mercoledì 9 aprile 2014

I Racconti di Canterbury

di Pier Paolo Pasolini

con: Hugh Griffith, Laura Betti, Ninetto Davoli, Franco Citti, Pier Paolo Pasolini, Vernon Dobtcheff, Josephine Chaplin, Alan Webb.

Italia, Francia (1972)



















Secondo capitolo della "Trilogia della Vita", "I Racconti di Canterbury" prosegue la rappresentazione pasoliniana di una società borghese ancora embrionale nella quale il sesso, l'amore, la spiritualità e la morte si rincorrono senza sosta.


Nel portare in scena l'opera omonima di Jeffrey Chaucer, Pasolini prediglige le novelle più licenziose ed erotiche; il corpo umano, come lui stesso affermerà, diviene il suo modello; la rappresentazione del sesso si fa qui più esplicita: le scene di nudo aumentano e gli amplessi sono ripresi in modo ancora più diretto; la gioia del sesso diviene di nuovo paradigma della felicità terrena e della spensieratezza di un epoca perduta.


L'atmosfera leggera e solare viene accentuata dalla splendida fotografia di Tonino delli Colli e sopratutto dai costumi di Danilo Donati, che predilige tinte sgargianti che si contrappongono in maniera vivida ed efficace ai colori smorti delle scenografie naturali (le strade di Canterbury e dei paesi rurali dell'Inghilterra); l'umorismo viene esasperato sia grazie all'uso della colonna sonora (foriera di splendide canzoni tradizionali britanniche), che delle gag, le quali sfociano sovente nello slapstick vero e proprio; su tutti è l'episodio del "Lazzarone" (Ninetto Davoli) ad essere il più divertente, nel quale Pasolini omaggia un'altra celebre figura della tradizione inglese: Charlie Chaplin.


Tuttavia, man mano che la narrazione procede ci si rende conto di come l'autore prediliga, di tanto in tanto, una risata beffarda e sardonica al riso gioviale; l'umorismo nero la fa da padrone in uno degli episodi più riusciti, quello del traditore, nel quale un fattore che arrotonda i suoi guadagni denucniando i libidinosi stringe un patto con il diavolo, ritrovandosi dannato a causa delle sue stesse parole; il tema della morte è in questo secondo capitolo della trilogia più presente e pregnante; la morte è violenza, cupidigia, avidità; la morte viene ritratta come un castigo per gli scellerati, una punizione per gli ottusi, i quali non possono contare su nessuna salvezza estrema.


Se "Il Decameron" si chiudeva con una visione paradisiaca, "Canterbury" si chiude con una visione infernale: il viaggio onirico di un frate cupido nel girone peggiore dell'Inferno, quello per i chierici, condannati a dimorare nel deretano di un satanasso; ed è nella rappresentazione folle e carnale di questo oltremondo beffardo e terribile che il film trova la perfetta catrarsi: un punto di arrivo nel quale confluiscono i tre temi centrali per creare un climax corrosivo e visionario.


Leggero e amaro, "I Racconti di Canterbury" non può contare sulla freschezza del suo predecessore, né sulla carica visiva del successivo "Il Fiore delle Mille e una Notte" (1974), ma resta comuqnue uno dei film più visionari e divertenti del grande autore emiliano.

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