di Fabio Resinaro.
con: Lorenzo Richelmy, Luca Barbareschi, Valentina Bellè, Claudia Gerini, Francesco Montanari, Libero De Rienzo, Iaia Forte, Luca Vecchi.
Italia 2019
Un'esplosione incontrollata. Fiamme che sprintano dallo schermo come nel "Cuore Selvaggio" di Lynch. Una voce narrante che, come da tradizione nel nostro cinema, introduce il proprio personaggio... solo per sbarazzarsene immediatamente e far turbinare il tutto in un flashback lungo un film.
Un inizio ad effetto, quello di "DolceRoma", con il quale vengono settate da subito le intenzioni, quelle di un cinema veloce, moderno, quasi sfacciato nella sua meta e autoreferenzialità, nel suo voler scardinare tutte le aspettative dello spettatore in un gioco di giustapposizioni e sovversioni coatte.
Fabio Resinaro, qui al suo esordio da solista dopo la collaborazione con Fabio Guaglione per "Mine", adatta un soggetto di Fausto Brizzi, a sua volta tratto da un romanzo di Pino Corrias, riuscendo a fare propria la materia data, con un occhio al cinema post-pulp anni '90 e tanta voglia di distruggere miti e leggende del mondo del cinema italiano.
Andrea Serrano (Lorenzo Richelmy, che sfoggia uno sguardo allucinato degno di un giovane Brad Dourif) è un giovane scrittore spiantato ma dalle grande ambizioni; con i suoi ultimi risparmi riesce a far pubblicare un suo romanzo, "Non finisce qui", ispirato a veri "malaffari" raccontatigli da un suo conoscente camorrista. Il libro stuzzica l'attenzione del produttore veterano Oscar Martello (Luca Barbareschi), che vorrebbe adattarlo in un film. Comincia così per Andrea una vera e propria scalata all'interno del folle mondo del cinema italiano.
Se quello di Serrano è il punto di vista principale, è Martello ad essere il centro del film, il perno che fa ruotare storia e storie all'interno della narrazione. Una narrazione che è scrittura del caos per il caos, pur distinta in tre atti precisi, che parte da uno scontro totale, quello tra il caos, appunto, e il determinismo: Serrano è inizialmente vittima di forze esterne che ne determinano le azioni, non ha presa sul suo destino e lascia che siano queste a portarlo dinanzi all'opportunità di una vita. Martello è in tal senso la sua nemesi totale, un marionettista che è riuscito a fare strada in un ambiente a lui ostile sino a dominarlo. Ma quanto c'è di effettivamente casuale nelle loro azioni? E' da tale quesito che la storia prende il via ed è da questo punto che i conflitti cominciano a configurarsi.
L'odissea di Serrano si fa via via più delimitata, sino a prendere le forme di un tracciato preciso, quasi aritmetico nella sua costruzione, dove ogni dettaglio è cesellato per incastrarsi perfettamente all'interno del quadro generale. Laddove il caos è fanghiglia, la determinazione è l'appiglio per uscirne. E laddove questa fanghiglia ha le forme suadenti di quel bagno di miele, l'essere umano deve fuoriuscirne come forgiato a nuova forma.
Un caos che è quello produttivo proprio del "sistema-cinema" italiano, dove si arrabattano produttori-truffatori, divette finto-ribelli e ragazzetti cresciuti a pane e cinefilia che credono di essere autori fatti e finiti; mondo che viene connotato con una nota di cinismo smaccata, ma non sgradevole.
Caos che ha anche le forme di una scrittura apparentemente schizofrenica, di una regia che usa toni solo superficialmente altalenanti ed uno stile grottesco dove tutto è esagerato: tutti i personaggi sono cartooneschi, dal Serrano vero e proprio freak burtoniano che si aggira come sperduto per tutto il film alla matrona che ha il volto e il corpo generoso della Gerini, passando per il registucolo di belle speranze interpretato da Luca Vecchi, che sembra appena scappato dal set de "La Grande Bellezza" e i camorristi stile parodia di Crozza, fino ad arrivare a Martello, che, con un sigaro perennemente in bocca, viene caratterizzato da un Barbareschi sempre sopra le righe.
Resinaro tiene sempre salde le redini della narrazione e della messa in scena, purga ogni scena da inutili citazioni facendo propri i punti di riferimento, tanto che gli si può rimproverare unicamente il fatto di non aver pigiato sul pedale del grottesco fino in fondo: uno stile ancora più virato verso il demenziale avrebbe forse giovato al nugolo di personaggi che descrivere e alla pazza storia di cui sono protagonisti.
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