di Neil Marshall.
con: David Harbour, Milla Jovovich, Ian McShane, Daniel Dae Kim, Sasha Lane, Thomas Haden Church.
Fantastico/Azione/Horror
Usa, Inghilterra, Bulgaria 2019
Neil Marshall è un regista che non merita la scarsa attenzione che gli viene solitamente riservata. Artigiano di un cinema orgogliosamente di genere, che non ha paura di ambire unicamente all'intrattenimento dello spettatore, senza voler inserire metafore o sottotesti di sorta nei suoi lavori; un cinema "di pura pancia" che tuttavia non manca mai di coinvolgere e stupire. Basti pensare alla rilettura in chiave barbarica dell' "Anabasi" di Senofonte che ha portato in scena con "Centurion" o al sottovalutato "Doomsday", vero e proprio ottovolante exploitation con cui omaggia i miti di John Carpenter e George Miller.
Eppure, ancora oggi, quello di Marshall non è riuscito ad imporsi come paradigma di un cinema popolare fatto con la testa e con il cuore; e il massacro di "Hellboy" ne è purtroppo il sintomo: disintegrato dalla critica e ignorato dal pubblico, l'ultimo figlio bastardo del regista di Newcastle è stato vittima di un'ordalia iniziata già durante la produzione, con scontri più o meno diretti tra l'autore e praticamente ogni altra figura di riferimento sul set: tra litigi con i produttori e attori che riscrivevano i dialoghi arbitrariamente, è forse un vero e proprio miracolo il fatto che il film abbia visto alla fine il buio della sala. Scontri e difficoltà che appaiono vistosamente sulla pelle del prodotto finito, dalla qualità a dir poco altalenante. Ma questa nuova incarnazione per il Grande Schermo del demone-detective di Mike Mignola merita davvero tutto l'astio riservatole?
Narrativamente sganciato da i due exploit firmati da Del Toro, l' "Hellboy" del 2019 è una rilettura più fedele all'originale cartaceo; ritroviamo su schermo alcuni dei comprimari più amati del demone, come Lobster Johnson, Ben Daimio e la villain Nimue, ma non il simpatico Abe Sapiens. Le differenze con la precedente incarnazione non si limitano però alla sola aderenza al modello originale; laddove Del Toro infondeva nella sua visione rimandi a Lovecraft e alla mitologia nordica, Marshall gioca invece di sottrazione, lasciando che siano le sole creature di Mignola e i relativi rimandi a popolare il suo mondo; il conflitto, di conseguenza, è dato tutto dai personaggi principali piuttosto che dai loro comprimari; ed il conflitto principale, come avveniva nel primo film di Del Toro, deriva proprio dalla natura ambigua del suo protagonista, demone cresciuto come uomo, chiamato a combattere la sua stessa natura per salvare ciò a cui tiene. Ma non ci sono dialoghi ridondanti, scene strappalacrime o improbabili triangoli amorosi, tutto viene cucito addosso all'azione, evitando ogni pretenziosità.
Marshall controlla sempre bene la narrazione, a cui imprime un ritmo a dir poco indiavolato: non c'è un solo momento di stanca nei 120 minuti di durata, che scorrono sempre rutilanti su schermo. Il gusto per l'action traspare a prescindere dalle difficoltà di esecuzione sul set: davvero spettacolare il combattimento con i giganti, eseguito con una serie di finti piani-sequenza che si interconnettono; ma il mestiere di Marshall è avvertibile anche nelle sequenze dialogiche, come nell'incontro con la megera Baba Yaga, dove l'uso del grandangolo per i primi piani restituisce tutta la sensazione di disgusto e smarrimento del protagonista.
L'umorismo, d'altro canto, risulta talvolta forzato, relegato com'è al solo uso del turpiloquio e di freddure sparate durante l'azione; il divertimento deriva così per lo più dall'azione stessa e dal gusto per l'esagerazione, con lo splatter che diventa gore talmente urlato da sfociare volontariamente nel parossistico.
Tanto che, alla fine della visione, a Marshall non si può rimproverare praticamente nulla. Gli unici veri difetti di questo suo B-Movie ad alto budget sono dati da una CGI a tratti vistosamente finta e da un climax tutto sommato prevedibile, con una risoluzione degli eventi che non lascia spazio a veri colpi di scena.
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