domenica 24 settembre 2017

It comes at Night

di Trey Edwards Shults.

con: Joel Edgerton, Christopher Abbot, Carmen Ejogo, Riley Keough, Griffin Robert Faulkner, David Pendleton, Chase Joliet.

Usa 2017


















Con l'uscita di "It comes at Night" e la sua positiva accoglienza presso la critica (sopratutto americana), si è cominciato a parlare di un nuovo sottogenere, il "post-horror", riferendosi a tutte quelle pellicole che riprendono l'immaginario e le cadenze del cinema del terrore per imbastire storie metaforiche sulla condizione umana e sociale; il che è quantomeno ingiusto se si pensa che sono passati quasi 50 anni da quando il compianto George A.Romero ha creato "La Notte dei Morti Viventi", con il quale ha per la prima volta dimostrato (sopratutto in America) la possibilità di usare il registro di genere per creare perfette metafore della realtà; ed il suo lascito, ripreso subito dopo da autori del calibro di John Carpenter, Tobe Hooper, Wes Craven e David Cronenberg tra gli altri, è ancora oggi dotato di una potenza espressiva inusitata.
Il "post-horror", in fin dei conti, altro non è che la moderna declinazione del horror post New Wave anni '70. Pellicole come "The Babadook", "It Follows", "Get Out" e "The Witch", in fin dei conti, non hanno fatto altro che riprendere la lezione dei maestri del passato e riproporla in chiave moderna, adeguandola ai trend del cinema indie contemporaneo, primo fra tutti il necessario lavoro di sottrazione, sia in sede di sceneggiatura che di effetti, che porta alla creazione di uno stile immediatamente riconoscibile, con tutte le conseguenze di sorta.
"It comes at Night", alla fine dei conti, è il perfetto esponente di questo trend. Ma è necessario fare una precisazione: benchè venduto come un horror tout court, il film di Trey Edwards Shults ha poco o nulla a che spartire con il genere in senso stretto, ancora meno di altre opere prodotte dalla A2 e dalla Animal Kingdon. E' più altro assimilabile al thriller sulla paranoia, avvicinandosi più a pellicole come "The Crazies" o al "The Divide" di Xavier Gens.




Il setting è una post-apocalisse inedita, con la peste bubbonica che affligge il Nord America. Nei boschi, due famiglie si incontrano e sono forzate alla convivenza, con tutte le conseguenze del caso.
Il punto di vista principale è quello del giovane Travis (Kevin Harrison Jr.), testimone prima della dipartita dell'amato nonno, poi dell'arrivo di una famiglia di estranei, la cui madre, la giovane e bella Kim (Riley Keugh) ne turberà da subito i sonni. Ma più che la gelosia, a strisciare sottopelle è la paura del contagio, la paranoia verso un'ignota possibilità di morte. Ignota ma onnipresente.




Il terrore del diverso, dell'estraneo come untore e portatore di un male invincibile ed inevitabile, non è una metafora; o, per meglio dire, la tematica non è narrata attraverso una metafora, ma messa su di un piano narrativo primario. La tensione è diretta, non ci sono simbolismi né duplici o triplici piani di lettura: tutto è pensato ed eseguito per catturare immediatamente l'attenzione.
Shults riesce a tenere bene la narrazione, a creare la giusta tensione quando serve, ma si perde in inutili sequenze oniriche che non aggiungono nulla, se non qualche jump-scare a buon mercato, che risultano fuori luogo in una pellicola che vorrebbe fare della sola tensione il suo punto di forza.




Tensione che tiene quanto basta, che riesce a spiazzare nel crudo finale. Ma il lavoro di sottrazione questa volta non paga. 91 minuti sono forse troppi per narrare una storiella semplice e già vista. Regia e cast rendono la visione non tediosa, ma alla lunga ci si accorge di come il tutto abbia tutto sommato il fiato corto.
Non un brutto film, sia chiaro: "It comes at Night" è una pellicola tesa e riuscita; solo troppo esangue per essere davvero memorabile.

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