lunedì 3 marzo 2014

Beginners

di Mike Mills.

con: Ewan McGregor, Christopher Plummer, Mélanie Laurent, Goran Visnjic, Kai Lennox, Mary Page Keller, Keegan Boos.

Drammatico

Usa (2010)

















E' sempre difficile cercare di descrivere efficacemente stati d'animo complessi e sfaccettati come la tristezza senza scadere nel patetico o nel pretenzioso; da almeno quindici anni a questa parte, il cinema americano è però riuscito a creare uno stile sottrattivo in grado di dare perfetta forma ai sentimenti, basndo la messa in scena esclusivamente sugli attori; stile che sarebbe poi sfociato, più di recente, nel "mumblecore", al contempo croce e delizia di ogni autore americano di stampo o derivazione indipendente; quello che però manca alle pellicole mumblecore è proprio la fermezza della regia, la quale si dissolve del tutto sui primi piani degli interpreti, lasciati quasi sempre in balia dell'improvvisazione; nel 2010, nel bel mezzo dell'exploitation del mumblecore, Mike Mills, al suo secondo e per ora ultimo lungometraggio, porta in scena la parabola di un personaggio perso nei suoi sentimenti rinunciando apertamente alle istanze del filone e rifacendosi al cinema "moderno" europeo degli anni '60 e '70 (in particolare ai lavori di Rainer Werner Fassbinder); risultato: "Beginners" è una delle pellicole più riuscite ed interessanti del "piccolo cinema" a stelle e strisce del decennio scorso.


2003; sullo sfondo della presidenza Bush e della conseguente crisi di ideali che attraversa l'America, la vita del 38nne Oliver (Ewan McGregor) viene sconvolta da una serie di tragici eventi: il padre 76nne Hal (Christopher Plummer) dichiara apertamente la sua omossessualità, intraprende una nuova vita sentimentale con il giovane Andy (Goran Visnjic) solo per scoprire, subito dopo, di essere affetto da un cancro in fase terminale, che lo porta in breve tempo alla morte. Straziato dagli eventi, Oliver scivola in un'acuta depressione, dalla quale sembra salvarsi solo grazie alla relazione con Anna (Mélanie Laurent), giovane attrice di origine francese anch'essa affetta da gravi disturbi affettivi.


La scoperta dell'omosessualità come paradigma della crisi identitaria, si sa, è una metafora trita; ma l'abilità di Mills (anche sceneggiatore) sta nel non far mai scadere la pellicola nel pretenzioso o, peggio, nella retorica più bieca; la storia di Hal diviene così perfetta rappresentazione di un'intera generazione di uomini costretti a vivere mentendo, sia come persone che come padri; e la sua regia riesce abilmente nel ritrarre l'ipocrisia della società americana perbenista con espedienti da video-art ben implementati nella narrazione: fotografie, filmati di repertorio e quadri d'epoca spezzano la narrazione, già frammentata in flashback e flashforwrd, donando un respiro inedito a quello che a prima vista potrebbe sembrare un semplice ritratto intimista; e Christopher Plummer riesce a donare al suo personaggio una carica vitale inusitata, pur restando sempre, magistralmente tra le righe, in una performance giustamente premiata con tutti i premi possibili ed immaginabili, oscar incluso.


Perno della narrazione resta però Oliver, vero e proprio figlio della crisi identitaria che colpisce il suo Paese; la scoperta dell'omossessualità del padre diviene per lui il pretesto per mettere in discussione tutta la sua vita, i suoi fallimenti affettivi e sopratutto i suoi difetti caratteriali di natura strettamente atavica; Oliver è depresso, chiuso in una spirale di tristezza dovuta all'abbandono degli affetti, non solo quello recente dell'amato padre, ma anche quello, più cocente, delle sue donne, ossia di tutte quelle relazione che non ha saputo controllare; solitudine dovuta ad una paura inconscia, quella dell'abbandono stesso, che lo porta a sabotare ogni relazione affettiva prima del suo evolversi, ivi compresa quella con il suo stesso genitore; paura, si diceva, di natura strettamente atavica, ereditata come geneticamente dai due genitori: non solo dal padre, finto eterosessuale e marito, ma anche dalla madre, costretta a nascondere le sue origini ebraiche nella società bigotta e conservatrice in cui è cresciuta. La crisi d'identità diviene disfunzione emotiva vera e propria poichè priva di una catarsi, di uno sfogo esteriore ("l'urlo" che sua madre gli insegna da bambino ma che lui non mette mai in pratica), a differenza di quanto accade con Hal, il quale, una volta esaurito il suo ruolo di padre e marito, può abbracciare la sua natura in modo sereno, anche a causa della maggiore tolleranza sociale.


L'incontro con la bella Anna diviene così occasione di rilancio per la sventurata vita del protagonista, ma anche viatico per la presa di coscienza dei suoi difetti; e di fatto, la stessa Anna altro non è se non un doppio dello stesso Oliver: oppressa da un genitore autodistruttivo, vive la propria vita fuggendo da un lugo a l'altro per rafforzare la sua solitudine; solitudine "errabonda" contrapposta a quella "statica" di Oliver. E la storia con Anna diviene, nel corso della narrazione, paradigma di ogni storia che il protagonista ha vissuto: dalla felicità iniziale, allo sfacelo non evitato; salvo per il finale, nel quale Mills vuole dare uno spiraglio di speranza ai personaggi, lascinandoli assieme, in attesa di un futuro che ora sono pronti ad affrontare per la prima volta (come degli esordienti, dei "beginners").


E se Mills non riesce ad eleminare completamente alcuni dei peggiori difetti del cinema intimista americano (la lunghezza, l'uso di troppe metafore e sottotrame per rafforzare la descrizione dei personaggi), ha tuttavia il merito di tornare a sperimentare soluzioni visive e narrative solitamente schivate dai cineasti del cinema indipendente; oltre ai flashback e agli inserti d'archivio, l'autore torna ad introdurre forti moviemnti di macchina su steady anzicchè a mano, donando alla pellicola un look più preciso e meno ruvido rispetto al solito, nonostante l'uso dei colori desaturati per la fotografia; sopratutto, Mills si rivela un ottimo direttore di attori: al di là della splendida prova di Christopher Plummer, sono i due protagonisti Ewan McGegor e Mélanie Laurent a stupire; il primo torna a dare carattere ad un personaggio complesso e sfaccettato dopo anni di oblio in grosse produzioni, regalando un'interpretazione sentita ma mai intrionica; mentre la bellissima attrice francese stupisce per espressività e versatilità, recitando muta nella prima, bellissima, sequenza in cui appare.

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