mercoledì 15 novembre 2023

C'è ancora domani

di Paola Cortellesi.

con: Paola Cortellesi, Valeria Mastandrea, Romana Maggiore Vergano, Emanuela Fanelli, Raffaele Vannoli, Francesco Centorame, Alesia Barela, Paola Tiziana Cruciani, Yonv Joseph.

Italia 2023
















---CONTIENE SPOILER---

L'eredità del Neorealismo nel cinema italiano non è solo essenziale, quanto persino insostenibile. Se tutt'oggi le storie "reali" sono all'ordine del giorno nella produzione filmica nazionale, ciò è sicuramente dovuto all'endemica povertà di capitali, che porta a prediligere soggetti leggeri sul piano produttivo, ma anche alla presunzione di potersi confrontare con il lascito di maestri del calibro di Rossellini e De Sica, arrivando al loro livello portando semplicemente in scena storie di vita quotidiana nel modo più semplice possibile. Ossia travisando totalmente quello che il Neorealismo effettivamente fu. Tanto che molto spesso si arriva a dire che forse sarebbe stato meglio per il cinema italiano se esso non fosse mai esistito. E ciò ovviamente a torto.
Paola Cortellesi, dal canto suo, non ha mai avuto particolare fortuna al cinema, dove, come molti suoi colleghi come Fabio De Luigi e Claudio Bisio, non ha mai avuto la fortuna di trovare un copione che ne riuscisse a sfruttare per bene le doti recitative. Al suo esordio da regista, con "C'è ancora domani" riesce invece a stupire, creando una specie di omaggio al Neorealismo che sembra davvero comprenderne l'ossatura e soprattutto un melodramma "verista" a tratti fortemente riuscito, pur se talvolta sapientemente virato al comico.




La storia è la più classica parabola di emancipazione che si possa immaginare, con una donna sottomessa ad un marito violento e infame e madre di tre figli pestiferi, di cui la figlia maggiore sembra già avviata a percorrere la sua stessa strada, mentre deve subire anche le angherie di un suocero insopportabile, il tutto sullo sfondo della Roma di fine anni '40, con gli Americani e i loro checkpoint e il referendum sulla scelta tra monarchia e repubblica.
Quello che rende "C'è ancora domani" memorabile è l'esecuzione.




Alla Cortellesi non interessa fare un film neorealista tout-court, né un omaggio cinefilo puro e semplice, quindi declina una storia di violenza domestica partendo dall'estetica neorealista per poi virare i toni verso la leggerezza: ogni volta che l'infame Ivano alza le mani su Delia, l'atto violento viene sostituito da un balletto, un musical nel quale le botte diventano danza, ma dove le ferite restano, anche se celate, metafora di quella vergogna privata che si nasconde agli occhi di tutti, innanzitutto ai propri. Una trovata davvero simpatica, che non rende le sequenze meno efficaci perché comunque contestualizzate a dovere nella storia; e che si presenta come un vero e proprio sberleffo a quel "cinema delle grida", quella messa in scena delle crisi amorose e famigliari che il cinema italiano degli ultimi 20-30 anni ha troppe volte semplificato in attori che urlano a squarciagola, creando imbarazzo più che disturbo.
Tono che poi viene alleggerito ulteriormente dallo humor, con battute sagaci e talvolta irresistibili, che avvicinano tutto il film, più che al Neorealismo originario, a quel "Neorealismo Rosa" che ne prese il posto già negli anni '50. E come nei migliori esempi del filone, il tutto risulta leggero, ma mai superficiale, con un'attenzione verso la materia di partenza sempre alta.




L'intento provocatorio non si sostanzia solo nella scelta di portare in scena una storia di violenza domestica e di sottomissione della figura femminile e neanche nel tono irriverente con la quale la si porta in scena, ma per lo più nella decisione, quantomai benvenuta, di porgere uno sguardo al passato italiano per una volta cattivo e corrosivo. Quell'immaginario post-neorealista del "come eravamo" che fa apparire il Secondo Dopoguerra come una sorta di paradiso in Terra dove tutto era più bello, in nome di un'idealizzazione feticistica che non sta né in cielo nè in terra, qui viene passato al tritacarne. La Roma di fine anni '40 è letteralmente una fogna a cielo aperto, la vita del proletariato viene ritratta in modo cinico e a tratti caustico, tanto che una delle prime immagini è quella di un cane che urina sulla casa della protagonista. Allo stesso modo, quasi tutti i personaggi sono sgradevoli, persino quel nonno il quale viene sovente ritratto nella tradizione come un vecchietto arzillo e simpatico, ma che qui è un insopportabile vecchio strozzino morto di fame. 
Un ritratto impietoso, cattivo, corrosivo e per questo più vero di quanto anni di imbellettamento fasullo hanno voluto farci credere.




L'occhio della Cortellesi è sempre attento, il suo rigore morale sempre alto. Il dito è puntato contro la violenza di genere, ma ha l'obiettività di non generalizzare, rendendo il suo atto d'accusa condivisibile prima ancora che veritiero. E, inutile dirlo, il setting passato altro non è se non uno specchio deformato di una società italiana che in ottant'anni non è mai cambiata, tanto che lo stile riflette tale lettura metaforica con una giustapposizione tra immagini in bianco e nero e musica moderna. Il risultato è uno stile post-moderno che però non si limita alle sole scelte estetiche, ma anche al linguaggio filmico, con movimenti di macchina precisi e un montaggio azzardato (talvolta fin troppo, con alcuni scavalcamenti di campo un po' indigesti), appaiato ad una costruzione dell'inquadratura che, come da tradizione, adopera principalmente campi medi e lunghi piuttosto che i canonici primi piani; con la conseguenza che "C'è ancora domani" è uno dei pochi film realmente post-modernisti italiani moderni. 
Ottima anche la direzione del cast: su tutti svetta Valerio Mastandrea, la cui sua usuale vis "scazzata" calza a pennello ad un personaggio nel quale riesce a sottolineare la sgradevolezza, tanto che forse questa è la sua migliore interpretazione in assoluto.
Una mano ferma, un'idea di cinema chiara e un grosso coraggio sono i grandi meriti che la Cortellesi dimostra di avere in questa sua prima prova alla regia. Tre elementi importantissimi e inusuali che rendono questo suo esordio da filmmaker estremamente riuscito e coraggioso. E che per questo rendono la scelta di quel finale decisamente indecifrabile.




L'idea che l'emancipazione femminile sia passata attraverso il diritto al voto è veritiera e sacrosanta, ma ridurre tutta l'emancipazione femminile alla partecipazione politica è semplicemente falso. 
Quella del diritto al voto è stata sicuramente una conquista epocale, ma non ha comportato un effettivo miglioramento della situazione sociale delle donne, almeno in Italia, tanto che episodi di violenza, segregazione e, in generale, subordinazione della figura femminile, sembra persino inutile dirlo, sono tutt'oggi all'ordine del giorno. Usare tale conquista come simbolo di affermazione umana è una metafora prettamente populista e non ha senso neanche se inserita nel contesto della storia che la Cortellesi racconta, tanto che chiudere un racconto del genere con una mera conquista politica è quasi contradditorio. 
Un finale del genere avrebbe avuto senso in un vero film di epoca neorealista e anche lì fino ad un certo punto; in una pellicola moderna risulta semplicemente ingenuo e troppo conciliatorio in una storia che invece avrebbe dovuto raggiungere l'apice del coraggio proprio nel finale, magari con una fuga da una situazione famigliare insostenibile. La scelta di un'opzione conciliatoria è così codarda prima ancora che effettivamente populista, dovuta forse per non dare un messaggio troppo dirompente al pubblico. E sul piano populista, finisce persino per ricordare l'altrettanto ridicolo finale di quel "Novecento" di Bertolucci, il quale però trovava un senso nella natura para-propagandistica dell'opera; qui, invece, non c'è davvero effettiva giustificazione alcuna.




Una svolta inaspettata, scusabile se si pensa alla poca esperienza come autrice della Cortellesi. Che per il resto, fortunatamente, crea un'opera sentita, sincera e forte. Tanto che il grosso successo commerciale per una volta è davvero meritato.

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