lunedì 19 dicembre 2022

Emancipation- Oltre la Libertà

Emancipation

di Antoine Fuqua.

con: Will Smith, Ben Foster, Charmaine Bingwa, Gilbert Owuor, Ronnie Gene Blevins, Mustafa Shakir, Aaron Moten, Steven Ogg.

Storico/Drammatico

Usa 2022















Se "Emancipation" fosse stato prodotto negli anni '90 (ossia anni prima di "12 Anni Schiavo"), forse lo si sarebbe accolto come un piccolo capolavoro e Will Smith avrebbe persino preso quell'Oscar che invece l'Accademy ha dovuto concedergli per quella cretinata di "King Richard".  Questo perché l'ultima fatica di Apple+ è un film vecchio nella scrittura, oltre che ridondante nei contenuti, vista la sovraesposizione di storie del genere in quella Hollywood moderna la quale è definitivamente convinta che la "questione nera" non sia mai stata affrontata davvero nell'intera storia del cinema ed è al contempo cosciente di come prodotti del genere assicurino premi e riconoscimenti vari, visti anche gli squallidi regolamenti dei concorsi e delle cerimonie, che oramai premiano solo l'inclusivismo un tanto al chilo e l'impegno di pura facciata.
E il tutto è, come sempre, un grosso peccato, visto che la storia di Peter il Fustigato (in realtà chiamato Gordon), volto e corpo degli orrori dello schiavismo americano, avrebbe meritato davvero un'opera più solida e meno convenzionale.



Nel 1863, mentre la Guerra di Secessione infuria, Abraham Lincoln, prossimo alla scadenza del mandato presidenziale, emana un editto di emancipazione degli schiavi: la popolazione di origine africana segregata negli stati del sud è ora libera, anche se solo formalmente. 
In Louisiana, lo schiavo Peter (Smith), di origine haitiana e padre di famiglia, viene ceduto dal padrone all'esercito confederato e allontanato così dal nucleo famigliare.
Giunto ai limiti del fronte, Peter viene a sapere del proclama presidenziale e decide di scappare verso Baton Rouge, dove è accampato l'esercito dell'Unione. Sulle sue tracce si mette il feroce "cacciatore di negri" Jim Fossel (Ben Foster).


La costruzione della storia è quanto di più banale ci si possa aspettare, a partire dalla caratterizzazione di Peter, forte credente la cui fede in Dio non vacilla praticamente mai, rientrando nell'archetipo dell'eroe amicano vecchia scuola. Quella di Fossel, vero e proprio villain, rientra nello stereotipo del cattivo razzista fatto e finito e persino quando la sua indole intollerante dovrebbe trovare una forma di razionalizzazione, si preferisce glissare e confermare il fatto che il suo odio è illimitato e quasi innato, concedendo una forma di blando approfondimento solo quando si iscrive il suo comportamento nell'educazione impostagli per via paterna; al bando ogni forma di vera contestualizzazione storica, ogni richiamo alle follie sociologiche, scientifiche e giuridiche ottocentesche e alle forme di economia del sud degli Stati Uniti, la piattezza aiuta forse l'immedesimazione di quel pubblico di faciloni che solitamente viene preso di mira da produzioni del genere, preferendo il sensazionalismo alla buona narrazione.



Narrazione che inoltre non risparmia altri luoghi comuni, dalla sopravvivenza superomistica di Peter, il quale arriva persino a sconfiggere un alligatore a mani nude, al monologo ispiratore prima della battaglia utile a spiegare ai più distratti lo spirito indomito e indistruttibile del protagonista. Tutto già fatto, tutto già visto, tutto che sembra uscita da quel cinema spettacolare e impegnato di venti o trenta anni fa, quando aveva davvero motivo di esistere e forse risultava persino fresco ed efficace.
Come se non bastasse, si decide anche di dare spazio alla figura della moglie di Peter, con una sottotrama che non solo non aggiunge nulla di davvero sostanziale alla storia, ma finisce anche per spezzare malamente quella tensione che la storia deve trasmettere, disvelandosi come un semplice pretesto per dare spazio ad un personaggio femminile.



Antoine Fuqua, dal canto suo, è un regista il cui curriculum presenta prove che vanno dal buono all'inguardabile e qui si sforza di creare immagini spettacolari, senza però riuscire mai davvero a stupire, abusando di ralenty e di quel drone pazzo che oramai sembra essere diventato un must nelle grandi produzioni. Di certo, non è assistito dalla fotografia di Robert Richardson, che si limita clamorosamente a desaturare i colori al massino per poi alternare una monocromia che non riesce mai a conferire alle immagini l'eleganza ricercata. E su tutto, vige una forma di insistenza sulla violenza che la rende compiaciuta, ma mai davvero scioccante, persino quando su schermo appaiono le teste mozzate degli schiavi disobbedienti.




"Emancipation" non è certo un brutto film e anzi troverebbe una sua ragion d'essere come pellicola didascalica per formare i più giovani agli orrori dello schiavismo, ma come film di denuncia e rielaborazione storica paga lo scotto di un'esecuzione convenzionale, priva di originalità e veri guizzi artistici, divenendo presto esangue e alla fin fine inerme. Resta comunque l'ottima prova di Will Smith, che tra una sfilata glamour e uno schiaffo utile solo a far alzare i riflettori, si ricorda di essere ancora un attore vero e proprio.

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