con: Lewis Tan, Hiroyuki Sanada, Jessica McNamee, Tadanobu Asano, Joe Taslim, Mechad Brooks, Chin Han, Ludi Lin, Max Huang, Sisi Stringer.
Azione/Fantastico/Splatter
Usa, Australia 2021
Sembrava che il brand di "Mortal Kombat" fosse destinato ad estinguersi con gli anni '90; perché la creatura di John Tobias e Ed Boon, almeno nelle sue prime incarnazioni, era un picchiaduro che non poteva certo vantare la giocabilità del rivale di Capcom "Street Fighter II", né la profondità dei picchiaduro SNK, "Samurai Showdown" su tutti, A farne la fortuna, semmai, era la grafica in perfoming capture, all'epoca incredibile, e, ovviamente, l'incredibile dose di violenza. Memorabili erano le Fatality, con cui lo sconfitto veniva ulteriormente umiliato grazie ad una morte talmente cruenta da sconfinare nel gore gratuito. Cosa che, ovviamente, non passò inosservata, causando polemiche su polemiche e persino una crociata, tipicamente americana, di genitori infuriati, che volevano letteralmente linciarne i cabinati.
L'ingresso della serie nel reame dei giochi "adulti", resi tali non solo dal target di riferimento, ma anche dalla profondità di gioco, avviene solo con "Mortal Kombat V- Deadly Alliance", nel 2002, primo gioco della serie ad inserire la possibilità di cambiare stile di combattimento per ogni personaggio al fine di creare combo elaborate. Feature che diventa subito il marchio di fabbrica della serie, assieme ovviamente alla rinnovata violenza, e che le permette di sopravvivere sino alla chiusura di Midway Studios, sua casa produttrice, cosa che minacciava la cancellazione totale del franchise.
Per fortuna, grazie anche all'acquisizione da parte di WB Games e il lavoro svolto da Netherrealm Studios, MK è riuscito a tornare alla ribalta anche sulle console di (pen)ultima generazione, con incarnazioni graziate da un gameplay abbastanza profondo e soprattutto immensamente divertente. Riguardo alla violenza, le Fatality di "MK11" fanno sembrare quelle degli anni '90 uscite da un film Disney, quindi anche i fan più hardcore sono accontentati.
Quanto al cinema, beh... diciamo che è molto semplice tirare in ballo quel disastro chiamato "Mortal Kombat: Annihilation", vero e proprio trash movie ad alto budget, talmente brutto da cancellarne la neonata serie filmica già al primo sequel.
Meglio ricordare, invece, il primo film, datato 1995, il quale riusciva nell'impresa di adattare il feeling del gioco originale nonostante il rating PG-13, creando al contempo una buona pellicola di arti marziali, che deve tanto al mitico "I 3 dell'Operazione Drago", ma che trova una sua originalità nei coloriti personaggi e nelle sequenze action magnificamente coreografate, oltre a vantare un cast affiatato, capitanato da un Christopher Lambert divertente e divertito.
Ovviamente era impossibile non tentare una rinascita del brand anche nel settore audiovisivo. Già a partire dal 2010, la webseries "Mortal Kombat Rebirth" riusciva a trasporre in modo interessante storia e personaggi in immagini, riscuotendo, giustamente, un ottimo successo. E forse proprio questo nuovo (ma mai davvero sopito) interesse verso il brand ha convinto la Legendary Pictures a ricreare una saga filmica per i personaggi di Boon e Tobias. Con James Wan come mastermind e produttore, il "Mortal Kombat" del 2021 cerca di ritrarre su schermo tutto ciò che è caratteristico della serie, ossia l'ultraviolenza ardita, i combattimenti al cardiopalma e i personaggi carismatici. Operazione riuscita?
Non molto, a dire il vero; perché questo nuovo MK altro non è che un film-episodio scritto come un fan-film ad alto budget, né più, nè meno. Nell'introdurre personaggi e situazioni, si da per scontato che lo spettatore conosca anche solo superficialmente le loro controparti videoludiche, lasciando invece chi ne è a digiuno in uno stato confusionale. Non si può certo soprassedere alla trovata di spiegare l'intera mitologia e l'antefatto della storia con tre righe di spiegazione a schermo all'inizio del primo atto. Certo, il fatto di riprendere il punto di vista di un personaggio inedito (Cole Young, il cui ruolo è spiegato letteralmente con la prima inquadratura a lui dedicata) aiuta l'immersione, ma fino ad un certo punto.
Questo perché la maggior parte dei personaggi viene utilizzata come mera comparsa. Persino l'arcinemico Shang Tsung appare e scompare senza mai chiarire davvero il suo ruolo negli eventi, mentre del tutto assente è Shao Khan, in teoria il vero deus ex machina e nemico da abbattere, la cui presenza è relegata a graffito su di un muro e mai davvero chiarificata.
Inutile chiedere spazio per i personaggi più famosi: Goro è ridotto a sgherro forzuto (e il ricordo amorevole dell'animatronico del 1995 è ancora più forte, adesso), Kano è la linea comica, Mileena lo sgherro donna, il cui story-arc viene gettato al vento, così come quello di Nitara; e poi c'è Kabal che, pur essendo tra i personaggi meno amati, resta intrappolato in un ruolo inutile, poiché che il suo passato con Kano viene accennato giusto per creare un conflitto interno al gruppo degli eroi.
Non si polemizza sulla riduzione a comparse dei personaggi per sè, quanto sull'occasione mancata di creare una storia ampia e coerente che non fosse un mero pretesto per incollare le scene di lotta, come invece è accaduto.
L'azione, d'altro canto, è fortunatamente ben congegnata e diretta. Le coreografie dei combattimenti sono lunghe e complesse, ma restano sempre aggrappate alla forte fisicità dei colpi, senza scadere nei "balletti" che tanto wuxia americano ha generato. La regia di McQuoid riesce a render loro giustizia, con inquadrature stabilissime e un montaggio che, pur spezzato, non diviene mai caotico. E lo splatter, grande assente delle precedenti apparizioni filmiche del gioco, trionfa in un mare di corpi dilaniati, cuori strappati e teste maciullate, per deliziare i fanatici del gore e i fan più esigenti.
Su tutto cala poi la sciabola dell'incompiutezza; la storia si ferma ai "preliminari" del torneo e il Mortal Kombat del titolo, di fatto, non avviene, posticipato ad un probabile sequel. Da qui natura di film-episodio che funge da apertura di un franchise, l'ennessimo, quasi ad aver paura nel raccontare una storia completa come invece il film del 1995 riusciva a fare.
Se si è fan dei videogame, si apprezzerà questa resurrezione filmica del brand, altrimenti meglio riguardarsi il film di Paul W.S. Anderson, che pur privo di splatter, coglieva alla perfezione l'essenza del gioco, regalando al contempo una storiella pretestuosa ma compiuta, che riusciva persino a rendere i personaggi memorabili a chi non avesse mai giocato la controparte videoludica.
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