di Steven Spielberg.
con: Djimon Hounsou, Morgan Freeman, Matthew McConaughey. Anthony Hopkins, Nigel Hawtorne, Pete Postlethwaithe, Chiewtel Ejiofor, Stellan Skarsgard, Tomas Milian, David Paymer, Raazaq Adoti, Arliss Howard, Anna Paquin.
Drammatico/Storico/Giudiziario
Usa 1997
Il ritorno sulle scene di Spielberg avutosi con "Il Mondo Perduto- Jurassic Park" ha confermato, nel bene o nel male, la ripresa di quel suo stile giocoso, del suo gusto pop applicato al cinema di intrattenimento che tanto successo gli garantì negli anni'80. Ma che rappresenta solo una faccia della medaglia del suo cinema, la più brillante e conosciuta, ma non la sola; la vena più seria ed impegnata che aveva già caratterizzato la sua filmografia nel decennio precedente, aveva da ultimo ricevuto una definitiva coronazione grazie al capolavoro "Schindler's List", ultima fatica prima del suo temporaneo ritiro dalla regia. Era quindi normale che nello stesso anno in cui il Re Mida di Hollywood si riaffacciasse alle scene con un film disimpegnato, accompagnasse lo stesso ad un'opera più seria, una nuova disanima didascalico-moralista su di un argomento che, fatalmente, aveva declinato in modo a dir poco pessimo nel decennio precedente: la questione afroamericana, che adesso trova la forma dello schiavismo nell'America della prima metà del XIX secolo.
"Amistad" vuole infatti essere una pellicola forte, ambiziosa e rigorosa: un courtroom drama (filone che all'epoca già trovava un ideale chiusa con lo splendido e coevo "The Rainmaker" di Coppola) basato sui veri fatti concernenti l'ammutinamento della nave di schiavisti omonima, che all'epoca non mancò di generare scandalo in un'America ancora divisa sulla questione degli schiavi.
Opera che permette a Spielberg di dimostrare nuovamente il suo talento di creatore di immagini forti, ma che inciampa in tutte le lungaggini ed i luoghi comuni del caso per appiattirsi sino a disinnescare ogni velleità effettiva.
L'incipit è anche la parte più riuscita: con una serie di inquadrature plastiche e rigorose, la furia dello schiavo Cinque (Djimon Hounsou, che riceverà una nomation ai Golden Globes per il ruolo e che da qui in augura una florida carriera da caratterista) e la violenza della rivolta vivono grazie ad un uso magistrale della fotografia, in particolare della contrapposizione cromatica tra il blu notte ed il rosso sangue. Ed assieme alla sequenza finale della distruzione della fantomatica "Fortezza degli Schiavi", è questa l'immagine più incisiva del film.
Per il resto, Spielberg gioca sull'ovvio, mostrando la crudeltà degli schiavisti in modo diretto e crudo, ma senza riuscire davvero a colpire nel profondo; è come se per lui fosse difficile empatizzare verso un orrore che ha colpito un popolo che non sia il suo; laddove le immagini delle persecuzioni di "Schindler's List" erano di una incisività sfiancante, quelle di "Amistad" sono quasi routine, composte da tutto quello che ci si può attendere da una pellicola che tratta la tematica dello schiavismo e senza avere la forza necessaria a smuovere davvero gli animi degli spettatori.
Allo stesso modo, le contraddizioni morali e giuridiche dell'America del XIX secolo non trovano adeguata enfasi. Il fatto che lo schiavismo fosse illegale per la Gran Bretagna ed in molti singoli stati degli Usa, ma perfettamente legale nel sud degli stessi, che un uomo nato in una piantagione fosse considerato merce, mentre uno nato in Africa e poi reso schiavo ben poteva essere considerato libero, resta sempre tra le righe, come se ci fosse una paura strisciante nello script (opera del solo David Franzoni, che non si sa come sia finito a trattare argomenti del genere) di dare corpo completo alla più saliente componente politica.
"Amistad" resta così saldamente ancorato alle regole del courtroom drama, con le arringhe dei protagonisti a portare avanti storia e tematiche. La regia di Spielberg, chiusa tra le quattro mura delle aule giudiziarie, non riesce a respirare e si appiattisce sui primi piani degli interpreti, rasentando lo stile televisivo (un caso che il film, pur destinato alle sale, sia un prodotto HBO?). La sua mano si dimostra debole anche quando deve creare tensione: la sequenza che culmina nel "Give us free!" di Cinque non riesce a trasmettere la dovuta inquietudine, né a commuovere. Stessa cosa per la scena, in teoria madre, che vede il personaggio di Morgan Freeman (afroamericano ex schiavo che si batte per l'abolizione) ispezionare la nave degli schiavi e perdersi tra le catene: non c'è enfasi, manca vera tensione.
E tra monologhi ispiratori triti e performance gigionesche (Hopkins si diverte un mondo nei panni dell'ex presidente John Quincy Adams, Matthew McConaughey invece è misuratissimo ma lo stesso ammiccante), il dramma non scuote più di tanto, non colpisce, non commuove pur tentando disperatamente ogni carta, da quella morale a quella para religiosa, configurando "Amistad" come una pellicola fiacca, troppo retorica e poco riuscita.
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