lunedì 31 luglio 2023

Shin Masked Rider

Shin Kamen Raidâ

di Hideaki Anno.

con: Sosuke Ikematsu, Minami Hamabe, Shinya Tsukamoto, Mirai Moriyama, Tatsuko Emoto, Toru Tezuka, Suzuki Matsuo, Toru Nakamura, Ken Yasuda.

Fantastico/Azione

Giappone 2023













Tra un film di "Evangelion" e l'altro, Hideaki Anno si è anche affermato come il filmmaker dei "rilanci" dei classici della cultura popolare nipponica. Già con il bel "Shin Godzilla" è riuscito a riportare in auge il Re dei Kaiju e con il successivo "Shin Ultraman" (da lui però solo scritto) ha modernizzato una delle icone pop più amate di sempre nel Sol Levante, creando le basi di quel "Shin Japan Heroes Universe" che sembra voler rivaleggiare con le produzioni cinematografiche in serie americane.
"Shin Kamen Raidâ" è così il classico "passo dovuto" che lo porta a confrontarsi con un'icona dalla portata incredibile: il figlio più famoso di quel Shotaro Ishinomori la cui importanza storica come mangaka è seconda solo al "dio" Osamu Tezuka, nonché l'iniziatore del fenomeno dei tokusatsu.



Un tokusatsu, quel "Kamen Rider" iniziato nel 1971 e che tra interruzioni, riprese, remake e rifacimenti vari è in corso tutt'oggi (è del 2022 l'ultima serie, "Kamen Rider: Black Sun"). E sebbene in Giappone goda di fama imperitura, non è mai riuscito ad affermarsi in Occidente; cosa strana, visto che Haim Saban, sulla scia del successo dei "Power Rangers", ne ha creato una versione ad hoc verso la metà degli anni '90, la quale non ha però riscosso il successo sperato e ha fermato ogni possibile affermazione del personaggio al di fuori del Sol Levante.
Kamen Rider è praticamente l'apripista dei "Super Sentai" vari, nonché l'archetipo del supereroe giapponese, che con il suo stile camp ed esagerato ha dato vita a praticamente tutti gli eroi in casco e tutina venuti dopo.
Anno, da regista di anime e filmmaker facente parte di quella prima generazione di otaku passati dietro la macchina da presa in entrambi i campi, opta per un lavoro del tutto antitetico rispetto a quanto fatto con "Shin Godzilla": laddove lì riprendeva il modello classico e lo modernizzava, con "Shin Kamen Raidâ" riporta alla pari il modello di riferimento, modernizzandolo il meno possibile.
Sia in fase di scrittura che di messa in scena, il tono sciocco e camp del serial originale ritorna prepotente.



In meno di 120 minuti di durata effettiva, Anno condensa quella che potrebbe essere la storia di un'intera stagione televisiva. Si parte con la genesi del "Cavaliere Mascherato" o "Cavalletta Aug", mutante ibrido uomo-insetto creato dall'associazione SHOCKER, società segreta che ha come fine la realizzazione della felicità umana, la quale non è ovviamente quella che potrebbe pensare.
Il Rider è qui una nuova incarnazione dell'originale Takeshi Hongo (Sosuke Ikematsu), il quale viene liberato dal giogo dell'organizzazione dal suo stesso creatore, lo scienziato Hiroshi Midorikawa (un simpatico cameo di Shinya Tsukaoto, qui nelle vesti di un fautore di reali forme di body-horror). Coadiuvato dalla di lei figlia Ruriko (Minami Hamabe), Hongo si unisce ad un organizzazione governativa per combattere SHOCKER, duellando di volta in volta con gli altri super-soldati del gruppo.




L'incipit dell'eroe e la mitologia alla base del tutto vengono gettati in faccia allo spettatore nei primissimi minuti, il tutto nel modo più didascalico possibile. La scrittura è volutamente scialba e diretta, con una costruzione della vicenda che riprende la formula del "mostro settimanale" e costruisce tutta la storia come una serie di incontri tra Kamen Rider e il cattivo di turno, eliminato in pochi minuti. Tutti i personaggi secondari hanno di conseguenza una caratterizzazione ai limiti dell'inesistente, salvo tre eccezioni, ossia Vespa-Aug (Nanase Nishino), ex amica di Ruriko, il villain principale Ichiro (Mirai Moriyama) e Hayato Ichimonji (Tasuko Emoto), il Kamen Rider numero 2, che da metà film affianca Hongo. E per pura coerenza stilistica, Anno inserisce anche uno spettacolare buco di trama quando fa sparire per praticamente tutto il film il villain iniziale, l'intelligenza artificiale I e il suo "corpo" androide K, che si riaffacciano solo nel finale.




Contro una costruzione naif della storia, il tono e le tematiche trattate sono del tutto seriose; si parte dal body-horror, con la trasformazione "henshin" che tramuta Hongo e gli altri Aug in mostruosità vere e proprie sotto i costumi sgargianti; si passa per il dramma della solitudine e la ricerca di un senso di giustizia in un mondo freddo e violento e si arriva alla lotta per la ricerca della felicità e il significato della medesima.
Lo scarto tra contenente e contenuto è poi acuito da una messa in scena che abbraccia pianamente il camp della tradizione, con montaggio velocissimo, eroi e cattivi in pose teatrali che combattono per le campagnie o sullo sfondo della periferia industriale, personaggi che entrano e escono dalle inquadrature senza soluzione di continuità e una CGI orgogliosamente vetusta, che sembra uscita da una produzione giapponese dei primi anni 2000 piuttosto che da una contemporanea. L'unico tocco di originalità viene dato dal ricorso agli inserti splatter, con il sangue che scorre copioso durante i combattimenti. Per il resto, sembra di assistere ad una sorta di "Kyashan- La Rinascita" meno esteticamente feroce, ma ugualmente dinamico e indaffarato nel restituire un'estetica e uno stile estranei ad una messa in scena filmica vera e propria.
Anno riesce lo stesso ad inserire una nota di regia del tutto personale e anti-nostalgica con l'uso della camera a mano; esempio supremo è il combattimento finale, dove la macchina da presa segue lo scontro con il villain Ichiro in maniera para-documentaristica, scartando definitivamente dall'omaggio alla tradizione.



Il risultato è volutamente scostante, una sorta di omaggio sentito al passato che va oltre la semplice nostalgia  per ridargli corpo in maniera diretta. Con la conseguenza più ovvia che lo spettatore meno avezzo a tale tipo di operazioni ben può trovare il tutto inutilmente ridicolo.
Oltre che al sottovalutato adattamento di Kyashan ad opera di Kazuaki Kiriya, la mente non può che correre ad un altro omaggio al tokusatsu, il bel "Zebraman" di Takashi Miike, verso il quale il lavoro di Anno si distingue per la volontà di non voler cambiare, di non voler dare un effettivo significato ulteriore al materiale di base, di non volerlo semplicemente omaggiare, bensì riportarlo in auge nel modo più diretto possibile.
"Shin Kamen Raidâ" è così pura pop-art cinematografica, un'operazione che parte dalla cultura popolare per farsi atto d'amore intellettuale da parte di un fan orgoglioso (al pari del quasi coevo "The Munsters" di Rob Zombie). Riuscito, ma decisamente elitario.

1 commento:

  1. Più che altro serve un'infarinatura di tokusatsu in generale e soprattutto bisogna saper stare al gioco.

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