sabato 23 dicembre 2017

La Ruota delle Meraviglie

Wonder Wheel

di Woody Allen.

con: Kate Winslet, Justin Timberlake, James Belushi, Juno Temple, Jack Gore, Max Casella, Tony Sirico, Steve Schirripa.

Drammatico

Usa 2017















Dirigere un film all'anno è una cattiva abitudine che Allen ha avuto per tutta la sua carriera, con la conseguenza di avere una filmografia a dir poco altalenante, nella quale, sopratutto negli ultimi dieci/quindici anni, si alternano prove irresistibili ad altre decisamente dimenticabili.
In un'ideale via di mezzo si pone "Wonder Wheel", ultima fatica con cui il grande autore newyorkese si trasferisce a Coney Island per un dramma in costume. Un film che vive di contrasti, che riflette sulla struttura stessa del dramma e porta in scena un pugno di personaggi archetipici interpretati da un grande cast, sprecati però in una storia ovvia.




Contrasti che animano ogni singolo aspetto della narrazione e della messa in scena. Il contrasto tra una storia cupa ed una fotografia dai colori sgargianti, tra un'impostazione di scrittura tipicamente teatrale ed uno stile visivo smaccatamente filmico e tra personaggi che sono tra loro opposti e complementari.
La collaborazione con Vittorio Storaro si rivela vincente: la fotografia dinamica gioca anch'essa sui contrasti di colore (al solito i due opposti: ciano e magenta) e sulla monocromia dalle tonalità caldissime, per ricreare un clima di pace ed allegria tipico del periodo (la fine degli anni '50) che si scontra con la storia di tradimenti e gelosie.




Ancora di più, Allen imposta lo script come un dramma classico, reminiscente del teatro greco come in "Interiors"; solo per poi andare al di là della storia ed usare i personaggi come specchio metareferenziale di sè stessi. Ecco dunque il terzo incomodo Mickey (Timberlake), studente di drammaturgia, disquisire con la protagonista Ginny (Winslet), ex aspirante attrice caduta in disgrazia, disquisire sulla struttura del dramma, sulla forza del caso o del destino in tragedie apparentemente causate dall'uomo.
Cast di personaggi impersonati da un pugno di attori che, come sempre nei film di Woody Allen, sono tutti magistralmente in parte; è pleonastico lodare la performance della Winslet, che buca lo schermo sia quando va sopra le righe, sia quando usa uno stile più asciutto; pleonastico perchè è solo la punta di diamante di un'ensamble brillante, dove forse la vera sorpresa, per espressività ed incisività, è Jim Belushi, che quest'anno, tra questo exploit e quello visto in "Twin Peaks" ha davvero dimostrato un talento fin troppo a lungo sopito.




Cast messo al servizio di personaggi talmente archetipici da sfondare nel luogo comune; troppo ovvia la storia di gelosia tra una donna matura ed una più giovane, basata sull'attrazione di un giovane e bello intellettuale ed ex soldato contro la vita magra vissuta al fianco di un sottoproletario ignorante ed incapace di comprendere le necessità e le passioni della partner; intreccio talmente trito da divenire subito prevedibile. Più interessante, nella storia ed a discapito dei protagonisti, come sovente accade nei film meno riusciti di Allen, è la figura del piccolo Richie, bambino che si trova in mezzo al fuoco incrociato dei difetti degli adulti, che sfoga la sua frustrazione nella piromania; peccato che sia rilegato sullo sfondo degli eventi, vanificandone la carica drammaturgica.




Decisamente meglio riuscita è la riflessione sui meccanismi del dramma che viene inscritta nella vicenda. Ginny è un'attrice, Mickey un drammaturgo; al di là dei dialoghi, al solito fantastici e mai didascalici, sui loro ruoli, a convincere è il loro comportamento, con Ginny che nel climax diviene femme fatale dopo essere stata la donna fragile e demotivata e, ancora più, arriva ad interpretare lo stesso ruolo in un gioco di specchi volto a rivelare la fallacia dell'archetipo nella vita reale, in una storia che sia più ancorata alla realtà rispetto alla stilizzazione drammatica. Al punto che il finale, amarissimo, evita la tragedia vera e propria, la lascia fuori campo, per concentrarsi sulle conseguenze materiali ed emotive che questa provoca, per restare ancora più vicino ai personaggi che alla mera vicenda.
Stilisticamente, Allen contrappone alla scrittura una costruzione della scena dinamica, con la macchina da presa perennemente in movimento, che segue i personaggi, si avvicina ai loro volti, ne anticipa i movimenti all'interno di inquadrature plastiche, smantellando la costruzione teatrale dello script sul piano strettamente visivo.




"Wonder Wheel" è una riflessione interessante sul dramma, ma al contempo una storia ovvia, una pellicola al solito per Allen elegantissima ed interpretata in modo impeccabile, ma sin troppo prevedibile, non regalando mai vere sorprese; un'esercizio di stile riuscito, ma un pò sterile.

Nessun commento:

Posta un commento