di George A.Romero
con: Duane Jones, Judith O'Dea, Karl Hardman, Marilyn Eastman, Keith Wayne, Judith Ridley, Kyra Schon.
Horror
Usa (1968)
---SPOILERS INSIDE---
1968: l'anno della Rivoluzione Culturale; per le strade orde di giovani strillano slogan contro la guerra e a favore dei dritti civili, si inneggia alla rottura violenta con un passato asfissiante e alieno, con le convenzioni ipocrite e vuote della società borghese, si inneggia alla rivolta feroce contro le istitutzioni, foriere di scandali, pregiudizi e prevaricazioni.
Al cinema sono due le opere che si impongono come nuovi paradigmi estetico-stilistici in grado di rivitalizzare il mezzo stesso e rigenerare il genere; da un lato "2001: Odissea nello Spazio", il supremo capolavoro di Kubrick, l'opera più alta mai concepita su celluloide che ridefinisce il concetto stesso di fantascienza e di narrazione per immagini; dall'altro un piccolo B-Movie, girato tra amici con un budget di appena 114.000 dollari e distribuito inizialmente nel solo circuito dei drive-in; un film rude, ma non rozzo, viscerale ma non morboso, che rivoluziona e svecchia il concetto stesso di orrore: "La Notte dei Morti Viventi", esordio di George A.Romero ispirato al capolavoro di Richard Matheson "I am Legend".
SI può davvero dire che il cinema horror possa essere diviso in due categorie: prima e dopo lo sfavillante esordio del regista di Pittsburgh; perchè nella metà degli anni '60 il genere era ancora ancorato ai paradigmi del gotico baviano e hammeriano e dell'horror classico degli anni '30: mostri vittoriani che infestano antichi castelli, vecchie maledizioni che tornano a tormentare nobili casate, vampiri avvinghiati in abiti di lusso che insidiano giovani e prosperose vergini in abito da notte; le eccezioni alla tradizione gotica si contano sulle dita di un mano e spesso sono semplici B-Movie da accatto; fuori dalle sale cinematografiche, lontano da quei castelli in rovina, dai non-morti dai nomi mitteleuropei e dalle maledizioni ataviche, pulsava un orrore vero e ben più spaventoso: la guerra in Vietnam, l'assassinio di John e Robert Kennedy e Martin Luther King, i massacri perpetrati dalla guardia nazionale contro i manifestanti e le cacce al "negro" negli stati del sud; l'orrore filmico, in pratica, era tutto fuorchè "moderno", sia nell'ambientazione, sia nella sua concezione: isolato ad un passato ormai remoto e stilisticamente codificato nella classicità più genuina.
Fu per puro caso e per necessità che Romero e soci riuscirono a scardinarne i topoi per ricrearli da capo. Un budget striminzito permetteva loro di girare solo in location e ricreare giusto un set per la cantina della casa, praticamente l'unico luogo in cui si svolge tutto il film; un pugno di attori rimediati tra gli stessi membri della troupe, salvo il protagonista, l'esordiente Duane Jones, un afroamericano a cui viene affidato il ruolo di "eroe" e che permette a Romero di aggiungere un sottotesto razziale inizialmente neanche immaginato. Pochi mezzi tecnici, presi di peso dalla stazione televisiva dove il regista lavorava, impongono uno stile ruvido: camera a mano, inquadrature per lo più fisse e montaggio veloce, usato anche per coprire gli errori e le discrepanze dovute alla fretta durante le riprese, effettuate tutte rigorosamente nei soli fine-settimana; e sopratutto una fotografia in bianco e nero ed un formato video in 4/3, per contenere i costi di sviluppo e stampa, che permettono però all'autore di creare immagini strette e ricche di pathos. Nasce in pratica un nuovo modo di intendere l'horror, più vicino al cinema-veritè francese e al neo-realismo italiano, che porta le sue creature in una casa simile a quella degli spettatori e mostra la violenza in modo diretto, senza filtri nè abbellimenti; un horror "neo-realista", appunto, perchè più vicino alla realtà sia nella messa in scena che nei contenuti.
Un horror, inoltre, che fa dei contenuti e del rapporto tra i personaggi il suo vero punto di forza, disvelando dinamiche narrative fino ad allora inusuali in un film di genere. Il tema razziale introdotto da Duane Jones trova manforte anche nei finti filmati giornalistici, con lo sceriffo McClelland che conduce le orde di miliziani in una caccia che ricorda i linciaggi dei "diversi" nel Mississipi e nell'Alabama; e di fatto, la scena più agghiacciante di tutto il film, ad oggi, non è la cannibalizzazione dei cadaveri, ma quel finale angosciante dove l'eroe viene freddato in modo crudo e trasformato in carne da macello, arpionato con uncini da macellaio e messo al rogo al fianco dello zombi della prima di scena; un uomo di colore trattato come pura carne da macro da un gruppo di redneck bianchi, che richiama inevitabilmente alla mente i massacri del Ku Klux Klan e i pestaggi vigliacchi della segregazione razziale, all'epoca ancora reale ed urgente.
Razzismo che in realtà si stempera nel rapporto tra Ben e il sig.Cooper per trasformarsi nella lotta tra maschi alfa per il predominio; da un parte c'è Ben, l'eroe indomito e un pò freddo, il cui diritto di comando è sancito dal possesso del fucile, l'arma da fuoco vero e proprio scettro del potere nella società americana; dall'altra Cooper, il pater familias arrabbiato ed ostinato, che non consente a nessuno di questionare la sua autorità; lo scontro tra i due si infiamma sin dal primo incontro: entrambi hanno un piano per sopravvivere alla notte, entrambi hanno ragione, ma l'ottusità del loro carattere li porta ad una forma di incomunicabilità nervosa che sfocia nella violenza pura, in un confronto per il dominio che di fatto non trova soluzione: Ben riesce a mantenere il suo status quo, ma per sopravvivere dovrà ritirarsi nella cantina, ossia utilizzare il piano di Cooper, che si rivela più efficace del suo.
I due ragazzi innamorati, Tom e Judy, solitamente protagonisti delle pellicole di orrore e fantascienza di serie B, vengono relegati da Romero in un ruolo secondario, del tutto ancillare; ed anzi: è proprio il ragazzo a causare la distruzione dell'unica via di fuga a causa della sua sbadataggine; la storia d'amore dei due finisce con una deflagrazione annichilente, che distrugge ogni speranza ed apre la via all'orrore più puro: il cannibalismo dei corpi straziati, che vengono divorati avidamente dai morti, mostrato ora in maniera diretta, senza filtri, per dipingere l'orrore viscerale nella sua forma più genuina in modo vivido e definitivo su schermo, nella prima vera scena splatter della storia dell'horror moderno (sebbene i primi "esperimenti" con il gore risalgano ad H.G. Lewis e addirittura e Meliés).
E con le due figure di Karen Cooper e Barbra, Romero distrugge definitivamente anche l'ultimo bastione di salvezza della società americana: la famiglia, che si trasforma anch'essa in fucina di orrori. La piccola Karen, la bambina figlia della middle-class, risorge come non morto e divora entrambi i genitori, in una delle scene più scioccanti per l'epoca, perfetto specchio deformato di una nuova generazione pronta a distaccarsi dal cordone ombellicale dei propri predecessori; mentre Barbra rappresenta la distruzione del rapporto fraterno: introdotta come protagonista, con un twist alla fine del primo atto degno di Hitchcock si ritrae sullo sfondo della vicenda, divenendo oggetto passivo, vittima designata che riprende vigore solo durante climax e solo per essere divorata dal quel suo fratello maggiore che si divertiva a spaventarla e che ora trasforma lo scherzo innocente del prologo in una brutale ricongiunzione.
Il morto vivente perde, con Romero, ogni connotazione mitica: non più uomo la cui personalità è stata annientata, né semplice schiavo redivivo, lo "zombi" (ma il termine non viene mai usato esplicitamente nel corso della pellicola) è ora un cadavere rianimato e soprattutto antropofago, una macchina di morte lenta ma inarrestabile mossa unicamente da una "fame" di carne viva. Lo zombi diviene così l'incarnazione di tutte le paure più recondite dell'uomo: la paura di una forza indomabile e incontenibile, di un'epidemia dalle origini non chiare (la storia delle radiazioni spaziali è puramente pretestuosa per ammissione dello stesso autore), di un orrore vivo e carnale, fatto di carne e che di carne si nutre; un orrore con il quale non si può scendere a compromessi, che non vuole nulla: non è sulla Terra per conquistare, né per ghermire uno sparuto numero di vittime, ma solo per distruggere tutto e tutti; e la casa in cui i sopravvissuti si rifugiano viene così svuotata di ogni valenza salvifica, non è più né un luogo sicuro né res da proteggere, ma un mero moderno fortino nel quale un gruppo di sconosciuti si asserraglia disperatamente per sopravvivere (invano) alla notte.
E la staticità propria dell'horror gotico viene sostituita da Romero con un montaggio serrato, che compone ogni scena con inquadrature fisse e veloci, dando una sensazione di dinamismo nelle scene d'azione ancora oggi notevole; mentre nella composizione delle inquadrature e nella fotografia, l'autore si rifà direttamente alla radice dell'horror: l'espressionismo tedesco, usando ombre sbilenche ed immagini oblique per creare un'atmosfera genuinamente inquietante e claustrofobica, magnificamente sottolineata da un bianco e nero dai contrasti vividi.
Vero capostipite dell'horror moderno, "La Notte dei Morti Viventi" rivisto oggi non perde quasi nulla del suo fascino originario; con il suo stile moderno e le tematiche ancora scottanti è una pellicola ben più riuscita dell'odierno filone "pop" sui morti viventi; e proprio a causa della commercializzazione estrema (ed allora impensabile) di questa prima "nuova" icona orrorifica, è un bene riscoprire un classico imitatissimo ed ancora fresco della Settima Arte.
EXTRA
Il capolavoro di Romero fu un grosso successo di critica e pubblico anche in Italia, dove arrivò nel 1970; distribuito dalla piccola casa Fida Cinematografica e dalla Indipendenti Regionali, il film spopolò in ogni angolo della penisola anche grazie all'ottima campagna di marketing: la Fida creò due locandine pittoriche ad hoc, divenute oggetto di culto anche all'estero ed omaggiate finanche da Tarantino in "Kill Bill-Volume 2" (2004) e Bobcat Goldwaith in "Il Papà Migliore del Mondo" (2009); oltre all'affichè "classica" con la mano di uno zombi che spunta dal terreno, fu creata anche una seconda locandina, che richiamava alla mente un'atmosfera gotica non presente nel film, ma al contempo estremamente affascinante:
Tuttavia, in entrambi i poster il nome di Romero fu storpiato in "George A.Kramer", per motivi non meglio chiariti.
Nel 1998, in occasione del 30° anniversario della pellicola, lo sceneggiatore John Russo ha diretto un'improbabile "versione estesa" del film, cucendo assieme al montaggio originario una serie di nuove scene girate appositamente, che mal si amalgamano con le inquadrature e i costumi originali. Disconosciuta da Romero, questa stramba versione è fortunatamente scivolata ben presto nel dimenticatoio, anche se tutt'ora facilmente reperibile in DVD.
Finito di girare il film, Romero e soci si recarono a New York in cerca di una distribuzione, ottenendo scarsi riscontri; la Continental Distribution accettò di distribuire la pellicola nel circuito dei drive-in, ottenendo un ottimo riscontro; in seguito "La Notte dei Morti Viventi" riuscì a trovare anche una distribuzione ufficiale nelle sale grazie alla Walter Reade Organization; il risultato fu un successo colossale, ancora oggi ineguagliato nel rapporto tra costi di produzione ed incassi.
Tuttavia, Romero non vide letteralmente un soldo dei profitti ottenuti dalla distribuzione in sala, a causa della scarsa conoscenza delle clausole contrattuali che aveva all'epoca; per rifarsi, 22 anni dopo decise di produrre un remake del suo capolavoro, affidando la regia all'amico Tom Savini; il risultato fu però una pellicola mediocre ed un ben magro successo di pubblico.
Nel 2006, il regista Jeff Broadstreet ha poi diretto un secondo remake, prodotto senza coinvolgere in alcun modo Romero o Russo: "La Notte dei Morti Viventi 3D", orrendo B-Movie senza nè arte né parte.
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