con: Giulietta Masina, Sandra Milo, Mario Pisu, Valentina Cortese, Milena Vokotic, Sylva Koscina, Caterina Boratto, Frederich Ladebur, José De Villalonga.
Italia, Francia 1965
---CONTIENE SPOILER---
Per un autore normale, sarebbe stato difficile, se non addirittura impossibile, tornare a forme narrative più "quadrate" dopo la vetta raggiunta con "8 1/2"; ma Fellini, si sa, non è un autore qualsiasi e la sua genialità può essere scorta anche nella sua capacità di tornare ad una narrazione più convenzionale. Per quanto, in realtà, un film come "Giulietta degli Spiriti" sia difficile da definire come "convenzionale", visto l'estroso lavoro visivo, ma anche di scrittura portato in scena da Fellini e dai fidi Flaiano e Pinelli, qui coadiuvati da Brunello Rondi.
"Giulietta degli Spiriti" è, in un certo senso, una sorta di "altra faccia" di "Le Notti di Cabiria": al centro della narrazione c'è sempre un personaggio femminile che ha il volto di Giulietta Masina, la quale impara a superare le difficoltà ed esce da una crisi interiore indenne, se non rafforzata.
Giulietta, moglie borghese devota, scivola in una spirale di visioni spiritiche e reminiscenze d'infanzia quando scopre il tradimento del marito.
Stretta tra passato e paranormale, quello di Giulietta è un viaggio di accettazione; non tanto verso il tradimento del marito, quanto della sua condizione di donna dal carattere forte, che non si lascia scalfire dallo sgarbo in sé, né si abbandona ad una possibile vendetta "dionisiaca".
Le forze che spingono su di lei sono duplici (anzi, addirittura triplici) e contrarie.
Da un lato, l'opprimente formazione cattolica, che rivive nella riesumazione di un episodio in cui, da bambina, è chiamata a vestire i panni, in una recita, di una santa arsa viva. Fellini si diverte, qui, a caricare di immagini tetre l'immaginario cattolico, con le suore del convento vestite come spettri senza volto e la visione della santa che sembra uscita dritta dritta dall'Inferno, piuttosto che da una rappresentazione dell'estasi del martirio.
Dall'altro, il richiamo della carne, di un eros che prende le forme generose e compiaciute di Sandra Milo, vera e propria matrona di una alcova dei piaceri che il grande artista dipinge in modo barocco, strabordante, dionisiaco appunto; una visione del sesso come piacere carnale, ma non peccaminoso, immerso in un'atmosfera seducente e al contempo giocosa.
Se queste due forze opposte sono riconducibili nella dualità tra Super-io ed Es freudiani, la terza forza in gioco può essere descritta come una forma di coscienza razionale, incarnata dall'immagine dello zio, che vola alto nei cieli con un prototipo di aeroplano; una forza che illumina e sfalda le pulsioni più viscerali, che libera l'io-Giulietta sia dai sensi di colpa cattolici che dalla voracità inconscia. E al pari di Cabiria, nel finale Giulietta va avanti accettando ma non perdonando il tradimento, come una donna nuova, emancipata sia dalle catene interne che dalla subordinazione, morale e materiale, della figura maschile.
Al suo primo film a colori, Fellini sperimenta con le cromature e le sfumature, creando una visione caleidoscopica e sfavillante. A differenza di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, non lascia che sia il solo colore a comunicare gli stati d'animo e adopera con parsimonia il chiaroscuro, contrastando le vive cromature con neri profondi.
Il suo stile si fa più ricercato, con inquadrature ancora più geometriche e pittoriche che in passato. E, letteralmente, si diverte a creare movimenti di macchina concentrati su primi piani e dettagli, come a scrutare direttamente dentro gli attori e le comparse.
Il risultato è un'atmosfera onirica e ipnotica, che avvolge la narrazione trasformandola in un sogno inconscio, risultando come una sorta di espressionismo in technicolor ammaliante, barocco ma mai davvero compiaciuto, sempre in perfetto equilibrio tra la voglia di esagerare e le esigenze di messa in scena.
Stretto tra una narrazione quasi ermetica e una fantasmagorica messa in scena, "Giulietta degli Spiriti" è la conferma dello status autoriale e artistico di un Fellini ben oltre la maturità. Dopo "8 1/2" e prima della distruzione narrativa di "Fellini Satyricon", è un film convenzionale solo in superficie e sfolgorante nell'animo.
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