mercoledì 7 febbraio 2018

The Post

di Steven Spielberg.

con: Meryl Streep, Tom Hanks, Matthew Rhys, Sarah Paulson, Bob Odenkirk, Bruce Greenwood, Tracy Letts, Allison Brie, Jesse Plemons.

Storico/Drammatico

Usa, Inghilterra 2017
















Sembrava che Spielberg fosse l'ultimo regista al mondo a poter parlare con efficacia dello scandalo dei "Pentagon Papers"; eppure, con "The Post" è riuscito a stupire, a creare una ricostruzione attenta ai dettagli, esteticamente appagante, rifacendosi al miglior cinema di Alan J.Pakula e in generale al filone impegnato del cinema americano anni '70, scadendo qualche volta nei clichè, ma tenendo sempre alta l'asticella della tensione morale.




"The Post" è la storia della Storia, di come il Washington Post (e prima il New York Times) siano riusciti, nei primi anni '70, a pubblicare i dossier dei famosi "Pentagon Papers", commissionati da Robert McNamara e contenenti un reportage completo sull'impegno militare americano in Indocina sin dalla fine degli anni '40. Uno scandalo che tocca solo marginalmente l'amministrazione Nixon (pur essendo quest'ultimo il principale avversario alla loro pubblicazione) e che travolge le figure di Kennedy ed Eisenhower, sopratutto con riguardo alla coscienza dell'impossibilità di vincere la Guerra del Vietnam ed il relativo sacrificio di oltre il 70% delle truppe mobilitate al solo fine di "salvare la faccia".




Una cronaca che parte e finisce come un thriller, con il furto dei documenti e l'incipit del caso Watergate e la successiva caduta del "cattivo", ma che si sviluppa appoggiandosi sul conflitto interno al Post, sulle responsabilità dell'editore e del padrone della testata, sulle pressioni dovute all'imminente lancio sul mercato borsistico della testata e, ancora maggiori, quelle relative al peso delle notizie ricevute.
Conflitto tra etica giornalistica, devozione patriottica e, sopratutto, immanenti necessità editoriali. Non ci sono eroi nello script di Josh Singer (già autore de "Il Caso Spotlight"), tutti i personaggi sono come ingranaggi di una gigantesca macchina organizzativa, devota a riportare non la Verità, ma i fatti. Un approccio al giornalismo meno idealizzato di quanto il cinema americano ci abbia abituato (e per questo lontano dalle corde degli stilemi spielberghiani), più vicino alla realtà, costantemente alla ricerca di una verosomiglianza anche quando porta in scena sequenze utili al solo fine narrativo (su tutte, l'incontro tra Kay Graham e McNamara o l'immancabile monologo ispiratore finale). Una visione dove la pubblicazione dei dossier diviene atto di rivolta con un establishment bugiardo e manipolatore e la figura del giornalista, come nella prima visione di Tocqueville, un contrappeso necessario ai fini del corretto funzionamento della macchina democratica.




La regia di Spielberg si adegua di conseguenza; pur non sparendo, il suo tocco è sempre messo al servizio della storia; e riesce a non scadere nell'arido o nel manieristico grazie ad una serie di tocchi eleganti, come l'uso della steady con inquadrature dal basso per le sequenze nella redazione, o il riflesso di Bob Odenkirk nella scena del telefono pubblico, o ancora le soggettive nervose.
Il risultato è compatto e mai piatto, un'opera piccola, ma efficace, uno Spielberg minore, che non ha certo la forza dirompente del cinema a cui si rifà, ma riesce lo stesso a portare in scena con convinzione una storia scomoda e non semplice da trattare.

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