mercoledì 17 giugno 2015

Paura su Manhattan

 Fear City

di Abel Ferrara.

con: Tom Berenger, Melanie Griffith, Billy Dee Williams, Jack Scalia, Rossano Brazzi, Rae Dawn Chong, Michael V.Gazzo.

Noir

Usa (1984)















Quarto lungometraggio di Abel Ferrara, "Fear City" è per certi versi l'opera più convenzionale della prima parte della sua carriera: l'ennesima disanima su di un uomo retto alle prese con un mondo marcio, con una città infernale sullo sfondo; gli stereotipi e i luoghi comuni di tutto il cinema di genere americano degli anni '70 e primi anni '80 ritornano tutti, ma sarebbe miope liquidare "Fear City" come uno scarto, visti i molteplici punti di interesse che presenta.


New York City, anni '80; Matt Rossi (Tom Berenger) è un ex pugile finito a gestire un'agenzia di pole dancer con Nicky (Jack Scalia), l'amico di una vita; amareggiato per il suo passato burrascoso, distrutto dalla fine della relazione con la bellissima Loretta (Melanie Griffith), Matt dovrà presto confrontarsi con un nemico inatteso: un serial killer che uccide impunemente le ballerine dei night club.


Il setting è lo stesso di "The Driller Killer" (1979) e "Ms.45" (1981): una New York torbida, infestata da uno squallore viscerale e da una mancanza di morale opprimente. In uno scenario infernale, Matt è l'uomo distrutto dalla vita, schiacciato dalla colpa per aver ucciso un suo rivale sul ring e tormentato dall'abbandono di Loretta, che si è rifatta una vita con la collega Leila.
La caccia al killer viene svuotata da Ferrara da ogni risvolto giustizialista: Matt non è un vigilante, ma un guerriero che tenta di ottenere una forma di redenzione proteggendo ciò che più ama; la figura del giustiziere viene di converso cucita addosso al personaggio di Wheeler (Billy Dee Williams), poliziotto simil-fascista che esercita la legge con il pugno di ferro, del tutto insensibile ai veri bisogni della comunità.
La redenzione di Matt passa necessariamente per il recupero di quei valori che aveva perduto; la ricongiunzione con le sue radici, incarnate dal boss Carmine, interpretato da Rossano Brazzi, è un forma di riunione con quelle origini che Matt sembra voler obliare; la caratterizzazione del boss e della sottocultura mafiosa italoamericana è a tratti ridicola: Ferrara si limita a riprendere l'immaginario coppoliano che già si era sedimentato nel corso di 11 anni, scadendo dello stereotipo più puro.
Ritrovata la sua identità, Matt redime la sua anima per i peccati passati: la confessione lo assolve e gli dà la forza di affrontare il suo avversario mediante la ricongiunzione con le radici cattoliche.
In ultimo Matt ritrova il rigore dell'allenamento fisico: la perdita delle comodità moderne, dell'alcool e dell'amore gli servono a riconquistare la determinazione che in passato aveva.
La distruzione finale del killer, montata in parallelo con l'uccisione del rivale, mostra una catarsi completa: l'accettazione del peccato mediante la redenzione presente.




Lo sguardo di Ferrara si sposta così dal lato opposto rispetto al passato: dai carnefici alle vittime che tentano in ogni modo di sopravvivere e riscattarsi dagli orrori della metropoli, tanto che "Fear City" può tranquillamente essere visto come il lato opposto delle due pellicole precedenti, con le quali forma un'ideale trilogia sul delirio urbano.
Delirio che qui si colora, oltre che con il sangue, copioso più che mai, con il tema della paranoia, che consuma tutti i personaggi: una paura inconscia ed ancestrale che si fa strada tra i vicoli della città; la paura della morte improvvisa, che Ferrara immette del suo cinema ispirandosi probabilmente al killer "Son of Sam" che terrorizzò davvero Little Italy nell'estate del 1977.
Serial Killer il cui delirio viene questa volta ritratto come un'ispirazione spirituale: non più il semplice figlio della violenza e della bestialità della metropoli, ma un vero e proprio crociato in lotta con la corruzione spirituale che alberga nella città, antesignano del più famoso John Doe del "Se7en" (1995) di Fincher.




E se la tensione latita, la regia è più convenzionale che in passato, i personaggi secondari sono stantii e non ci sono veri colpi di scena, ad intrattenere ci pensano la fotografia, che con un budget alto permette all'autore di ricreare la sua Mulberry Street notturna in modo vivido e sfavillante, e gli attori, con Berenger semplicemente perfetto e la sensualissima Melanie Griffith, mai più così bella, che riscatta la noia con le sue magnifiche forme.

2 commenti:

  1. Io amo questo film. Ha tutto cio' che un vero noir deve avere (a partire dalla metropoli corrotta e marcia. Va visto nella versione integrale

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    1. Concordo. Malauguratamente la versione integrale è tutt'oggi molto difficile da reperire anche all'estero.

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