1935 - 2023
Eclettico e per certi versi geniale, Friedkin ha rappresentato il lato quasi un'eccezione nel panorama della New Wave americana, fermo com'è stato ad un sistema produttivo del tutto classico, seppur bilanciato da uno stile di regia innovativo, oltre che sull'uso di budget più grossi, per opere decisamente più ambiziose sul piano produttivo rispetto alla media dell'epoca. E il suo cinema è tutt'oggi incredibilmente moderno, incalcolabilemente influente, immensamente bello, con capolavori venerati e piccole gemme che meriterebbero di essere riscoperte.
"Festa di compleanno per il caro amico Harold" (1970)
Un giovane eterosessuale si confronta (e scontra) con la comunità gay di fine anni '60. Friedkin, in parte conservatore e in seguito persino accusato di omofobia per "Cruising", dà voce a quella comunità solitamente ignorata dal cinema mainstream, rivelandone le debolezze, ma anche la forza.
"Il Braccio violento della legge" (1971)
Prendendo spunto dalla cronaca della guerra tra la polizia di New York e la mafia marsigliese, Friedkin ricrea da zero il poliziesco avvicinandolo alla realtà, girando tutto il film per le strade e le location reali, caratterizzando il suo protagonista come un duro fatto e finito, eppure tanto integerrimo quanto fallibile, dirigendo uno degli inseguimenti più arditi di sempre e lanciando la carriera del grande Gene Hackman.
"L'Esorcista" (1973)
Friedkin porta su schermo il romanzo omonimo (e già piccola opera di culto) di William Peter Blatty, in quello che non è un semplice horror, quanto una riflessione sul concetto di fede e di male assoluto nella modernità.
"Il Salario della Paura" (1977)
Terzo capolavoro di fila, nonché il suo film più vicino alla sensibilità europea. Friedkin ricrea il capolavoro di Henry-Geroge Clouzot e gira tutto nelle reali location della storia, con un grosso sforzo logistico e produttivo. Cocente flop di cassetta, è invece uno dei film più belli del decennio.
"Cruising" (1980)
Secondo (cocente) flop e vero e proprio "film maledetto" che farà prendere alla sua carriera una direzione diversa. Friedkin porta di nuovo al cinema uno scottante caso di cronaca, questa volta quello di un serial killer che terrorizzava la comunità gay newyorkese negli anni '70 (tutt'oggi irrisolto). Con una struttura da poliziesco canonica, si immerge nei meandri della vita notturna, dei gay bar frequentati da omaccioni in completi di pelle attillata e crea uno spaccato sulla perversione e la devianza psicologica subito scambiato (a torto) per un atto d'accusa contro l'omosessualità.
"Vivere e Morire a Los Angeles" (1985)
Tornato alla piena forma, Friedkin incapsula lo zeitgeist degli anni '80 in un'ora e cinquantasei minuti al cardiopalma, che culminano in un'ennesima lezione su come portare in scena gli inseguimenti in auto.
"Assassino senza colpa?" (1987)
Ribaltando prospettive e aspettative, Friedkin porta in scena la strana storia di un feroce serial killer forse colpevole, forse no.
"La Parola ai Giurati" (1997)
Remake per HBO del capolavoro di Sidney Lumet, che Friedkin riporta in scena cambiando giusto il cast, composto da due giganti del calibro di Jack Lemmon e George C.Scott, oltre che da James Gandolfini, Ossie Davis e Armin Mueller-Stahl.
"Bug- La Paranoia è Contagiosa" (2006)
Portando in scena una pièce di Tracy Letts, Friedkin crea un ritratto della paranoia tanto ovvio quanto riuscito, anche grazie alle ottime prove di Ashley Judd e Michael Shannon.
"Killer Joe" (2011)
Ultima regia di fiction e terz'ultima opera in generale (alla quale seguiranno giusto un paio di documentari). Friedkin traspone un'altra opera teatrale di Tracy Letts su grande schermo, in un tripudio di cinismo e cattiveria a dir poco sublime.
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