di Abel Ferrara.
con: Gabrielle Anwar, Terry Kinney, Billy Wirth, R.Lee Ermey, Meg Tilly, Forest Whitaker, Christine Elise.
Fantascienza/Horror
Usa-1993
---CONTIENE SPOILERS---
All'indomani dell'uscita de "Il Cattivo Tenente" (1992), Abel Ferrara non era più considerato un semplice artista di genere, ma un autore maturo, in grado di dar vita alle proprie ossessioni in modo fulgido e viscerale mediante uno stile personale e privo di compromessi.
Cosa lo abbia portato a riallacciare i rapporti con il cinema di genere a tutto tondo non è dato saperlo. Fatto sta che, appena un anno dopo aver firmato il suo più intimo capolavoro, si ritrova alla regia di "Body Snatchers", curioso spin-off del romanzo di Jack Finney in cantiere presso la Warner. Ma i tempi di "Cat Chaser" (1989) sono fortunatamente lontani: pur approcciandosi ad una materia non sua ed ad una sceneggiatura già in larga parte scritta, Ferrara riesce ad imporre la sua visione nella pellicola e a creare un film di sicuro non memorabile, ma totalmente riuscito, un b-movie nato con sole pretese di cassetta dalla quale emergono riflessioni urgenti, proprie del cinema d'autore più rigoroso.
Cosa lo abbia portato a riallacciare i rapporti con il cinema di genere a tutto tondo non è dato saperlo. Fatto sta che, appena un anno dopo aver firmato il suo più intimo capolavoro, si ritrova alla regia di "Body Snatchers", curioso spin-off del romanzo di Jack Finney in cantiere presso la Warner. Ma i tempi di "Cat Chaser" (1989) sono fortunatamente lontani: pur approcciandosi ad una materia non sua ed ad una sceneggiatura già in larga parte scritta, Ferrara riesce ad imporre la sua visione nella pellicola e a creare un film di sicuro non memorabile, ma totalmente riuscito, un b-movie nato con sole pretese di cassetta dalla quale emergono riflessioni urgenti, proprie del cinema d'autore più rigoroso.
Il romanzo di Finney era già comparso due volte su schermo; la prima nel 1956, con il classico "L'Invasione degli Ultracorpi" diretto da Don Siegel, vero e proprio manifesto della fantascienza paranoica dell'epoca, nel quale i famosi "baccelloni alieni" erano la metafora del "pericolo rosso" che si infiltrava silenzioso nella società americana per fagocitarla lentamente. Nel 1978 è la volta del remake di Philip Kaufman, "Terrore dallo Spazio Profondo", nel quale l'orrore diviene più viscerale, in una sorta di body horror nel quale il tema del doppio viene declinato come metafora di una società annichilente.
Ferrara, dal canto suo, non si rifà a nessuno dei predecessori, avvicinandosi nello spirito a quello che era il tema del romanzo: la distruzione dell'emozione umana come forma di liberazione dell'individuo dalla violenza, controbilanciata dalla perdita dell'individualità.
Lo script, rimaneggiato dal fido Nicolas St.John e sul quale aveva precedentemente lavorato anche Stuart Gordon, sposta l'ambientazione dalla sonnolenta provincia americana ad una base militare, introducendo una forte metafora antimilitarista.
L'ultracorpo di Ferrara è l'esponente di una civiltà del tutto opposta a quella umana, sicuramente non migliore, ma neanche automaticamente peggiore; la cancellazione dei conflitti mediante la soppressione delle emozioni è un fine ai limiti dell'altruistico: la colonizzazione silenziosa mira non alla semplice sostituzione dell'essere umano con un suo doppio privo di emozioni e totalmente regolato dalla logica più basilare (da qui la necessaria preferenza del termine italiano "ultracorpo", ossia "corpo altro", inteso come dissociazione dell'essere umano da parte sé, molto più calzante dell'originale "body snatcher", letteralmente "scippatore di corpi"), bensì alla creazione di una nuova umanità che si autoregoli mediante la sola funzione cerebrale.
La scelta di ambientare la vicenda in una base militare diviene caratteristica vincente che permette di donarle un ulteriore significato.
L'istituzione militare viene illuminata di una duplice accezione; da un lato come emblema della stessa umanità, impegnata in attività ottusamente distruttive, come la guerra chimica della padre di Marty è chiamato a valutare gli effetti in tempi in pace. Dall'altra, la personificazione stessa della "nuova società" in via di formazione da parte dei coloni alieni; una società nella quale l'individuo non può esistere se non come unità frazionata del tutto, dove il singolo corpo deve essere necessariamente ricondotto al corpo sociale; proprio come nell'esercito, dove il singolo soldato non è che un'appendice di un gigantesco organismo, a suo modo sacrificabile e sostituibile da un altro poichè privo di effettiva individualità. Il concetto di omologazione nella sua accezione più terribile trova così una sua perfetta personificazione.
Nel portare in scena la vicenda, Ferrara decide di eliminare i personaggi più forti: il pater familias di Terry kinney ha un ruolo ai limiti dell'ancillare, mentre l'ufficiale medico di Whitaker, il primo ad accorgersi dell'invasione, viene relegato nei confini della paranoia.
Protagonisti assoluti sono la giovane Marty, interpretata dalla bellissima Gabirelle Anwar, suo fratello Andy, ancora bambino, ed il giovane pilota Tim, ossia gente comune, per di più giovane, lontana dal potere decisionale che solitamente la società militare concede agli ufficiali e quella civile ai membri attivi.
Scindendo la vicenda in due parti, Ferrara costruisce l'incipit quasi come una favola horror, nella quale l'orrore strisciante viene dapprima visto solo di sguincio dal piccolo Andy, come l'incubo di un bambino. La scelta del punto di vista di Andy, Marty e, in parte, di loro padre coincide con una messa in scena perlopiù in soggettiva, dove lo spettatore è chiamato ad attraversare gli ambienti e ad assistere alla follia dilagante direttamente con gli occhi dei personaggi; mentre si avvicina a questi con i soliti, magnifici, primi piani che distinguevano il cinema di Ferrara dell'epoca, talmente espressivi da rendere gli attori ancora più vivi. Nella seconda parte, il caos si espande e la lotta per la sopravvivenza contro l'omologazione diviene imperativa.
La costruzione della tensione nella prima parte è da manuale: alle prese con un genere solo sfiorato, Ferrara dimostra un'ottima dimestichezza nel creare suspanse e sopratutto nel farla esplodere all'improvviso, come nella scena in cui Andy scopre il simulacro della madre. Da antologia la fotografia del fido Bojan Bazzelli, che usa le tenebre per dipingere ogni singolo ambiente, contrastando ogni scena in modo netto ed espressivo. Persino la direzione di un duo di attori inesperti, la Anwar e Wirth, riesce a sopperire alle mancanze della sceneggiatura e a far respirare due personaggi ai quali, su carta, veniva concesso poco spazio per l'introspezione.
Dismessi i baccelli vegetali del classico di Siegel, gli ultracorpi di Ferrara sono i più viscerali mai apparsi su schermo. La fagocitazione del corpo estraneo avviene ora con tentacoli che avvinghiano la vittima, mentre in un vero e proprio utero una nuova vita viene creata. Non c'è quasi nessuna differenza, sul piano biologico, tra l'originale e la copia: anche l'invasore ha qui la dignità di un essere vivente. Tanto che nell'epilogo, la "giusta vendetta" di Andy, novella Thana qui chiamata a riscattare l'umanità tutta, si colora di una nota truce, nella quale l'orrore dello sterminio gratuito e feroce cancella ogni effettiva forma di giustizia. Il massacro operato dagli umani non è meno sconvolgente dell'omologazione aliena, facendo risaltare tutta la brutalità di cui l'uomo è capace. La contrapposizione tra creature di puro intelletto e animali civilizzati non ha così né vincitori né vinti, non finisce a causa di un finale aperto che mima quello dei due film precedente, senza purtroppo eguagliarne la carica distruttiva, ma lasciando comunque lo spettatore scosso, nella scomoda posizione di valutare tutto l'orrore al quale ha assistito: l'orrore di un mondo in preda alla cieca violenza, l'orrore di un mondo pacifico, ma privo di vita.
Elegante ed inquietante, "Body Snatchers" è un piccolo esempio di cinema commerciale che nelle mani dell'autore giusto riesce ad essere più profondo di quanto ci si potrebbe aspettare. Di certo non un capolavoro, ma una piccola gemma che merita di essere riscoperta. Sopratutto a seguito dell'infausta visione di "Invasion" (2006), ultimo e peggiore adattamento del romanzo di Finney, che grida vendetta.
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