lunedì 14 maggio 2018

Io sono un Autarchico

di Nanni Moretti.

con: Nanni Moretti, Luciano Agati, Lorenza Cordignola, Simona Frosi, Fabio Traversa, Andrea Pozzi.

Italia 1976



















Si può pensare quel che si vuole di Nanni Moretti, ma due cose sono assolutamente vere riguardo il suo conto. Primo: è un narcisista convinto, compiaciuto di sè stesso e delle proprie posizioni, arroccato in un egoismo/egocentrismo che trasuda da ogni singolo fotogramma di qualsiasi dei suoi film. Secondo: è impossibile dire che la sua filmografia, almeno nel primo decennio della sua carriera, sia mediocre o trascurabile.
Perchè Moretti incarna, nel bene e nel male, l'italiano tipo, con le sue elucubrazioni politiche del tutto autoreferenziali, i girotondi inutili bisnonni degli "indignati", la megalomania irredenta, tutti atteggiamenti e conseguenze proprie dell'italianità moderna. E di conseguenza, i suoi film sono sempre testimonianza preziosa di un periodo storico, oltre che dissertazioni spesso riuscite sulla crisi politica della sinistra e dell'Italia intera. A partire dal suo esordio, l'autoprodotto "Io sono un Autarchico".




C'è un senso di disfatta perenne in questa storiella che Moretti si inventa per dar sfogo alle sue ossessioni: un gruppo di personaggi scalcinati che tenta di mettere in scena una piece sul comunismo e finisce per essere presa a fischi. Ogni singolo personaggio è chiuso in sè, prigioniero della propria inettitudine, a partire dall'alter ego morettiano doc, che qui esordisce al pari del suo creatore: Michele Apicella.




Apicella si nasconde dietro piccoli gesti, frasi sconnesse, veri e propri frammenti di un discorso esistenzialista/politico fatto a pezzi e fagocitato un pò alla volta solo per essere rigurgitato a tratti. Un discorso, il suo, che non va da nessuna parte, fatto di proclami intellettualistici che oggi definiremo "radical chic", ma che all'epoca erano la perfetta testimonianza di una classe piccolo-intellettuale lasciata allo sbando.
Non ci sono più punti di riferimento: l'ideologia comunista si è imborghesita dopo il furore del '68, cristallizzata in vuoti proclami e ancora più vuoti gesti. Da qui la borghesizzazione del comunista, che vive grazie all'assegno da duecentomila lire del papà, in totale antitesi con l'autarchia proclamata dal titolo.
Autarchia che è cifra stilistica, con tutto il film girato in 8mm, camera quasi sempre fissa, movimenti ridotti al minimo ed inquadrature strettissime, per lo più primi piani del cast.




Autarchia che, nella narrato, porta ad uno costante scollamento da tutto. Scollamento dalla realtà quotidiana e dal cinema che si nutre di piccole storie e piccoli personaggi (l'odio di Apicella per la Wertmuller, esplicitato dal vomito conseguente alla notizia del suo successo in America); scollamento tra i personaggi, con Apicella che si separa dalla moglie nella prima scena ed è destinato a non rivederla mai più, così come il suo amico non riesce mai ad avviare un dialogo con la vicina di casa, suo oggetto del desiderio. Scollamento verso la vecchia generazione, tanto odiata, ritenuta superata, con una pernacchia divertita a Moravia che il buon Moretti poteva tranquillamente risparmiarsi.




Scollamento, infine, verso quella stessa ideologia di sinistra nella quale nessuno riesce più a rivedersi, perso nelle proprie ossessioni e miserie; non c'è dialogo, nè retorica: come il pubblico dello spettacolino fugge dal confronto post-rappresentazione, anche i personaggi vivono di dialoghi autoreferenziali, dove non c'è alcuna comunione dialogica, solo una forma di individualismo intellettuale.




Il limite del discorso morettiano è anche scontato: il totale arroccamento nelle proprie posizioni; non c'è vero confronto, non ci sono dubbi sulla tesi propugnata, nè volontà di apertura verso possibili appigli o soluzioni alla crisi ritratta. Moretti è chiuso in sè già in questo primo film, proprio al pari del pubblico che abbandona il teatro, trasformando un possibile dialogo in una masturbazione esibita che, di conseguenza, assume valore solo in quanto istantanea di un mondo che oggi, nelle ceneri della Seconda Repubblica, non esiste più e del quale restano solo gli intellettualismi compiaciuti, sia quelli dell'autore che della classe pseudo intellettuale che tanto odia.

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