di Pier Paolo Pasolini.
con: Ines Pellegrini, Franco Merli, Ninetto Davoli, Franco Citti, Tessa Bouchè, Margaerth Clementi, Luigina Rocchi, Alberto Argentino, Francesco Paolo Governale, Salvatore Sapienza, Zeudi Biasolo, Elisabetta Genovese.
Erotico/Avventura/Fantastico
Italia, Francia (1974)
Ultimo capitolo della Trilogia della Vita, "Il Fiore delle Mille e una Notte" è l'opera più grande e spettacolare dell'intera filmografia di Pasolini; girato tra Yemen, Iran, Nepal, India, Etiopia ed Eritrea, è il culmine della sfrenata visionarità del grande autore messa al servizio di un racconto non privo di ombre, ma, come d'obbligo, spensierato, piccante e gioioso.
Al mercato degli schiavi, la bella e vispa Zumurrud (Ines Pellegrini) si fa acquistare dall'imberbe Nur Ed Din (Franco Merli), che inizia ai piaceri dell'amore; il giorno seguente, Zumurrud viene rapita da un mercante invidioso e Nur Ed Din parte alla disperata ricerca del suo amore; durante le loro peregrinazioni, i due amanti vivranno strambe avventure erotiche e saranno testimoni di storie altrettanto bizzarre e carnali.
Il mondo erotico e disinibito questa volta è lontano chilometri dalla civilità puritana e mercificatoria dell'Occidente: è quel Terzo Mondo tanto dissimile dalla società borghese quanto ancorato ad un passato che sembra essersi congelato; Pasolini immerge alcuni dei racconti della antologia di Sherezade in un universo primordiale, ma, a differenza di quanto accadeva nel Ciclo del Mito, purgato dagli aspetti più cupi; il mondo delle "Mille e una Notte" è un regno incantato, una dimensione in cui le immagini raggiungono una carica poetica ed una forza visiva a tratti insostenibile, ove natura ed architettura si fondono in un unica cornice per i corpi nudi e caldi degli attori; e nel quale la raffinatezza dei costumi è il perfetto contrappunto delle beltà sempre più presenti e mostrate senza alcun pudore.
L'erotismo è al solito felice e spensierato, ma, a differenza dei precedenti capitoli, smontato da ogni carica provocatoria per farsi pura celebrazione del sentimento amoroso, mai così adulato e decantato dall'autore; è l'amore che muove i due protagonisti e, con loro, l'intero enorme caleidoscopio di personaggi che incontrano personalmente o per il tramite delle storie che leggono; il racconto si fa così più che mai stratificato, con trame e sottotrame che si intrecciano, si scontrano e si sovrappongono senza mai cadere in confusione o contraddizione; e l'erotismo diviene sublimazione del sentimento amoroso o gioco innocente, come nella divertente scena del "bagno a quattro", nel quale i personaggi mostrano esuberanza e al contempo un innocenza che ormai l'Occidente consumista ha dimenticato.
Ma sesso e amore non sono gli unici sentimenti a fare da padrone; come ne "I Racconti di Canterbury" anche qui c'è spazio per gli anfratti più oscuri dell'animo umano, che si personificano in tre splendidi e struggenti racconti. Nella storia di Aziz (Ninetto Davoli) il giovane protagonista si invaghisce perdutamente della bella Budur (Luiigina Rocchi) nel giorno stesso del matrimonio con sua cugina Aziza (Tessa Bouchè); sarà quest'ultima a sacrificarsi affinchè il suo promesso sposo coroni la sua lussuria; Aziz è il simbolo della leggerezza, un giovanotto spensierato e un pò scemo caduto tra le spire di un'amante volitiva e salvato solo dalle sagge parole della giovanissima cugina; l'amore di questa è puro, innocente come il suo volto angelico, mentre quello di Budur è esclusivamente carnale e possessivo, ossia il lato più distruttivo del sentimento stesso, il quale porta alla morte dell'innocenza (splendidamente portata in scena con l'espediente dell' "arco fallico") ma anche alla distruzione del corpo come punizione per la lascivia; e nel dare corpo e (sopratutto) volto ad Aziz, Ninetto Davoli, all'ultima collaborazione con il suo mentore, dà prova di aver raggiunto la piena maturitità come attore.
Il principe Shahzmah (Alberto Argentino) è invece protagonista di una storia di lussuria e castigo più breve ma non meno incisiva; incontrata per caso una bella ragazza prigioniera di un feroce demone (Franco Citti), il giovane la fa sua e sfida il invano il feroce rivale, il quale fa a pezzi la ragazza e lo trasforma in uno scimpanzè: solo il sacrificio di un'altra giovane lo salverà; anche Shazmah, come Aziz, è un lussurioso ed un codardo: la sua lascivia lo porta a sfidare il demone e a causare la morte di due innocenti; il sesso non viene però dipinto nemmeno qui come un peccato, quanto come un viatico per l'errore e, con esso, per la conseguente redenzione.
Più picaresca è la storia di Yunan (Salvatore Sapienza), giovane imbelle che viene chiamato da Dio per sconfiggere una calamità naturale; Yunan non raggiunge l'illuminazione o il cammino della redenzione grazie al corpo, ma tramite il sacrificio della sua innocenza e l'immolazione di una vittima sacrificale, simbolo della sua giovinezza perduta; e più che sul suo esito finale, Pasolini rimarca il cammino che lo porta sulla via del Signore, irto di pericoli ed insidie come quelle di un Odisseo orientale.
Su tutto, però, trionfa il sentimento amoroso, l'attrazione fisica ed umana tra amanti impossibili (Zeudi e Tagi) o separati dalla fortuna (Zumurrud e Nur Ed Din), la riconciliazione tra la carne e l'anima, tra il materiale e lo spirituale, in un tripudio di colori sgargianti, paesaggi spettacolari e forme ammalianti; una conclusione leggera e trionfale per la "facile" Trilogia della Vita, nonchè l'ultimo sorriso beffardo, spensierato e sincero prima della Morte, prima della distruzione totale del successivo "Salò o le 120 giornate di Sodoma" (!975), uscito appeno un anno dopo.
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