di Dario Argento.
con: Asia Argento, Julian Sands, Andrea Di Stefano, Nadia Rinaldi, Carolina Cataldi-Tassoni, Istvan Bubik, Lucia Guzzardi.
Italia 1998
Il fascino innegabile di quel piccolo capolavoro letterario, non ascrivibile alla sola letteratura di genere per quanto ad essa vicina, che fu "Il Fantasma dell'Opera" di Gaston Leroux è sempre stato presente nella filmografia argentina; basti pensare alla scuola di danza di "Suspiria" (1977), i cui sotterranei celano un "mostro" che perseguita la giovane protagonista; così come il quasi omonimo "Opera" (1987), nel quale i riferimenti al romanzo, a partire dall'ambientazione, sono più marcati, al punto che basterebbe sostituire il killer di turno con un musicista mascherato per trasformarlo in una trasposizione vera e propria.
L'adattamento di Leroux era quindi una tappa obbligata per il (fu) maestro del brivido italiano; ed è un peccato che sia arrivato solo nel 1998, ossia quando la sua creatività fosse già esaurita. Tant'è che distanziandosi in parte dalle pagine del romanzo, Argento crea una trasposizione piatta, noiosa, priva di mordente e che cerca di catturare l'attenzione per il solo tramite degli effettacci gore di Stivaletti (comunque di ottima fattura) e dello sfarzo di scenografie e costumi.
Di fatto, il budget di 10 milioni di dollari, assicurati dalla produzione Medusa dell'amico Berlusconi oltre che per il tramite dei finanziamenti statali, gli permette di avere costumi e sfondi che non fanno fanno rimpiangere i classici. Così come la fotografia di Ronnie Taylor, che già aveva illuminato le location di "Opera" oltre ad aver eseguito le splendide immagini del "Barry Lyndon" (1975) di Kubrick, cerca di creare un'atmosfera onirica ed ipnotica. Eppure nulla riesce, sopratutto a causa della mano stanca del regista.
Il confronto con i precedenti adattamenti è d'obbligo, visto la loro influenza sulla Settima Arte tutta. La versione del 1925 di Rupert Julian è in tal caso ineguagliata: Lon Chaney riusciva davvero a creare un personaggio violento e dolente, perfetto mix di vittima degli eventi e spietato macchinatore di carneficine. Così come "Il Fantasma del Palcoscenico" (1974) di De Palma (anch'esso fotografato da Taylor) riusciva nell'impresa di rileggere in chiave post-moderna e rock il classico, riplasmando la figura del Fantasma come quella tragica di una vittima di un vero mostro.
Argento dal canto suo tenta un'operazione simile: il suo Fantasma è violento, ma anche estremamente romantico, non ha una vena di vera cattiveria, quanto modi bruschi. Il vero mostro, anche qui, è un altro, l'Ammazzatopi, promosso a villain vero e proprio nel terzo atto, in una inversione di ruoli netta, quasi burtoniana. Il che sulla carta è interessante e originale, ma nell'esecuzione si rivela a dir poco ridicolo.
Il Fantasma di Argento non è deforme, né sfregiato; è anzi un sex symbol da copertina i cui unici difetti fisici pare siano dovuti ad una sua inimicizia con il barbiere; non si capisce cos'abbia di diverso, di oscuro, del perché viva nelle caverne sotto l'Opera o perché non esca allo scoperto tra le strade di Parigi; perché, in sostanza, debba rappresentare una sorta di fascinoso lato oscuro dell'essere. Fatto sta che per cercare di dare al tutto un taglio più gotico, Argento, visto che già aveva adocchiato la filosofia di Burton, copia l'incipit dello splendido "Batman Il Ritorno" (1992) e lo trasforma in una specie di uomo-topo, per il solo fatto di essere stato cresciuto dai topi, che qui sono improbabili "creature delle tenebre". E sempre visto che ormai c'era, lo fa anche muovere come il Batman di Burton, con tanto di mantello usato per planare verso la bella, alla disperata ricerca di una forma di stile non sua. L'ultima stoccata viene data dal casting: Julian Sands ha sicuramente fascino, ma è espressivo quanto un merluzzo sotto sale, non riuscendo mai a dare il carisma necessario al personaggio.
Di meglio non va certo con gli altri due elementi del triangolo amoroso. Christine è Asia Argento e le sue doti recitative sono al solito scarse; a questo bisogna poi aggiungere il fatto che non sembra abbastanza giovane per la parte. Mentre nel ruolo di Raoul troviamo Andrea Di Stefano, ancora acerbo nella recitazione (aveva esordito appena l'anno primo ne "Il Principe di Homburg" di Bellocchio) ed è qui che torna ad affacciarsi il ridicolo involontario: con trucco e parrucco alla Lord Byron, è un gentiluomo ben più tenebroso lui del fantasma del titolo.
La love-story tra i tre e quanto di più forzato e blando si possa immaginare; il primo incontro tra il Fantasma e Christine viene ambientato in un corridoio qualsiasi ed enfatizzato come se lui fosse un comune gentiluomo di passaggio; senza alcun motivo apparente, tra i due sembra esserci una sorta di connessione psichica, che da metà film in poi scompare, forse perché anche Argento si era reso conto che vedere Christine confabulare da sola come se avesse un anacronistico cellulare era inguardabile.
Il ruolo di Rauol è inconsistente e la bella si rende conto di amarlo di punto in bianco, dopo appena una chiaccherata alla buona. L'attrazione verso il Fantasma comincia a svanire di punto di bianco, giusto perché lui ad un certo punto decide di non portarla con sé mentre architetta il piano per togliere di mezzo la Carlotta (interpretata da Nadia Rinaldi, l'unica attrice in parte, il che è tutto dire), come se anzicché pensare come una donna del tempo, fosse in realtà una ragazzetta cresciuta guardando i programmi di Maria De Filippi; se a ciò si aggiunge la caratterizzazione sbagliata del Fantasma, ci si rende conto di come il tutto sia privo di senso, rendendo la visione oltremodo fiacca.
Ma per fortuna a salvare dalla noia ci pensa l'onnipresente ridicolo involontario. Le risate sono assicurate quando Argento decide di far muovere l'Ammazatopi ed il suo aiutante nano su di un trabiccolo da Ghostbusters dell'era steampunk del tutto fuori luogo in una pellicola che vorrebbe essere un horror romantico e che risulta ridicolo anche quanto volontariamente ironico, prova della totale mancanza di polso del regista. Ridicola è pure la comparsa di Edgar Degàs, che si aggira in qualche inquadratura per dare alla storia una blanda forma di verosomiglianza. Ancora più ridicole, le sequenze oniriche, con le visioni di un Asia Argento che vorrebbe essere angelica ma che sembra uscita dalla reclame di una rivista osè; così come ridicole sono le inquadrature in compositing, con un green screen talmente falso da far sembrare il tutto l'opera di un gruppo di cineamatori del sabato sera.
Mentre persino la tensione latita; inutile cercare di appassionarsi ai personaggi secondari, del tutto inesistenti, o alla loro dipartita; le sequenze di morte sono solo uno showcase di effetti speciali, nulla più. Tanto che persino defiinire questo pastiche di ambizioni malriposte come "horror" appare fuorviante.
E alla fine della visione non resta nulla, se non la noia e la certezza di come Argento riesca a scendere sempre più in basso man mano che gli anni aumentano. Tanto sarebbe valso ritirarsi a vita privata già all'indomani di questa cocente delusione.
oh mamma! Il cinema di Dario Argento non è mai stato cinema d'attori, ma qui Asia è ai livelli più bassi della sua carriera, ed il resto del cast non l'aiuta
RispondiEliminaIn suo favore si può solo dire che è meno "zombi" del solito.
RispondiEliminaBella recensione, complimenti. Da amante del romanzo di Leroux, quando ho visto questa versione di Dario Argento sono rimasto con un sorriso beota stampato in faccia: "ma fa sul serio Argento?" mi sono detto. Purtroppo sì, ha voluto prendere un classico e trasformarlo in una brodaglia. Un fantasma dell'opera col visto da modello un po' fru fru... è stato il colpo di grazia! :(
RispondiEliminaTi ringrazio :)
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