venerdì 30 marzo 2018

Ready Player One

di Steven Spielberg.

con: Tye Sheridan, Olivia Cooke, Lena Waithe, Win Morisaki, Philip Zaho, Hannah John-Kamen, Ben Mendelsohn, Simon Pegg, Mark Rylance, T.J. Miller.

Fantastico/Avventura/Animazione

Usa 2018

















Solo Steven Spielberg poteva trasporre su schermo le pagine di Ernest Cline; quell'immenso e densissimo museo di citazioni di cultura pop anni '80 che è "Ready Player One" è di fatto figlio del cinema spielberghiano (oltre che di quello di Lucas), da "I Predatori dell'Arca Perduta" a "I Goonies", al punto di trascendere lo status di semplice omaggio nostalgico per divenire vero e proprio manifesto della cultura geek.




Pubblicato nel 2011, "Ready Player One" è uno strano mix di fantascienza distopica, con un futuro che sembra uscito dalle pagine di Philip K.Dick, cyberpunk alla William Gibson (la struttura da caper di "Neuromante" si ritrova bene o male anche qui) e tonnellate di rimandi al mondo dei videogames e del cinema pop d'antan. Un calderone nel quale finiscono amalgamati Pac Man e i Monty Python, "Highlander" e "Star Wars", il cinema di Stanley Kubrick con "Mobile Suit Gundam", il tokusatsu di Spider-Man e "Ritorno al Futuro", "Zork" e "Wargames" (stranamente assente, invece, qualsiasi riferimento a "Star Trek"). Il tutto cucito addosso ad una struttura narrativa semplicissima, che fa capo ad una trama a dir poco classica.
Wade Watts, orfano e spiantato, vive in un mondo in preda alle carestie, dove però l'intera popolazione è immersa nel mondo virtuale di OASIS, sorta di Second Life che contiene simulazioni di ogni opera ed attività possibile ed immaginabile, vero e proprio coacervo di universi nell'universo. Il mondo di Wade viene però sconvolto quando, alla morte del creatore di OASIS, James Halliday, viene rivelato come questi abbia lasciato in eredità il suo patrimonio multimiliardario a chiunque trovi un easter egg nascondo nei meandri della simulazione; il rischio è quello che la IOI, società rivale, ne approfitti per fare proprio OASIS e renderlo a pagamento, trasformandolo in un passatempo d'elite. Con il suo avatar Parzival e aiutato dai compagni virtuali Each, Sho, Daito e Art3mis, Wade decide di unirsi agli egg hunter (o "gunter") per salvare OASIS dai Sixer, i lacchè della IOI, guidati dallo spietato Nolan Sorrento.


Un'avventura, quella concepita da Cline, che omaggia affettuosamente la cultura pop anni '80 e riprende dal cinema dell'epoca tutte le tematiche e sinanche la struttura della storia. Il che non è sempre un pregio.
Se la lettura è sempre piacevole, il ritmo elevato ed i personaggi simpatici, non si può che essere stupiti, talvolta, per l'acerbità dell'intreccio e sopratutto del suo sviluppo. A partire dalla caratterizzazione del protagonista, super buono, figlio del sottoproletariato futuro come da tradizione, che però, nella migliore tradizione della "Mary Sue", riesce sempre e comunque ad uscire dai guai grazie alle sue doti di tuttologo; non si riesce davvero a credere ad un Wade Watts che riesce a completare alla perfezione "Pac-Man" e "Jouste" giustificandosi con il classico "mi sono allenato per anni", ad hackerare il sistema della IOI con una console da passatempo, a sfuggire a tutti gli attentati possibili ed immaginabili elaborando piani che farebbero invidia ad ud un James Bond immerso in un film di Hitchcock; senza contare quando comincia a recitare a memoria tutte le battute di "Wargames" e "Monty Python e il Sacro Graal".
La risoluzione di tutte le barriere è sempre lineare; le prove che Wade è chiamato ad affrontare vengono superate praticamente senza sforzo, affossando spesso la sospensione dell'incredulità; e non aiuta l'aver caratterizzato la IOI come una vera e propria corporation satanica ed i creatori di OASIS come dei monarchi illuminati: tutto è fin troppo semplice, quasi infantile, pur quando i toni si fanno cupi e violenti.
Per di più, Cline prende una posizione ambivalente verso l'abuso dei videogames. Per quasi tutto il romanzo li descrive come una forma di escapismo necessario per sfuggire alle brutture le mondo reale e per trovare fiducia in sè stessi, preconizzando finanche un possibile uso didattico degli stessi; ma a tratti, sopratutto nelle ultimissime battute, inverte rotta, dandone una descrizione negativa, come una forma di alienazione superabile solo conquistando tutto il conquistabile nella vita reale. Ambivalenza forse utilizzata per non scontentare nessuno, nè i fan, nè i detrattori del medium.



Forse proprio per tutti questi motivi, sia il supernerd Zak Penn che lo stesso Ernest Cline in sede di script hanno deciso di cambiare molti elementi della storia per il passaggio su Grande Schermo. Sparita, innanzitutto, la caratterizzazione cupa della IOI, con alcuni dei passaggi più drammatici; il tono generale è così più leggero ed anche credibile. Così come diversa è la caratterizzazione dei personaggi: Wade non è più il genio tuttofare, Aech diviene un hacker esperto, Art3mis il capo di un piccolo gruppo di ribelli che combattono i Sixers e iRok da comparsa diviene il braccio destro di Nolan Sorrento. La struttura da caper diviene poi meno lineare e con passaggi inediti, come le prove da superare, che ora non si svolgono più dinanzi a cabinati d'epoca ma dentro simulazioni a 360 gradi.
Dal canto suo Spielberg allarga i riferimenti pop, non più solo quelli anni '80 (forse per evitare di trasformare tutto in una versione cinematografica di "Stranger Things"), presenti più che altro nella colonna sonora. Con il risultato di creare un incredibile sarabanda di rimandi a tutti i fenomeni geek filmici, televisivi e videoludici possibili ed immaginabili; entrano così nella "collezione": la moto di Kaneda di "Akira", il Batman del '66 ed Harley Quinn, King Kong, "Jurassic Park", "Battlestat Galactica", "Aliens", "Minecraft", "Street Fighter"e "Mortal Kombat", "Overwatch", le Tartarughe Ninja, "Halo", "RoboCop", Freddy Krueger, Jason Voorhees e la bambola Chucky solo per citare i più evidenti; nelle scene di massa è letteralmente impossibile contare tutti i vari "easter eggs" senza un fermo immagine. Stranamente assenti, invece, riferimenti espliciti a "Star Wars", forse per motivi di diritti d'autore.



Ma la parte del leone, Spielberg la riserva al compianto amico Stanley Kubrick: l'ormai mitologico "Shining" diviene protagonista di quella che è la sequenza più sorprendente, in cui le immagini del film originale vengono rielaborate in chiave ludica e a tratti comica; un'omaggio sincero, divertito e per questo quasi commovente.
Ed è nelle sequenze delle varie prove che l'immaginazione del trio di autori si sbizzarrisce, tra corse indiavolate e battaglie epiche in cui Gundam combatte contro Mechagodzilla.



Al di là dell'ovvia componente spettacolare, a stupire davvero è la lettura che Spielberg dà del romanzo a convincere; laddove nel libro il giudizio sull'abuso della realtà virtuale restava ondivago, nel film vi è una predilezione per il reale, che tuttavia non si traduce mai in una condanna verso i videogames, quanto verso il loro abuso. Spielberg in questo è chiaro: l'escapismo è necessario (d'altro canto, come potrebbe essere diversamente per lui?), tuttavia bisogna arrivare a comprendere come pur sempre di finzione si tratti; per quanto bello, un gioco resta un gioco, la realtà è l'unico vero mondo nel quale vale la pena di vivere. Il che potrebbe anche riportare alla mente il nostrano "Game Therapy"... con tutte le differenze possibili, naturalmente. Posizione, comunque, netta, che rende automaticamente l'adattamento filmico superiore al romanzo d'origine.




Ma ancora prima, "Ready Player One" convince per il modo in cui riprende i toni da cinema per ragazzi anni '80 e li traduce in uno spettacolo moderno, per farsi monumento spettacolare e divertente di un mondo sicuramente infantile per il modo in cui appiattisce tutti i riferimenti, ma al contempo intrigante.

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