giovedì 4 febbraio 2021

Il Sacrificio del Cervo Sacro

The Killing of a Sacred Deer

di Yorgos Lanthimos.

con: Colin Farrell, Nicole Kidman, Alicia Silverstone, Barry Keoghan, Sunny Suljic, Barry G.Bernson, Bill Camp, Denise Dal Vera.

Irlanda, Inghilterra, Usa 2017













Sin dal suo esordio, Lanthimos ha sempre cercato di intessere narrazioni fortemente metaforiche che tramite trame smaccatamente surreali e surrealiste cercassero di dare uno spaccato al vetriolo della società o dello stato dell'essere umano. Il che non avviene ne "Il Sacrificio del Cervo Sacro", vero e proprio thriller psicologico nel quale né lui, nè il fido sceneggiatore Efthimis Filippou sembrano controllare i risvolti di una storia forte e provocatoria.


Steven (Colin Farell) è un rinomato chirurgo che stringe una strana forma di amicizia con il giovane Martin (Barry Keoghan), figlio di un suo paziente morto durante un'operazione. Martin, tuttavia, non è ciò che sembra e, dopo essersi introdotto nel nucleo familiare del medico, lo avvisa che i suoi cari sono stati colpiti da una maledizione: spetta a Steven scegliere chi tra la moglie (Nicole Kidman) e i due figli (Raffey Cassidy e Sunny Suljic) sacrificare affinché gli altri si salvino.


Sul tono, Lanthimos è chiaro sin dalla prima inquadruta: un cuore pulsa durante un'operazione a torace aperto direttamente sul volto dello spettatore. Il racconto sarà duro e privo di compromessi, come nella tradizione non solo dell'autore, ma anche della sua fonte di ispirazione principale, ossia il cinema di Michael Haneke. Ora, anzi, è anche più duro che in passato: Lanthimos non lesina dettagli rivoltanti, né si tira indietro dinanzi alla violenza che, sopratutto psicologica, è presente in tutte le scene. Come "Funny Games" e "Benny's Video", anche "Il Sacrificio" è un vero e proprio atto di sadismo verso i personaggi e, prima ancora, verso lo spettatore, chiamato a non distogliere mai lo sguardo dai drammatici eventi.


Una serie di eventi che si rifà alla tragedia greca classica, l' "Ifigenia" in particolare, dove un padre è costretto a scegliere chi sacrificare alla forza maligna evocata per poter salvare il resto del nucleo familiare. Un uomo solo, patetico e nudo, dinanzi a eventi catastrofici e ineluttabili. Steven, così come sua moglie e i due ragazzi, sono persone comuni, con pregi e difetti, mentre Martin è l'elemento di disturbo, un personaggio infido e apertamente bugiardo, che decide di distruggere ciò che non può possedere. Il suo è un male banale, quasi sciocco nella sua infantilità e in questo Lanthimos trova un in interprete perfetto in Barry Keoghan, che con il suo viso slavato e lo sguardo sinistro appare davvero come un infante arrabbiato.
Lo stile, d'altro canto, si rinnova e trova nelle carrellate lo strumento prediletto; la dinamicità dell'inquadratura è inarrestabile quanto gli eventi e la regia si diverte a seguire in modo vorticoso i personaggi in un andirivieni quasi ludico, quasi uno sberleffo verso il tono drammatico, saggiamente controbilanciato da un commento musicale estremo, alieno nei suoni opprimenti.



Se il tono è perfetto e si rimane sempre incollati alle ipnotiche immagini, regista e sceneggiatore non riescono a dire nulla di particolare con questa sinistra storia. Laddove "Dogtooth" era una metafora sugli orrori dell'educazione familiare votata all'estremo, "Alps" un saggio sugli effetti deleteri della mancata elaborazione del lutto e "The Lobster" uno sfregio alla cultura dell'accoppiamento forzato, "Il Sacrificio" non sa cosa davvero vuole essere. Non un trattato sulla banalità del male, visto che la maledizione viene formulata per vendetta, non uno spaccato sulla ferocia della giustizia karmica, visto che la colpa del protagonista non viene mai davvero accertata, né un ritratto sulle ipocrisie del gruppo familiare, il quale resta invera sempre unito, nonostante qualche comprensibile risvolto egoista.



Nel riproporre strutture e tematiche della tragedia classica in una chiave ai limiti dell' horror, Lanthimos crea semmai un perfetto meccanismo di genere condotto con mano autoriale, un ottimo thriller d'autore che riesce a parlare al ventre in modo diretto e costante. E' questo, però, pregio e limite: se da un lato il film per sé è godibile nella sua cattiveria, l'operazione non è del tutto riuscita, lasciando appunto da parte tutti i possibili significati attribuibili ad una storia del genere.

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