giovedì 6 maggio 2021

Minari

di Lee Isaac Chong.

con: Alan S.Kim, Yeri Han, Noel Cho, Steven Yeun, Yuh-Jung Youn, Will Patton, Scott Haze, Daryl Cox, Esther Moon, Ben Hall.

Usa 2020

















Per un autore, la rielaborazione drammaturgica della propria esistenza è quasi un must. E' d'obbligo, di conseguenza, riuscire a trovare un registro o anche più semplicemente un modo per rendere efficace una storia tutto sommato semplice. Lee Isaac Chong ci prova con "Minari", con risultati altalenanti.


"Minari" segue la storia di una famiglia di origini coreane nella sua lotta per l'affermazione in America. Spostandosi dalla California all'Arkansas, il capofamiglia Steven (Steven Yeun, che dona una performance perfetta) tenta di avviare un'attività agricola, mentre il piccolo David (Alan Kim) deve superare la sua ritrosia verso la nonna (Yuh-Jung Youn), da poco unitasi al nucleo familiare.


La narrazione è volutamente fluida, un racconto costante che passa dal dramma familiare allo spaccato sociale, passando per il romanzo di formazione. Molti i temi toccati: da una parte l'alienazione iniziale dei protagonisti in una terra straniera, con il loro folkloristico mix tra inglese e coreano, superata grazie alla comune fede religiosa. Così come i tentennamenti dei "bianchi" verso i protagonisti viene superata subito, senza innescare conseguenze di sorta.


Più complesso il rapporto tra David e la nonna; quest'ultima è un personaggio sui generis, una "nonna che non sembra una nonna", una donna affiatata i cui modi pittoreschi suscitano perplessità nel piccolo, la quale, per fortuna, non dura troppo e porta ad una comunione tra i due; giusto in tempo per portare in scena una malattia la quale, tuttavia, non porta vere conseguenze.


Allo stesso modo, tutti i drammi (la tensione tra i genitori, l'incendio finale) non intaccano i personaggi; il che è al contempo una forza e una debolezza mortale per il racconto. Da un lato, questo è sempre leggero, ma non scade mai davvero nell'ovvio; dall'altro, nulla tocca lo spettatore, chiamato a perdersi nel flusso degli eventi con la stessa caparbietà di Steven. Nulla lo abbatte, nulla lo mette in vera difficoltà, neanche nel finale, dove tutto riparte da capo, da quel minari del titolo, erba tipica della tradizione culinaria e medica coreana.


Ne consegue una parziale insipienza della storia, che non lascia davvero nulla allo spettatore e che viene mitigata solo dallo stile solido della regia, che abbandonando i luoghi comuni del cinema indie americano, trova nella stabilità delle inquadrature e nella ricercatezza delle immagini un punto di forza, che supplisce, ma solo in parte, alla debolezza della narrazione.

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