di Mario Bava.
con: John Phillip Law, Marisa Mell, Michel Piccoli, Adolfo Celi.
Avventura/Azione
Italia, Francia (1968)
"Diabolik", ovvero un mito del fumetto nostrano. Perchè in passato, prima che il fumetto italiano di massa si appiattisse sulle pubblicazioni pulite e timorate di Dio della Bonelli, c'era un'intera corrente di baloon cattivi, politicamente scorretti e violenti di cui il celebre ladro in nero fu l'apripista, il cosiddetto "fumetto nero", che riprendeva dai classici thirller americani il gusto per il mistero, mischiato però ad una forte dose di violenza grafica ed erotismo, per connotarsi come un'opera strettamente "per adulti".
A crearlo furono le sorelle Angela e Luciana Giussani, che nel lontano 1962 introdussero sul mercato un albo tascabile il cui formato fu concepito appositamente per i pendolari, quindi per lavoratori e studenti, un pubblico più specifico e smaliziato della "massa" che si appassionava alle avventure di Tex o Topolino o alle gesta dei supereroi americani. Protagonista è il "Re del Terrore" Diabolik, ladro bardato in una calzamaglia nero notte che mostra solo il suo sguardo penetrante ed armato di letalissimi pugnali, perennemente in lotta contro lo sfigato poliziotto Ginko, fidanzato (a partire dal terzo numero) con la femme fatale Eva Kant e sempre alla ricerca del furto da compiere. Furto visto come mezzo per il benessere, per quell'edonismo solo sognato dall'italiano medio dell'epoca, che il fumetto ammanta di un aura nera, poichè sia il celebre protagonista che le sue "vittime" sono personaggi sotto sotto malvagi, corrotti dal danaro e dal potere ed in cerca solo del di più: più soldi, più lusso, più sesso; e proprio la sensualità dei personaggi stacca ulteriormente il tascabile delle Giussani dalle pubblicazioni dell'epoca per creare uno stile che poi sarà ripreso anche dal fumetto di massa.
Ma contrariamente a quanto si possa pensare oggi, "Diabolik" fu ben ricevuto anche dalla critica sin dalla sua prima apparizione, proprio per questa sua formula inedita e forte che svecchiava i costumi popolari della sempre arretrata società italiana.
Un adattamento sul grande Schermo sembrava quindi una mossa scontata, ma nessun produttore era davvero interessato. Nessuno tranne il più visionario tra i produttori italiani, quel Dino De Laurentiis all'epoca ancora operante a Roma che fiuta il successo e mette in cantiere il film, in contemporanea all'adattamento di un altro cult a fumetti dell'epoca: "Barbarella". Alla regia, De Laurentiis chiama il sommo maestro del fantastico italiano, quel Mario Bava in grado di creare pellicole grandi e spettacolari anche con budget risicati; il quale, clamorosamente, spende solo 400 mila dollari dei 3 milioni stanziati, a riprova del suo immenso talento e della sua versatilità.
Il prodotto finale non è di certo memorabile, ma molto meno ridicolo e più divertente di quanto si possa pensare.
Il duo Bava-De Laurentiis, forse impaurito da un eventuale flop, si distanzia del tutto dai toni cupi e violenti del fumetto; il punto di riferimento filmico non è il genere poliziesco o il caper, come sarebbe lecito aspettarsi, ma la saga di James Bond, all'epoca paradigma del cinema d'avventura e azione. Il che spiega anche la presenza di Adolfo Celi, il mitico Emilio "N°2" Largo di "Thunderball" (1965) e la trasformazione di Eva Kant da assassina sensuale a bambola erotica.
Largo spazio quindi a colori sgargianti e scene action indiavolate al posto di omicidi ed intrighi. D'altro canto, Bava riprende alcuni elementi narrativi direttamente dalle pagine dei fumetti e li riarrangia nella sceneggiatura, scritta da ben sei autori, con esiti frammentari e sgangherati.
Troppo netto lo stacco tra i tre atti della pellicola, praticamente tre episodi incollati tra loro, con Diabolik alle prese con il furto di una collana, lo scontro con Ginko e Valmont ed infine con il colpo al lingotto gigante; tre storie che non si fondono e che hanno come trait d'union solo i tre protagonisti. Nel calderone di situazioni ed intuizioni, Diabolik riesce anche a sfoggiare una macchina fotografica che spara gas esilarante e a distruggere i palazzi dell'Agenzia delle Entrate come ripicca contro un governo che spreca i soldi del popolo per acciuffarlo, in un segmento che sarebbe stato più coerente con il personaggio di Kriminal, vero ladro/terrorista nato sull'onda del successo del fumetto delle Giussani.
La regia di Bava tuttavia non delude: il grande artista riesce anche qui a creare soluzioni visive interessanti e spettacolari. La natura fumettistica dei personaggi viene omaggiata con inquadrature che mimano le tavole di un albo: elementi scenografici vengono usati per "tagliare" il quadro in piccole vignette che incorniciano volti e corpi.
Nella costruzione scenografica e fotografica del mondo di "Diabolik", Bava si abbandona ad un gusto pop vivo e lisergico: ogni scena d'azione ed inserto comico viene caricato oltre il limite di saturazione per sfociare a momenti nel grottesco; così come le scenografie, perfettamente inserite nel contesto "acido" della fine degli anni '60, veri e propri pezzi di di design italiano vintage che ancora oggi rappresentano una gioia per gli occhi.
Ma la grandezza di Bava sta nel non far scadere tutto nel ridicolo involontario: per quanto sopra le righe e votato alla commedia più che al noir, il suo "Diabolik" vive di un'atmosfera giocosa, ma nel quale i personaggi ed i rispettivi interpreti non scadono mai nella macchietta compiaciuta, a differenza di quanto accadeva negli States qualche anno prima con un altro prodotto pop tratto da un famoso fumetto: il serial televisivo di "Batman".
E nel contesto ludico, Bava riesce anche ad inserire dei simpatici sottotesti erotici, con la Jaguar bianca del Re del Terrore che "penetra" nella caverna o il celebre ladro che letteralmente eiacula tonnellate di oro fuso sotto lo sguardo eccitato della bella Eva; senza contare l'uso sensuale dei corpi degli statuari protagonisti, veri e propri sex symbol che incarnano perfettamente un canone di bellezza carnale ancora oggi eccitante.
Divertente, sopra le righe, folle: "Diabolik" si distanzia anni luce dalla base cartacea per imporsi come un piccolo gioiello di cinema pop d'antan, un pò invecchiato ma ancora mirabolante.
EXTRA
Contrariamente a quanto si possa pensare, non è stato l'exploit di Bava a creare l'ondata di cinefumetti italiani di fine anni '60.
Giù due anni prima, nel 1966, un giovane Umberto Lenzi portava su schermo la celebre nemesi di Diabolik, il giallo scheletro Kriminal, con una pellicola omonima anch'essa debitrice del cinema di 007.
Creato nel 1964 da Max Bunker su disegni di Magnus (pseudonimi di Luciano Secchi e Roberto Laviola), Kriminal è un ladro bardato in una stramba calzamaglia gialla, armato anch'egli di coltello, che compie furti e delitti non per la passione per il denaro, ma come atto di ribellione contro la corrotta società borghese.
Nel 1968, lo statuario protagonista Glenn Saxon torna sulla scena del crimine con un seguito, "Il Marchio di Kriminal", diretto questa volta da Nando Cicero, anch'esso distante dalla controparte cartacea e più vicino al cinema action britannico.
Sempre del 1968 è la trasposizione di Satanik, creata anch'essa dal duo Bunker/Magnus; sorta di controparte femminile degli atletici ladri in calzamaglia, Satanik è una bellissima alchimista che ruba la bellezza delle ragazze che incontra e vive avventure strane e bizzarre, sapientemente mischiate con una vena erotica che ha fatto scuola.
Il film, come da tradizione, riprende solo il nome della bella protagonista per imbastire una serie di sequenze violente e pruriginose, senza mai raggiungere il fascino o la cattiveria del fumetto originale.
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