giovedì 16 luglio 2015

Terrore nello Spazio

di Mario Bava.

con: Barry Sullivan, Norma Bengell, Ange Aranda, Evi Marandi, Stelio Candelli, Franco Andrei.

Fantascienza/Horror

Italia, Spagna (1965)
















La fantascienza, è noto, è un genere scarsamente frequentato dal cinema italiano; i motivi sono probabilmente due: da un, lato la complessità della messa in scena di un mondo totalmente fantastico richiede una maestria ed un budget al di sopra degli standard che il sistema produttivo italiano poteva garantire per le produzioni "di cassetta"; dall'altro, è noto come anche gli autori nostrani più talentuosi fossero più preoccupati da temi e istanze del presente o del passato, piuttosto che dalle visioni del futuro.
Le eccezioni, ovviamente, non sono mancate: con "Omicron" (1963), Ugo Gregoretti filtrava la realtà italiana del boom economico dal punto di vista di un alieno umanoide caduto sulla Terra; mentre due anni dopo, Elio Petri utilizzava la distopia grottesca de "La Decima Vittima" per creare una disanima acidissima sulla guerra tra sessi; senza contare il mitico "Nirvana" (1996), tardo esempio di cinema cyberpunk usato per dar vitta alle ossessioni "fuggiasche" di Salvatores.
Tutti lavori che "prendono in prestito" il registro di genere per creare un cinema d'autore con tutti i crismi. Bisogna quindi rifarsi all'operato di un regista che era, letteralmente, "autore senza saperlo" per rintracciare un unico, sparuto esempio di fantascienza di puro intrattenimento, priva cioè di ogni velleità metaforica; l'autore è Mario Bava, il film è "Terrore nello Spazio": puro cinema fantastico, lontano da ogni impegno, che nonostante il successo non proprio esorbitante riscosso all'epoca e all'oblio cui è è stato condannato per decenni, si è imposto come un'oscura pietra miliare in grado di influenzare un'intera generazione di filmmakers anglofoni.


Già la storia alla base del film, tratta da un racconto di Renato Pestriniero e rimaneggiata in fase di script da Bava e da Alberto Bevilacqua, gronda tutta una serie di archetipi ben noti al pubblico odierno: un gruppo di astronauti riceve per caso una serie di segnalazioni da un remoto pianeta apparentemente disabitato; dopo un movimentato atterraggio, cominciano a verificarsi strani eventi che porteranno i personaggi a temere per la propria incolumità. In pratica, Bava crea il fanta-horror, comminando i topoi dell'horror gotico da egli stesso riconcepito con un'ambientazione aliena.
Rivisto oggi, "Terrore nello Spazio" perde la sua carica di tensione, ma guadagna uno status di "film seminale" unico: praticamente, ogni scena del film è stata saccheggiata o omaggiata dai successivi esponenti del "genere".
Si parte ovviamente con "Alien" (1979), il capolavoro di Ridley Scott: Dan O'Bannon era probabilmente reduce dalla visione del film di Bava ai tempi della stesura del suo script, tanto che proprio da qui ha ripreso l'idea di una nave intrappolata su di un pianeta ostile, di una razza aliena "invisibile" e ferocemente in cerca di un habitat per prosperare, del "pericolo" che non deve essere riportato sulla Terra; senza contare come la famosa scena del ritrovamento dello Space Jockey sia presa pari pari dalla sequenza centrale del film di Bava, la più visionaria e sorprendente.


Altro fanta-horror simile al lavoro di Bava è "La Cosa" (1982): l'uso di una minaccia che aggredisce i personaggi "dall'interno" per rivoltarli gli uni contro gli altri ricorda molto le gesta dell'alieno mutaforma di carpenteriana memoria, così come il gusto per un finale apocalittico e pessimista, che Bava impone al pubblico con il suo fenomenale gusto per lo sberleffo finale; ma, in questo caso, il gioco delle ispirazioni si fa più fluido se si tiene conto di come il racconto alla base del capolavoro di Carpenter risalga al 1938, ossia quasi trent'anni prima l'uscita di "Terrore nello Spazio"; Carpenter, tuttavia, omaggia chiaramente il cult di Bava nella scena in cui Kurt Russell lascia un rapporto audio con un piccolo registratore da tavolo, sequenza ripresa da quella in cui il capitano Mark registra un resoconto dell'atterraggio.


Ma al di là dell'influenza suscitata e della tensione, ottimamente costruita per i canoni dell'epoca, a fare la differenza nel cinema di Bava è come al solito l'uso sapiente ed espressivo di scenografia, fotografia ed effetti speciali.
Utilizzando effetti fotografici totalmente artigianali, il grande regista camuffa una produzione di fascia bassa in un piccolo kolossal, dove le scenografie più vaste sono in realtà modellini combinati con riprese a figura intera degli attori.
Le luci espressive trasportano l'atmosfera onirica del gotico italiano su di un pianeta alieno, creando un mondo irreale, quasi rarefatto nei suoi colori sgargianti eppure sinistri. Mentre il design dei costumi, oggi un pò opulento, ma per l'epoca terribilmente moderno, ha fatto anch'esso scuola; impossibile non vederlo come l'antesignano e la fonte di ispirazione del lavoro di Syd Mead in "Tron" (1982); e gli echi di quelle tute in pelle incorniciate in contorni dai colori vivi si vedono chiaramente anche in "Prometheus" (2012), prova dell'immortalità e della grandezza di un cinema artigianale nostrano troppo a lungo bistrattato e disgraziatamente annichilito dalla stupidità dei cineasti italiani successivi.


In fondo, la grandezza del cinema di Bava e, in genere, del cinema italiano dell'epoca era tuta racchiusa in una semplice nozione: fare tanto con poco, ossia non porre mai limiti all'immaginazione o alla voglia di sperimentare.
E i risultati sono, oggi più che allora, sfavillanti.

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