giovedì 15 dicembre 2022

Pinocchio

Guillermo Del Toro's Pinocchio

di Guillermo Del Toro & Mark Gustafson.

Animazione/Fantastico

Usa, Messico, Francia 2022






















In un certo senso, il "Pinocchio" di Del Toro non poteva uscire in un periodo peggiore. Solo quest'anno il capolavoro di Collodi è stato riportato su schermo sia dall'orrido remake Disney di Zemeckis che da quel "Pinocchio- A True Story", film d'animazione in CGI russo che definire mediocre sarebbe un complimento; e il tutto ad appena tre anni dall'exploit di Matteo Garrone. Il rischio è quello della sovraesposizione, di un rigetto da parte del pubblico di una storia risaputa e rivista, nonostante il nome dell'autore sia sempre una garanzia di originalità.
Fortunatamente, l'ultima fatica del visionario messicano si rivela come non solo una riuscita rilettura, ma anche come uno dei suoi film migliori.




Una rilettura che si allontana dalla storia originale, modificandone in parte la trama e soprattutto i personaggi per darne un significato ulteriore. Il setting è anzitutto diverso, con l'Italia fascista che sostituisce il neocostituito regno; il personaggio del Conte Volpe è poi una fusione del Gatto e la Volpe e Mangiafuoco, mentre l'inedito personaggio del Podestà finisce per ricoprire il ruolo di cattivo e sorta di nemesi di Geppetto; Lucignolo, da ultimo, diventa il figlio del Podestà e non più l'incarnazione dell'archetipo del bambino cattivo, quanto un personaggio tutto tondo e quasi speculare al protagonista. La Fata Madrina viene poi sostituita da due sfingi, incarnazioni della vita e della morte, della quale è l'ultima in realtà a guidare Pinocchio nel suo viaggio.




Un viaggio che non è più solo quello di un bambino che deve imparare la differenza tra bene e male, quanto una lunga catarsi sul rapporto padre/figlio. Un rapporto che Del Toro sa non essere univoco, è cosciente di come si possa sbagliare sia da una parte che dall'altra. Geppetto è sicuramente un padre amorevole, ma lo è anche troppo, non riuscendo ad elaborare la perdita del figlio Carlo neanche a decenni di distanza. Pinocchio diventa così un surrogato, un vero e proprio essere redivivo che ne prende il posto ancora prima che la sfinge gli dia vita, da cui la reimmaginazione della costruzione del burattino come una sorta di delirio frankensteiniano. Tanto che lo stesso Pinocchio finisce per perdere qualsiasi connotazione umana nell'estetica, ridotto ad un vero e proprio pezzo di legno umanoide.




La sua è inizialmente la storia di un bambino perso tra mille richiami che deve capire dove sta il bene, ma subisce subito un cambiamento. Il Grillo Parlante, ribattezzato Sebastian, si distacca da lui da metà film in poi, finendo per ricoprire unicamente il ruolo di narratore. Pinocchio deve così invece imparare ad essere un buon figlio, nel bene e nel male, trovare una dimensione personale che gli permetta di rendere orgoglioso il babbo, senza però compromettere la sua coscienza. La collaborazione con il Conte Volpe (nella seconda parte della storia vero e proprio replicante di Mangiafuoco) è volontaria come nella versione di Zemeckis, ma qui trova una giustificazione narrativa e caratteriale che dona una compattezza narrativa ulteriore alla storia.




Ma il "Pinocchio" di Del Toro è anche una tipica favola del regista messicano, nella quale ritornano tutti i suoi temi ricorrenti. In primis, la morte, anche qui causata da una bomba come ne "La Spina del Diavolo" e che ritorna puntualmente ad intervalli regolari quando il protagonista viene freddato dagli eventi. Una morte che non è tragica, per lui, quanto per chi gli sta accanto, con la vita eterna che alla fine diventa una maledizione, una condanna a seppellire gli amati.
In secondo luogo, il contesto storico diventa colonna portante nella narrazione, persino più che in "Il Labirinto del Fauno" e non solo a causa della comparsa del "nano Benito" in una scena tanto dissacrante quanto divertente, quanto e soprattutto con la sostituzione del Paese dei Balocchi con il campo di addestramento dei balilla. Il mondo fatato che trasforma i bambini in asini facendo leva sui bassi istinti diventa una fabbrica di assassini che de-umanizza gli infanti vendendo la vanagloria del conflitto (il che ad un pubblico italiano, cosciente della disastrosa gestione bellica del governo fascista, risulta ancora più devastante), con le maschere antigas che sostituiscono le teste d'asino. "Pinocchio" ritrae la mostruosità della macchina bellica in modo efficace, anche se del tutto universale, finendo per creare una disanima perfetta, ma che glissa su alcuni degli aspetti più caratterizzanti della retorica del Ventennio e che avrebbe donato un significato ulteriore e ancora più caratterizzante alla storia.




Assistito dallo specialista in stop-motion Mark Gustafson (qui al suo esordio nel lungometraggio), Del Toro crea animazioni dalla fluidità sconvolgente, che divengono ancora più preziose quando ci si accorge di come questa sua fatica sia praticamente il film d'animazione passo-uno più lungo mai concepito. Ma a fare la differenza è ovviamente il suo gusto estetico, che fonde il gotico con un personalissimo tocco orrorifico. Al di là del design del protagonista, a colpire è quello delle sfingi: esseri appartenenti ad una mitologia pagana, ma reinventate con i crismi caratterizzanti gli angeli della tradizione ebraica (con le ali tempestate di occhi come la Morte di "Hellboy- The Golden Army"). Ma si potrebbe citare anche il design di Volpe, ibrido uomo-felino, o l'espressività della scimmia Spazzatura.




"Guillermo Del Toro's Pinocchio" è così una rilettura riuscita e spettacolare, un film profondo e emozionante, animazione fatta con la testa di un adulto e il cuore di un bambino, che aggiunge molto al classico di Collodi senza snaturarlo. Un piccolo miracolo, prova di come anche in Occidente è possibile fare animazione di un certo valore.

2 commenti:

  1. Era più facile sbagliarlo che farlo giusto un film così, l'ha fatto giusto, minchia se l'ha fatto giusto, come dicono i francesi ;-) Cheers!

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