con: Yahya Abdul-Mateen II, Teyonah Parris, Nathan Stewart-Jarrett, Colman Domingo, Kyle Kaminsky, Vanessa Williams, Tony Todd.
Horror
Usa 2021
Nonostante l'ottima accoglienza di pubblico e (inizialmente) di critica, la serie di "Candyman" non è riuscita ad imporsi nella memoria collettiva al pari di altre aventi come protagonista icone horror riconosciute, quali "Halloween" o "Nightmare". Candyman, semmai, è rimasto ben impresso nei cuori di pochi appassionati e quella sua prima, potente incarnazione sta venendo riscoperta solo in questi anni come il classico che merita di essere.
Fortunatamente, la tendenza di Hollywood di ricreare il passato in cerca di guadagni facili ha consentito anche al pubblico moderno di conoscere il boogeyman uncinato di Tony Todd, grazie a questa sua nova incarnazione. Jordan Peele, chiamato a dare nuova linfa vitale al personaggio,collabora allo script, mentre l'esordiente Nia DaCosta dirige un finto reboot, in realtà sequel vero e proprio, che riesce ad aggiornare personaggio e tematiche all'era del Black Lives Matter senza rinunciare alla sua natura primigenea, senza snaturarlo né trasformando il tutto in un semplice horror moralista.
Sono passati circa 30 anni dal rogo al Cabrini-Green in cui Helen Lyle perse la vita. Anthony McCoy (Mateen II) è un pittore in crisi di ispirazione che, conosciuta la storia della Lyle, decide di esplorare ciò che resta del complesso di case popolari. Qui incontra Nathan Burke (Colman Domingo), il quale gli racconta la leggenda di Candyman. Affascinato dalla storia, Anthony decide di creare un'esposizione con a tema la violenza razziale e la storia del demone uncinato; il che, ovviamente, avrà ripercussioni sanguinose.
Candyman è, essenzialmente, un mito che ha preso vita. In questa rivisitazione, la mitologia viene ampliata: quello di Daniel Robataille, il Candyman originale, è solo una delle incarnazioni della leggenda, la quale si rigenera e acquista nuova forza con il passare del tempo. Candyman è, essenzialmente, lo spirito dannato della morte violenta del popolo afroamericano, condannato alla dannazione dal razzismo mai sopito, il quale prende la forma di un gigante armato di uncino per mietere vittime non solo innocenti. Facile è fare il paragone con la morte di George Floyd, evocata esplicitamente nel finale, ma lo script di Jordan Peele, per fortuna, non si limita a mettere su carta l'orrore reale, ma lo rielabora in modo universale: la violenza di Candyman è la reazione istintiva di un popolo alla sottomissione, che si consuma in modo brutale e gratuito come quella subita, senza fare distinzione tra colpevoli e innocenti.
Se la violenza, prepotente e feroce, dell'uomo bianco è rimasta la stessa, diverso è il punto di vista sulla storia, ora affidato (per la prima volta nella serie) ad un afroamericano della classe agiata, un pittore, come lo era il Candyman originale, ma figlio della gentrificazione, della riqualificazione di quei quartieri bassi ristrutturati per piacere ai ricchi, per lo più bianchi, suoi colleghi e clienti. Il suo percorso di avvicinamento alla leggenda metropolitana è quasi un percorso di riscoperta delle sue origini (non per nulla, lo porterà a far luce su insospettabili verità del suo passato), ma, prima ancora, è una forma di identificazione con "l'altro", con quel lato oscuro che giace dormiente dentro di lui.
Non è un caso, inoltre, che Candyman qui abbia un nuovo volto, una nuova incarnazione "aggiornata" ai tempi moderni, quel Sherman Fields che non ha la presenza torreggiante o il carisma di Tony Todd; al contrario, ha un volto segnato dalle rughe e dalle cicatrici e un sorriso che può essere sia beffardo che benigno che inquieta sia quando porge l'uncino che le caramelle. Un mostro qui come non mai angelo vendicatore di quella violenza rimossa, ma al contempo assimilata di chi è più prossimo alla vittima. Ma, prima ancora, doppio speculare di Anthony: laddove quest'ultimo è un ricco perfettamente inserito nella società borghese, Fileds era reietto tra i reietti, povero dei quartieri bassi visibilmente afflitto da una forma di ritardo, per questo vittima eccellente della violenza cieca delle autorità.
Piuttosto che rifarsi al mood urban-gothic dell'originale, la DaCosta opta per un approccio onirico alla messa in scena, in cui è il sound design a creare la giusta atmosfera. Il punto di riferimento è lo "Shining" di Kubrick, il cui stile viene omaggiato anche da una "kubrick stare" sfacciatamente inserita nelle inquadrature, ma l'uso della geometricità dell'inquadratura, mai troppo marcata, concede comunque a questo esordio una forma di originalità che non si limita al ricalco della fonte di ispirazione.
Il racconto a tratti si sfilaccia, si perde nella sottotrama del personaggio di Brianna che, per quanto affascinante, non aggiunge nulla alla storia principale. Inoltre il personaggio di Troy, vero e proprio stereotipo gay usato come linea comica, può sembrare fuori posto all'interno di una narrazione altrimenti serissima.
Ma la DaCosta regge bene il racconto, che risulta alla fine riuscito e affascinante, un'ottima rievocazione di un personaggio che meriterebbe davvero più apprezzamento.
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