giovedì 12 gennaio 2017

Miss Peregrine- La Casa dei Ragazzi Speciali

Miss Peregrine's Home for Peculiar Children

di Tim Burton.

con: Eva Green, Asa Butterfield, Samuel L.Jackson, Judi Dench, Rupert Everett, Terence Stamp, Ella Purnell, Allison Janney, Lauren McCrostie, Finley McMillan, Milo Parker, Raffiella Chapman.

Fantastico

Usa, Inghilterra, Belgio 2016











---CONTIENE SPOILER---


E' davvero sconsolante constatare gli effetti squallidi prima ancora che nefasti che il nuovo perbenismo produce. Sia negli Stati Uniti che in Inghilterra si è imposto oramai un modo di pensare solo in apparenza progressista: ogni film deve includere elementi di multiculturalità, necessariamente, pena l'accusa di razzismo, mediante il gergale "whitewashing", come se usare attori caucasici per personaggi concepiti per essere tali equivalga a "sbiancarli". Le radici di tale ottusa mentalità sono quantomai ovvie: il senso di colpa per quella segregazione razziale che tanti mostri ha generato; ultimo dei quali la vergogna di sé stessi e la rincorsa ai modi più stupidi per cercare di scusarsi.
Fa ancora più specie quando il bersaglio di tali stupide e spesso infondate accuse è un autore come Tim Burton. Ora, il buco nero di ispirazione che affligge le sue opere da quasi due decenni è innegabile, ma lo è altrettanto il fatto che queste rappresentino sempre e comunque (anche nei casi delle meno riuscite) personaggi inusuali, reietti di una società omologata ed omologatrice che non riesce a concepire la diversità in nessun modo. E lo fa mediante l'arma più tagliente: quella della metafora fiabesca, caricata di visioni bizzarre ed affascinanti che ben convogliano gli stati d'animo o d'essere dei suoi personaggi. Basti pensare all'espressionismo gotico di "Batman Il Ritorno" (1992) che fa da cornice ai tre freaks, alle tinte pastello slavate che asfissiano l'anima di "Edward Mani di Forbice" (1990) o alle visioni felliniane del suo capolavoro, quel "Big Fish" (2004) dove la celebrazione della forza della fantasia si fa inno all'apertura mentale, alla curiosità, ad un modo di intendere il modo genuinamente moderno e tollerante.
Fatto sta che i "nazisti del buon gusto", come sarebbe giusto definire i fautori di certe inutili e ridicole polemiche, nonché i convinti asservisti di tali modelli di pensiero, ben hanno avuto da ridire notando come il cast di "Miss Peregrine" contasse quasi esclusivamente facce bianche: niente indiani, niente asiatici ed un solo afroamericano, calato nei panni del cattivo, come se il ruolo di villain per un attore sia in qualche modo umiliante o secondario. E questo nonostante i "bambini peculiari" del titolo vivano nel Galles del 1943, di certo il meno multiculturale dei luoghi che si possa concepire.
Fatto sta che le polemiche hanno avuto il loro effetto: pur non essendo stato un flop vero e proprio, "Miss Peregrine" è stato quasi una meteora, che non ha lasciato segni distintivi nella stagione filmica. Il che è ancora più irritante se si tiene conto di come si tratti di una delle prove migliori di Burton degli ultimi anni.




Il romanzo omonimo di Ransom Riggs, pubblicato nel 2011 e primo dell'ennesima serie di libri young adult che tanto spopolano da un decennio a questa parte, ha delle premesse a dir poco derivative: in un mondo dove alcune persone hanno poteri fantastici ereditati geneticamente, Miss Peregrine è una "ymbryne", una manipolatrice del tempo e mutaforma impegnata nella salvaguardia dei giovani "peculiari", che accoglie presso una casa-collegio custodita in un loop temporale. Un ragazzo, Jacob, apparentemente normale, entra in contatto con queste strane e simpatiche creature per avvertirle di un pericolo incombente. In sostanza, un ibrido tra la Hogwarts della serie di "Harry Potter" e gli X-Men di marvelliana memoria, dati i temi dei "diversi" in cerca di rifugio ed impegnati in battaglie all'ultimo sangue. Ma nelle mani di Burton, per fortuna, una storiella blanda acquisisce valore, risultando se non originale, quantomeno interessante e riuscita.





Il personaggio di Jacob, innanzitutto, si inserisce perfettamente nel roaster di protagonisti burtoniani: un giovane estraniato dal mondo in cui vive, dove i normali si divertono ad isolarlo e persino i suoi genitori non riescono a comunicare con lui, preferendo far intervenire lo psicologo di turno; un normale che, pur vivendo in un contesto teoricamente affine alla sua natura, non riesce a trovare il suo posto nel mondo. Il mondo fantastico dei "peculiari" non è però una semplice fantasia escapista nel quale si rifugia, quanto un mondo altro nel quale egli stesso fa fatica ad integrarsi (inizialmente) data la sua natura; Jacob è in sostanza un "diverso tra i diversi" in ogni contesto venga immesso. Asa Butterfield, da questo di vista, risulta una scelta di casting azzeccata: al di là delle sue doti attoriali vere e proprie, il suo volto da bambino e la voce scarna da impiegato privo di fantasia creano un buon contrasto che aiuta a caratterizzare ancora meglio il personaggio.




I restanti membri del cast di personaggi hanno una caratterizzazione talvolta basica, sia nella psicologia che nei "poteri" di cui fanno sfoggio; ma Burton riesce lo stesso ad inquadrarli in modo adeguato, facendone ben risaltare le componenti visionarie. Se la bella Emma è il classico interesse amoroso che dà al protagonista un pretesto in più per far scorrere la storia, sul piano visivo si rivela un personaggio affascinante, le cui sequenze di volo sembrano uscite dalla fantasia del Fellini di "8 e 1/2" (1963). Ancora più riuscito è il personaggio di Enoch, "burattinaio della carne" che riporta in vita morti e pupazzi, dando vita a sequenze degne di un'antologia del fantastico: il combattimento tra bambolotti, animato in un glorioso stop-motion, ed il combattimento finale, dove un esercito di scheletri di harryhauseniana memoria si scontra contro i temibili "vuoti". O ancora, i due misteriosi gemelli, bardati in un costume integrale che li fa somigliare alle foto di Dianne Arbus. Trovate che pur se derivative, riescono davvero a colpire e che permettono all'artista di ritrovare una forma di ispirazione visiva che mancava da tempo nel suo cinema.




Decisamente più blande le figure degli adulti. La miss Peregrine del titolo, pur graziata dalla bellezza e dal carisma di Eva Green, è un personaggio quasi evanescente, giusto un punto di riferimento temporaneo per i giovani ragazzi e mcguffin nel terzo atto; così come il villain di Jackson è puramente di servizio, ma almeno attore ed autore, forse coscienti di questa sua piattezza, decidono di ovviarne le mancanze con dosi massicce di umorismo, che riesce a salvarne la visione.
Più riuscita è invece la caratterizzazione dei mostri, gli "Hallowgast": sul piano visivo sembrano ispirati alle leggende metropolitane dell'internettiano Slenderman, ma acquistano una forma di fascino sinistro una volta entrate in azione: strappano gli occhi delle vittime per riacquisire l'umanità persa.
Vezzo che permette a Burton di dar vita a sequenze che, nella miglior tradizione del suo cinema, sono affascinanti e macabre, come il banchetto a base di bulbi oculari, semplicemente delizioso nella sua cattiveria.




Forma ritrovata che gli permette di fare l'impensabile: rendere interessante una storiucola di servizio. "Miss Peregrine" non è certamente un capolavoro: la debolezza narrativa è inescusabile, una minore aderenza alle pagine del romanzo avrebbe certamente giovato all'intera operazione; ma quantomeno riesce a dimostrare come un regista dato ormai per "bollito" possa ancora stupire ed incantare.

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