con: Nicolaj Coster-Waldau, Carice Van Hauten, Guy Pearce, Eriq Ebouaney, Soren Malling, Nicolas Bro, Paprika Steen.
Thriller
Danimarca, Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi 2019
Avrà pure 80 anni, ma di certo Brian De Palma non accenna a distogliere il suo sguardo, profondo sino quasi al maniacale, sul mezzo filmico. Se in gioventù è stato tra gli ex dell' UCLA quello più influenzato dai lavori di Godard (si veda su tutti il folle "Hi, Mom!" per comprendere quanto fascino l'autore francese abbia esercitato su di lui), in terza età torna a riprendere il meccanismo hitchcockiano della costruzione a climax e dell'uso dei dettagli per creare tensione. E anche se "Domino" non sarà di certo ricordato come uno dei suoi più riusciti (o anche semplicemente dei suoi più belli), è altrettanto vero che la sua mano è ancora fortemente avvertibile anche alla più superficiale delle visioni.
E proprio Hitchcock pare essere il modello alla base dello script che De Palma porta in scena, tra un accenno a "Topaz" e un altro a "Intrigo Internazionale", con una storia basilare, che ruota attorno alla morte di un agente di polizia di Copenaghen, il cui partner (Coster-Waldau) e l'amante (Carice Van Hauten) decidono di vendicare. Peccato che l'assassino (Eriq Ebouaney) venga a sua volta coartato dalla CIA per stanare e uccidere un boss dell'ISIS.
Torna quindi il topos dell'uomo comune (benché qui tutore dell'ordine) rimasto incastrato in un meccanismo più grande di lui. De Palma, ovviamente, sa quanto di già visto ci sia in sceneggiatura e decide di giocare tutto sulla messa in scena e sull'enfasi.
Impossibile non citare l'incipit, dove una macchina da presa che si fa punto di vista estraneo a quello dei personaggi, prende letteralmente per mano lo spettatore e lo porta a concentrarsi su di un unico e cruciale dettaglio, come la scuola di Hitchcock insegna. E non manca neanche la riproposizione della cruda riflessione voyeuristica sulla visione.
I terroristi di "Domino", benché caratterizzati come semplici "cattivi", sono di fatto la quintessenza del voyeurismo depalminao: come l'assassino di "L'Occhio che Uccide", escogitano modi sempre nuovi di riprendere sia l'atto dell'uccisione che la reazione dell'assassino, poi montati assieme per sincronizzarli. La morte diviene così mezzo di propaganda, testimonianza diretta della loro forza, in cui il montaggio non fa perdere veridicità, aumentandone, al contrario, la forza viscerale. Se in "Redacted" De Palma rifletteva sulla forma mistificatrice del medium audiovisivo, qui ne dà una lettura diversa, una possibile declinazione che rende l'immagine multimediale "più vera del vero", benché pur sempre creata ad arte da un regista-demiurgo.
In tutte le sequenze action, De Palma mostra ancora polso fermo e il gusto per la citazione; troppo facile rivedere nel climax l'ombra lunga di quello de "L'Uomo che sapeva troppo" ed è forse proprio questo tono esplicito che giova alla riuscita di un'opera di sicuro piccola e meno ambiziosa di altre del suo stesso autore, ma anche fortemente riuscita.
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