The Dead Don't Die
di Jim Jarmusch.
con: Bill Murray, Adam Driver, Tom Waits, Chloe Sevigny, Tilda Swinton, Steve Buscemi, Danny Glover, Caleb Landry Jones, RZA, Sara Driver, Selena Gomez, Rosie Perez, Carol Kane, Iggy Pop.
Usa, Svezia 2019
Il cinema di Jarmusch è, in un modo o nell'altro, perennemente sospeso in quella zona di confine tra omaggio sentito e parodia, tra passione viva e pulsante verso il "genere" e distruzione totale dei suoi elementi caratterizzanti; laddove "Dead Man" era un western onirico che distruggeva a suon di splatter l'epica classica e leoniana, "Ghost Dog" un omaggio sentito al polar di Melville infarcito di un sottilissimo umorismo acido, "I Morti non Muoiono" compie un percorso a loro simile, eppure diverso, omaggiando i propri numi tutelari e virando, al contempo e clamorosamente, verso i territori dello sberleffo più puro, per abbracciare e sbeffeggiare il filone zombi.
Si parte dal setting più classico possibile, la piccola cittadina di Centerville, dove vive letteralmente un pugno di personaggi, rappresentazione talmente perfetta di quel mid-west americano di romeriana memoria da divenirne esplicita iperbole, con un corredo di personaggi sin troppo aderenti ai rispettivi archetipi: dallo sceriffo Cliff Robertson (Bill Murray, che nella tradizione dell'autore porta il nome di un corrispettivo famoso, in questo caso il compianto caratterista omonimo), paterno eppure scazzato, al barbone filosofo Bob (Tom Waits), passando per lo zotico di fiera ispirazione trumpiana Frank Miller (Steve Buscemi), il nerd Bobby (Caleb Landry Jones), la nuova impresaria delle pompe funebri e patita di filosofia zen Zelda (Tilda Swinton) fino agli hipster di passaggio capitanati dalla peperina Zoe (Selena Gomez).
Centerville è, nel modo più puro e semplice, l'archetipo di ogni ambientazione di ogni horror possibile, corredato dai personaggi più ricorrenti. Non per nulla, Jarmusch mette subito in chiaro quali sono i suoi numi tutelari, ossia Romero, ma anche John Carpenter, richiamati esplicitamente non solo nella costruzione dello script, quanto e sopratutto dall'oggettistica esposta nell'antro del nerd, vero e proprio coacervo di tutto il cinema dell'orrore possibile dal "Nosferatu" di Murnau sino ai classici del neo-horror americano degli anni '70 e '80.
Anche nella costruzione degli eventi, Jarmusch riprende il modello "classico", con un primo atto che introduce i personaggi, un secondo in cui l'orrore comincia a strisciare a poco a poco tra le case ed un terzo in cui l'incubo esplode. Le tempistiche vengono dilatate, ogni tensione viene volutamente disinnescata dal ritmo lento e dall'umorismo sarcastico e feroce, mai così vicino a quello dei fratelli Coen per asciuttezza ed efficacia. Il ribaltamento del canone è così servito, ma è solo il primo passo dell'opera de-costruttiva.
Tutti i personaggi sono, bene o male, parodie, caricature di sé stessi che si muovono all'interno del feroce gioco al massacro intessuto dall'autore. A partire dagli sceriffi, uomini d'azione che, a differenza di quanto accadeva ne "La Notte dei Morti Viventi", non riescono a tenere a bada l'invasione, anzi non sanno davvero cosa fare nonostante vivano in universo in cui la fiction sugli zombi esiste ed è di comune conoscenza. Il nerd di turno, l'outsider che sarebbe stato l'eroe in qualsiasi trama negli anni '80 e '90, non riesce a combinare nulla, nemmeno a fare colpo sull'interesse amoroso di turno, tantomento a salvarsi la vita, pur combattendo fianco a fianco con il personaggio di Danny Glover, afroamericano reminiscenza dell'eroe del capolavoro di Romero.
Lo stesso non-morto è al contempo doppio sbiadito di ciò che era nei tempi passati e sua perfetta rappresentazione: nuovamente redivivo che ripete meccanicamente tutte le azioni fatte in vita, chiuso in cerchio infinito di consumismo che non porta a nessuna forma di soddisfazione (come in "Dawn of the Dead"); eppure la metafora anti-capitalistica (così come quella ecologista data dalla causa scatenante il risveglio) resta sempre sullo sfondo, secondaria a quello che è davvero il cuore del film.
Poiché Jarmusch non vuole tanto ripetere la lezione di Romero, né semplicemente omaggiarla o scompaginarla, quanto crearne una versione iperbolica, totalmente fuori controllo, dove nulla segue quegli schemi preimpostati da anni di imitazioni e omaggi. Non per nulla, già nei primissimi minuti fa abbattere la quarta parete al personaggio di Adam Driver, il quale, nell'ultimo quarto, finisce addirittura per confessare di aver già letto la sceneggiatura e sapere che tutto finirà come da tradizione, ossia male per i protagonisti. E anche in questo finale "telefonato" non c'è davvero nulla di scontato: non la dipartita dei tutori dell'ordine, purgata da ogni valenza eroica, non l'esplicitazione della metafora, semplicemente spiattellata allo spettatore dal narratore onnisciente, non la certezza della salvezza di quei personaggi (l'eremita di Waits, i tre ragazzini chiusi in riformatorio) che, vivendo al di fuori del sistema sociale, sarebbero anch'essi perfetti eroi da film di genere.
Quello di "I Morti non Muoiono" è così un lavoro non dissimile da quello fatto anche in "The Limits of Control", ossia una riflessione sull'arte del tutto autocosciente e metareferenziale, che ora tocca quel cinema che, ancora oggi, ci si ostina a credere di serie B, guarnendo il tutto con un umorismo distruttivo atto a sovvertirne ogni elemento caratterizzante; oltre a distruggere persino quelli che sono gli elementi caratterizzanti dello stesso cinema di Jarmusch e persino di sé stesso, come dimostra il personaggio di Tilda Swinton, dapprima riproposizione del samurai di "Ghost Dog", poi vero e proprio colpo di scena vivente.
Una riflessione che riesce ad essere al contempo divertita e divertente, adagiandosi su di un lavoro degli attori semplicemente irresistibile e su di uno humor sempre riuscito, persino quando si fa cartoonesco, nonché una carica dissacrante che farebbe invidia a molte altre commedie ben più blasonate presso il grande pubblico ("Zombieland" in primis), impostandosi se non come il film più interessante del suo autore, quanto meno come uno dei suoi più riusciti.
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