo script originario e stato rimaneggiato più volte da Gilliam e Tony Grisoni, sino a trasformarlo in qualcosa di totalmente diverso dalla stesura originale.
Si potrebbe così puntare il dito ai produttori: la MGM cominciò a produrre il film nel 2003, ma una volta cominciate le riprese si è tirata indietro, forzando Gilliam e soci a rivolgersi ai demoniaci fratelli Wenstein, i quali si sono ingeriti fin da subito nelle riprese, cominciando con il licenziamento del direttore della fotografia, Nicola Pecorini, a loro poco gradito. Ingerenza che ha portato ad uno contro frontale con Gilliam sul montaggio, le scelte artistiche e tecniche e che ha prodotto ulteriori ritardi nella lavorazione e post-produzione.
Tuttavia, lo scontro con i "capoccia" non è certo una novità per l'autore, che in passato, pur pressato da produttori ignoranti e saccenti, riuscì comunque a confezionare un capolavoro del calibro di "Brazil" (1985).
La colpa, quindi, è da accreditare allo stesso Gilliam, che si perde nei mille rivoli di temi, rimandi, personaggi e folklore senza riuscire a trarre qualcosa di compiuto dalla tanta carne al fuoco.


Lo spunto di partenza è intrigante: caratterizzare i due scrittori come anacronistici Ghostbusters cialtroni alle prese con una vera forza sovrannaturale; e va detto che nell'esecuzione Gilliam qualche cosa la azzecca, come il combattimento iniziale contro la falsa strega nella stalla e gli strampalati marchingegni pseudoscientifici con cui i Grimm seguono le tracce delle bambine sparite una volta giunti nel bosco; fatalmente, l'apporto del grande regista finisce qui.
Gilliam si dimentica dare un carattere forte e credibile ai suoi improbabili eroi, lasciandoli ancorati al puro stereotipo: Will (Matt Damon) è il donnaiolo viveur incallito mentre Jacob (Heath Ledger) è lo sfigato, punto; non esistono altri dettagli o sfaccettature, i due eroi non hanno carattere, solo una personalità basica e nel corso della loro avventura non giungono mai ad una catarsi vera e propria, a ricredere alle loro convinzioni se non in modo meccanico e forzato; e forzata è anche la love-story a tre con Angelika (Lena Heady), tanto che di punto in bianco ci si chiede perchè i due litighino per il suo amore.
Gli unici tratti di colore vengono forniti dai due attori protagonisti; Matt Damon, con il suo ghigno da buzzurro, è perfetto nel ruolo di Will e arricchisce il personaggio con grida isteriche da donnetta per distruggerne il ruolo da maschio alfa; meglio di lui fa Heath Ledger: svestiti i panni del biondo sex-symbol per teen-agers, l'attore australiano si mimetizza dietro gli occhiali e la barbetta di uno Jacob entusiasta ma poco fortunato, trisavolo dei dottor Spegnler e Stanz del duo Aykroyd/Ramis, dimostrando per la prima volta ottime doti attoriali anche quando sprofonda nell'overacting più puro.


Decisamente più riuscita è la concezione dei personaggi secondari, al solito ottimamente interpretati dal cast di comprimari; Jonathan Pryce torna a vestire i panni dell'ufficiale inflessibile, questa volta in modo decisamente più crudo rispetto a quanto visto in "Munchausen"; Lena Heady perde ogni femminilità per dar vita ad Aleksandra, unica sovversione di un topos presente, quello della damigella in pericolo, rielaborato come vero e proprio "personaggio d'azione"; mentre il personaggio più sfaccettato è, paradossalmente, anche il più caricaturale: il Mercurio Cavaldi di Peter Stormare, coacervo di tutti gli stereotipi sugli italiani riassortiti con un pizzico di omosessualità latente; eppure, proprio questa stramba caricatura semovente è l'unico personaggio a subire una trasformazione totale nel corso del film, tanto da risultare simpatico nella sequenza di chiusura. Vero e proprio miracolo è infine la performance della (al solito bellissima) Monica Bellucci, che riesce a non far scadere nel ridicolo involontario le scene in cui appare.
Ma anche questi raggi di sole non riescono a scacciare la tormenta che affligge il film.


La rielaborazione dei classici fiabeschi mittleuropei non sembra nemmeno eseguita da un artista del calibro di Gilliam; non siamo davanti alla celebrazione del mito come nel magnifico "Le Avventure del Barone di Munchausen" (1988), né nella sovversione anarchica dei topoi de "I Banditi del Tempo" (1981): qui Gilliam si limita a citare i punti cardine delle fiabe, come la strega cattiva, la vecchia megera, il lupo e il cacciatore o la puntura che addormenta le belle; citazione che si fa accumulo di situazioni e personaggi, strizzatina d'occhio furba e fine a sé stessa; ci si limita a passare in rassegna le reminiscenze fantastiche del passato senza alcuna ulteriore volontà alcuna se non quella di portarle su schermo tutte assieme.


Persino la confezione stilistico-estetica arranca; le trovate scenografiche e le soluzioni visive sono sicuramente azzeccate, ma questa volta sembra che a Gilliam manchi un'ispirazione vera e propria che lo porti a concepire sequenze davvero spettacolari o visionarie; non ci sono voli onirici, cavalieri fiammeggianti o mongolfiere fatte di biancheria intima: tutto l'immaginario di "The Brothers Grimm" è rigidamente chiuso in sé stesso e sterile; colpa anche (e questa volta non ci sono scusanti) della sceneggiatura troppo verbosa, che sovraccarica ogni scena di dialoghi pedanti e talvolta inutili. Nemmeno l'umorismo grottesco trova una sua forma efficace, regredendo a semplice slapstick fisico o a qualche battuta proferita dai sempre bravi attori.
Il colpo di grazia lo infliggono, alla fine, una fotografia blanda e posticcia e i brutti effetti speciali in CGI, talmente finti da risultare ridicoli.


Al netto dei difetti, non si può non vedere "The Brothers Grimm" come un'occasione sprecata: un'idea potenzialmente geniale eseguita puntualmente male; una pellicola purtroppo insalvabile e mai davvero divertente, unico vero neo (finora) nella sfavillante carriera del supremo cantore della fantasia al potere.

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