martedì 3 gennaio 2017

La Donna è Donna

Une Femme est une Femme

di Jean-Luc Godard.

con: Anna Karina, Jean-Paul Belmondo, Jean-Claude Brialy.

Commedia

Francia 1962















Così come il collega ed allora amico Truffaut, anche Godard si ritrova immediatamente dopo il suo esordio "A' Boute de Souffle" (1960) al centro dell'attenzione da parte della critica e del pubblico francese. Il trentaduenne critico dei Cahiers comincia così ad intessere una serie di rapporti sul piano internazionale: entrato in contatto con il produttore Carlo Ponti, avvierà immediatamente una collaborazione che sul piano artistico si rivelerà rosea, ma che sul piano strettamente distributivo sarà a dir poco turbolenta. Ponti, preoccupato per la ricezione che le opere "di rottura" del genio francese avrebbero avuto in una Italia ancora strettamente retrograda sul piano del costume, non si fa scrupoli ad alterarne il contenuto, eliminando intere sequenze (spesso di nudo) e modificarne i dialoghi per alleggerire toni e caratterizzazioni.
Prima vittima di questo trattamento è, paradossalmente, uno dei film più leggeri e briosi del grande artista, "La Donna è Donna", suo secondo lungometraggi,o con il quale intreccia la sua canonica ricerca della sperimentazione estetico-grammaticale con un omaggio alla commedia brillante e al musical americano; un piccolo gioiello che purtroppo nella versione italiana perde molto della sua carica provocatoria ed iconoclasta.




Pellicola coeva e in un certo senso sorella perduta del "Jules e Jim" di Truffaut, richiamata esplicitamente dal cameo di Jeanne Moreau, solo uno degli innumerevoli ammiccamenti metatestuali sparsi per tutta la durata. Anche Godard porta in scena un menagé a trois e la guerra dei sessi, ma laddove l'amico non esitava ad usare toni spesso amari e drammatici, lui adopera sempre e comunque un registro spensierato. Il punto di riferimento è ovviamente Lubitsch, rielaborato in chiave moderna e disillusa.
Perché al centro di tutto c'è sicuramente un personaggio solare, la Angela della bellissima Anna Karina (che terminate le riprese sposerà il regista, divenendone la musa nel suo periodo più fecondo); una donna moderna, che non si lascia schiavizzare dalla figura maschile; una donna che però vive in un ambiente altamente terreno: lo strip club in cui fa la rivista, le misere strade di una Parigi in fondo lontana dalla bellezza pittorica che Godard usava nel suo esordio, un appartamento piccolo quasi quanto quello di Antoine Doinel e famiglia. Eppure Angela cerca quella felicità da favola che solitamente la commedia riserva ai suoi personaggi: cerca di cantare come Gene Kelly nei vicoli scalcinati e si muove come il personaggio di una comica d'antan, con gag volutamente assurde e surreali che inframezzano spesso le scene.




Una felicità che ha le forme della maternità; il senso della vita diviene la famiglia, o meglio le ricerca spasmodica di quel nido familiare che è, qui, conseguenza dell'amore. Amore che sfugge, corre lontano dai personaggi o resta ironicamente relegato sullo sfondo degli eventi (la coppietta perennemente avvinghiata nel vicolo). Poiché a farla da padrone nei frizzanti dialoghi è sempre l'incomprensione: come in "A' Boute de Souffle", anche qui i personaggi si rincorrono per le stanzette dell'appartamento, incapaci di trovare un accordo, di comprendersi, di appianare divergenze o instaurare un dialogo. L'elemento dialogico, anzi, viene decostruito del tutto, non solo nell'uso delle parole e delle battute, ma anche e con un piglio ironico gustoso, nelle scene in cui Angela e il partner Emile (Jean-Claude Brialy) decidono di comunicare solo con le copertine dei libri.




L'incomprensione porta alla fine (temporanea?) della relazione e l'inizio del rapporto a tre: il personaggio di Alfred (Belmondo), amico di Emile è però anch'egli faccia della medaglia maschile. La donna è così costretta ad usare la furbizia, ad intraprendere un gioco di forza, emotivo ed intellettuale con i due partner. Perché a differenza di ciò che accade in "Jules e Jim", Angela non è una capricciosa egocentrica, manipolativa o possessiva e la sua personalità non è, spesso, più forte di quella dei due maschi. Lo scontro è così totale e non fa sconti: la donna si adatta, disperatamente, per raggiungere il suo scopo, l'uomo cerca a più riprese di evitare la responsabilità. Il dolore che ne consegue affligge solo la parte femminile ("Perché sono sempre le donne a soffrire?"), più interessata all'autoconservazione che al ludibrio. Ecco perché ogni bassezza è consentita, purché, paradosso irresistibile, l'amore trionfi.




E se sul piano narrativo la sovversione dei canoni della commedia brillante è l'imperativo, su quello stilistico-estetico Godard è come sempre scatenato. L'uso del Cinemascope gli permette di creare panoramiche in interni incredibili, che raggelano le scene dilatandone le tempistiche; così come la creazione dei titoli di testa si fa pura sovversione delle convenzioni, tanto che decenni dopo Inarritu li citerà esplicitamente in "Birdman (o le imprevedibili virtù dell'ignoranza)" (2014). E per il suo esordio al colore, il grande artista sperimenta una palette a dir poco stravagante, con tonalità fredde giustapposte a dei rossi incandescenti.




Sperimentazione e brio che ben proseguono il discorso godardiano; pur non essendo un capolavoro ai livelli dell'esordio, questo piccolo omaggio ad Hollywood e alla forza femminile resta impresso per la stravaganza oltranzista ed il coraggio di osare senza mai scadere nel sensazionalistico o nel ricattatorio.

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