Logan
di James Mangold.
con: Hugh Jackman, Patrick Stewart, Dafne Keen, Boyd Holbrook, Richard E.Grant, Stephen Merchant, Elizabeth Rodriguez.
Azione
Usa 2017
17 anni nei panni di un unico personaggio; descrivere così la carriera di Hugh Jackman sarebbe sicuramente riduttivo, ma in fondo veritiero. Perché nonostante delle eccezioni sensazionali ("The Prestige" e "Prisoners" su tutti), il volto dello statuario interprete australiano è stato sempre e comunque legato all'artigliato mutante Marvel, quel Wolverine che nel 2000 lo consacrò a superstar nel primo adattamento degli Uomini X al cinema.
E di tempo ne è passato, sia per Jackman che per Logan. Se l'attore è divenuto uno dei volti più noti di Hollywood degli ultimi anni, il personaggio ha attraversato una fase decostruttiva che ne ha poi sancito la scomparsa (che ovviamente sarà solo temporanea, come da tradizione nella Casa delle Idee), in favore di un'erede, quella X-23 che ora approda per la prima volta la cinema. Così come anche per il Wolverine filmico sembra essere arrivata l'ora di un ritiro, non dopo un ultimo exploit, il primo della serie ad avere ottenuto un rating R che meglio si adatta alle atmosfere ed al carattere ferino del personaggio (ed il merito è tutto di quel "Deadpool" per il quale si attende un possibile cross-over). E questo terzo film in solitaria di Wolverine, seguito del buon "L'Immortale" (2012), testimonia perfettamente questa transizione, rifacendosi in parte ad una delle storie più recenti e curiose del personaggio: il crepuscolare "Old Man Logan" di Mark Millar.
Pubblicata tra il 2008 e il 2009, quasi in contemporanea con l'uscita di "X-Men le Origini- Wolverine", "Old Man Logan" si inserisce nel solco tracciato dal mitologico "The Dark Knight Returns" per presentare un eroe invecchiato in un contesto distopico, in questo caso post-apocalittico. Wolverine è ormai un anziano agricoltore dedito alla famiglia, che stenta a sopravvivere in una remota zona dell'ovest degli Stati Uniti, in un mondo dove la guerra tra supereroi e supercattivi è stata vinta da questi ultimi. Traumatizzato da un evento misterioso, accorso durante la notte della catastrofe in cui i villain hanno trionfato, Logan non sfodera più gli artigli e cerca solo di mettere insieme i soldi per pagare l'affitto dovuto per i terreni che occupa, di proprietà del suo vecchio nemico Bruce Banner, ora anziano capofamiglia di un branco di aberrazioni mutanti figlie di incesto che spadroneggiano per le wasteland incontrollati. Ma forse l'occasione per il riscatto non è poi lontana: un Occhio di Falco cieco e disilluso lo ingaggia come scorta per portare uno strano McGuffin nel cuore dell'impero di Teschio Rosso, in cambio dei soldi necessari per garantire un avvenire sereno a lui ed alla sua prole.
Quella di Millar è una rilettura straniante del personaggio. Riprendendo la lezione del quasi omonimo Miller, posa lo sguardo su di una versione invecchiata del personaggio, che per forza di cose si è allontanato dal suo passato di eroe e, riluttante, torna a vestirne i panni; ma Wolverine non è Batman e la sua risoluzione di non essere coinvolto persiste sino alla fine della mini-serie; restando sempre in secondo piano, Logan attraversa il mondo devastato, incontra strani personaggi (tra cui l'avvenente ed infida figlia di Peter Parker) e finisce solo alla fine per farsi coinvolgere, concludendo la sua odissea con uno scontro definitivo con la sua vecchia nemesi Hulk. E straniante è anche lo stile, che fonde un incipit ed un'atmosfera melancolica ripresi dal capolavoro di Clint Eastwood "Gli Spietati" (1992) con dosi massicce di humor nero e splatter incontenibile, in un mix non sempre riuscito, che annacqua talvolta troppo i risvolti più drammatici in un bagno di grottesco spicciolo.
Una storia che su schermo difficilmente avrebbe funzionato, ma che evidentemente ha esercitato un'attrazione forte su Jackman e Mangold, che ne hanno ripreso alcune delle idee di base. Torna il futuro distopico, dove una strana malattia sembra aver colpito i mutanti portandoli sulla via dell'estinzione; così come l'idea di un Logan vecchio, solitario e rancoroso ritiratosi dalle scene in isolamento. Al posto di Clint Burton, troviamo il Professor X, mentre il McGuffin è un essere umano, quella X-23 figlia putativa di Wolverine che ne ha preso il posto nei comics.
Personaggio che al pari della Harley Quinn di casa DC, viene creato per un'incarnazione televisiva del fumetto, la serie "X-Men Evolution". Introdotta come Laura Kinney, X-23 scopre le sue origini di clone di Wolverine e fa subito presa sul pubblico, incantato dalla sua particolare psicologia. Il successo è tale che anche nelle testate a fumetti X-23 trova presto un suo spazio, affiancandosi all'altro erede di Wolverine, quel Daken suo figlio naturale avuto con Mariko Yashida del quale è quasi un opposto.
Riprendendo le tematiche crepuscolari dalla grapihic novel quasi omonima e il personaggio femminile dalla serie regolare, "Logan" si configura come la prima decostruzione filmica del personaggio. Il lavoro di base è comunque simile a quello visto in "Wolverine l'immortale": il protagonista è fallibile, privato dei suoi poteri (il fattore rigenerante sembra non funzionare più), calato in un contesto tutto sommato credibile benché ambientato nel futuro.
Cambio di toni rispetto ai roboanti esordi che si avverte sin dalla prima scena: Logan è vecchio e stanco e dinanzi al tentato furto delle ruote della limousine che usa per vivere, ricevere un sonoro pestaggio. L'imperativo non è sconfiggere il cattivo di turno, incarnato dai personaggi di Boyd Holbrook e Richard E.Grant, relegati per la maggior parte del tempo sullo sfondo ed usati unicamente come motore della vicenda; quanto sopravvivere e riscoprire quell'umanità andata perduta.
Logan è ora un figlio putativo di quello Xavier moribondo e al contempo padre putativo di una figlia mai voluta, forzato a ricostruire un amato e al contempo odiato nido familiare che lo allontani dalla miseria. La sua trasformazione da bestia ad essere umano, il suo cammino verso una insperata normalità e tutte le conseguenti difficoltà sono le vere "quest" dell'eroe.
La melanconia di parte di "Old Man Logan" ed il tono crepuscolare del western di Eastwood la fanno fanno da padrone; non c'è rievocazione nostalgica dei tempi andati: gli X-Men sono finiti e vivono solo nelle pagine dei fumetti, che in un inserto metareferenziale (purtroppo usato unicamente per fini strettamente narrativi) vengono adoperati per distruggere le speranze dei personaggi. E Jackman riesce davvero a trasmettere lo stato d'animo di un personaggio disilluso, al limite (dis)umano delle sue possibilità e sotto sotto spaventato dall'assenza di futuro.
La decostruzione può quindi dirsi riuscita ed affascinante, anche grazie alle magie del rating R: per la prima volta vediamo Wolverine trapassare i nemici ed usare gli artigli per mozzare arti; la sua rabbia ferina trova un giusta rappresentazione anche su schermo, riuscendo ad aggiungere davvero qualcosa ad un personaggio fino a ieri sin troppo edulcorato per i gusti delle masse.
Eppure c'è qualcosa in "Logan" che non gli permettere di raggiungere le vette dei migliori adattamenti supereroistici su schermo, ai quali ben avrebbe potuto ambire. Lo script è a tratti troppo veloce e confuso: tutte le tematiche trattate non trovano il giusto spazio, né tutti i personaggi il giusto approfondimento; come ai tempi del primo "X-Men" vengono tirati in ballo temi quali l'eugenetica, l'intolleranza e la sopraffazione, ma nessuno di questi ha il peso necessario per imprimersi a dovere nella testa dello spettatore. Allo stesso modo, il dramma umano di alcuni personaggi secondari viene relegato a puro orpello, prosciugandone le potenzialità. Persino alcuni passaggi narrativi risultano confusi, quasi come se la sceneggiatura filmata fosse in realtà una bozza di quella definitiva.
Il che non rende giustizia ai toni usati, né all'impegno del cast. Eppure, anche al netto di un tale neo, certo non da poco, "Logan" riesce a stupire per il modo in cui tratta il suo pubblico, a cui regala uno spettacolo adulto, scevro dai compromessi e dalle facilonerie di tanto cinema di intrattenimento a tema supereroistico, in una decostruzione che si sposta così dal personaggio al filone, riuscendo in larga parte a convincere.
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