giovedì 30 novembre 2017

La Guerra dei Mondi

War of the Worlds

di Steven Spielberg.

con: Tom Cruise, Dakota Fanning, Justin Chatwin, Tim Robbins, Miranda Otto, Rick Gonzalez.

Fantascienza/Catastrofico

Usa 2005















---CONTIENE SPOILER---


Pubblicato per la prima volta in quattro parti nel 1897, "La Guerra dei Mondi" di H.G. Wells è l'opera più influente dello scrittore più influente degli ultimi duecento anni. Vero e proprio creatore del genere fantascientifico (assieme a Jules Verne), con questo suo incredibilmente visionario exploit Wells immagina per la prima volta nella Storia il contatto tra l'essere umano ed una razza aliena, con conseguenze catastrofiche.
Inutile stare a sottolineare come nel corso di ben 120 dal suo esordio, "La Guerra dei Mondi" sia stato alla base di praticamente tutto il cinema fantascientifico, sia fantastico che hard sci-fi, concernente l'incontro con extra-terrestri. Nè appare utile ricordare il mitologico adattamento radiofonico di Orson Welles (nome omen) del 1938, a cui seguirono ondate di isteria collettiva dovuta alla forma data dal grande artista al racconto, ossia quello di un finto radiogiornale che commentava lo sbarco alieno e i conseguenti attacchi come descritti nel libro.



Romanzo che pur non invecchiato benissimo, trova ancora oggi motivo di interesse anche non semplicemente "archeologico"; efficacissima è la descrizione dello scenario post apocalittico, così come la caratterizzazione dei personaggi, con il protagonista vero e proprio doppio di H.G. Wells ed un paio di comprimari, incontrati a storia inoltrata, dall'indole psicologica credibile: un predicatore traumatizzato dall'invasione, che vede i marziani come emissari dell'Inferno, ed un soldato impazzito che farnetica di una possibile resistenza contro la soverchiante forza aliena, scavando un tunnel che non conduce da nessuna parte.
Ancora apprezzabile è la descrizione degli alieni, con i loro celebri "tripodi", veicoli xenoformi giganteschi che distruggono tutto quello che si trovano innanzi senza troppo sforzo, personificazione perfetta della paura ancestrale di un'apocalisse priva di senso e talmente inarrestabile da poter essere solo subita passivamente.
Persino la trovata di risolvere il tutto per il tramite dei batteri terrestri che attaccano l'organismo alieno, non immunizzato proprio perchè non ha mai vissuto sulla Terra, benchè figlia di una cognizione scientifica oramai superata (possibile che questa civiltà in grado di viaggiare per migliaia di anni luce e costruire armi di distruzione di massa invincibile non abbia mai inventato sonde in grado di rilevare la composizione dell'ecosistema terrestre?), se inscritta nel periodo di pubblicazione della storia, appare a dir poco geniale.




L'eredità di H.G. Wells è stata raccolta dal cinema americano sin dalla fine degli anni '40. Con l'avvio del progetto spaziale e sopratutto a causa dell'inizio della Guerra Fredda, la storia di un'invasione da parte di esseri alieni venuti dall'ignoto e che avviene di punto in bianco ed annichilisce ogni forma di vita in pochi istanti, diviene la perfetta incarnazione della paranoia dell'Olocausto Nucleare. Tutta la produzione fantascientifica degli anni '50 si basa sulla rielaborazione del canovaccio de "La Guerra dei Mondi" o di altri scritti ispirati, in modo diretto o meno, ad esso; senza contare il primo adattamento cinematografico del romanzo originale, datato 1953, che trasporta la storia in epoca contemporanea e la infarcisce con forti metafore anticomuniste, cambiandone in parte trama e caratterizzazione dei personaggi. Versione giustamente divenuta di culto e anch'essa invecchiata non benissimo, ma lo stesso ancora affascinante, anche grazie all'ottimo design delle navicelle aliene, non più tripodi ma veri e propri dischi volanti, forse a causa della difficoltà insita nel creare un movimento credibile con gli SFX dell'epoca.




Ed è proprio l'estrema adattabilità dell'assunto di base a consentire a "La Guerra dei Mondi" di avere una nuova incarnazione oltre 50 anni dopo la prima; Spielberg, coadiuvato dal fido David Koepp alla sceneggiatura, ha un'intuizione geniale: trasformare l'invasione dei Tripodi in una metafora potente delle paure post 11 Settembre. Adattamento che trova la sua forza in un immaginario a dir poco sconvolgente, il più forte e crudo mai portato in scena dal Re Mida di Hollywood, persino rispetto a quello di "Indiana Jones ed il Tempio Maledetto".



Cadaveri che galleggiano sul letto di un fiume nella tranquillità della campagna nordamericana, civili innocenti inceneriti in un batter di ciglio, esseri umani trasformati in concime quando non travolti da macchine torreggianti; le immagini de "La Guerra dei Mondi" di Spielberg sono un vero e proprio incubo ad occhi aperti, la rappresentazione lucida e diretta di una "fine" non sospettata, né comprensibile; non c'è spiegazione effettiva per la violenza dei marziani, tantomeno per la loro intolleranza verso forme di vita inferiori; gli esseri umani sono come vermi al loro confronto e come vermi vengono trattai.
La mano di Spielberg, come sempre quando si tratta di dirigere una pura pellicola di genere, è fermissima: la tensione è sempre alta, tenendo lo spettatore costantemente sul filo del rasoio per poi esplodere in jump-scare azzeccatissimi o nelle immagini disturbanti della catastrofe, rese ancora più spaventose dalla fotografia di Janusz Kaminski, che le prosciuga di ogni colore e le sgrana per ottenere un effetto realistico, al punto che a volte sembra davvero di assistere ad un documentario, similmente a quanto fatto da Orson Welles con il mezzo radiofonico.
Se nella messa in scena, "La Guerra dei Mondi" è un'opera potente e riuscita, purtroppo altrettanto non si può dire per la narrazione in sè, per colpa di alcune scelte di trama e casting a dir poco disastrose.



Al bando scienziati e scrittori, il punto di vista sull'invasione questa volta viene cucito addosso a Ray Ferrier, operaio divorziato e genitore insicuro, sorta di working class hero che passa dall'essere un irresponsabile ad una sorta di piccolo eroe suo malgrado. Centro emotivo e drammatico non è tanto la distruzione della civiltà, quanto la disgregazione del nucleo familiare: a Spielberg non interessano più di tanto le sorti del mondo, quanto quelle della base primigenea della società. Il che porta ad un primo problema.
La riduzione del punto di vista a quello dei soli uomini medi restringe troppo la vastità della vicenda: non si percepisce mai davvero la scala globale dell'invasione, nonostante l'atmosfera pesante e violenta. Ma, ancora di più, il focalizzarsi totalmente sui problemi privati di un uomo che di punto in bianco si trova catapultato in una situazione di pericolo totale appare pretenzioso: non si riesce davvero a parteggiare per questo piccolo uomo ed i suoi bisogni quando l'intera razza umana è in pericolo.
Quel che è peggio, ogni finalità drammatica viene annichilita da un happy ending zuccheroso in cui ogni singolo conflitto trova risoluzione, il protagonista cresce, il figlio dato per morto si salva per magia, la bambina sopravvive e persino quel nucleo familiare della ex moglie tanto detestato si rivela caldo ed accogliente.




Ma, ancora di più, l'accoppiata "invasione aliena-nucleo familiare" finisce inevitabilmente per portare alla mente altri lavori di Spielberg, primo fra tutti "Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo", il cui confronto con "La Guerra dei Mondi" è davvero inevitabile.
Ci si chiede, innanzitutto, come mai Spielberg abbia voluto dirigere un film sulla prima e più celebre invasione aliena, caratterizzando quindi gli extra terrestri come terroristi privi di empatia, quando proprio "Incontri Ravvicinati" prima e poi "E.T." sono opere nate proprio in opposizione al lascito di Wells; cambio di mentalità? Pura occasione per fare soldi? Scelta dettata dal cambiamento geo-politico? Impossibile saperlo con certezza.
Ancora più distante appare poi il rapporto tra l'autore ed il concetto di famiglia rispetto al film del '77; laddove lì la famiglia era un peso, una prigione che impediva all'individuo di realizzarsi, qui, come del resto in tutti gli altri film di Spielberg, la famiglia è nido essenziale, valore principale per ogni essere umano. Tant'è che persino la figura dell'artigliere paranoico viene rimpiazzata dal personaggio di Tim Robbins, folle perchè ha visto tutti i suoi cari morire. Inversione di tendenza che dimostra come Spielberg sia in grado di trasformarsi, di abbandonare una visione in favore di un'altra pur di far contento il suo pubblico: laddove il cinema americano degli anni '70 era figlio della controcultura e della contestazione dei valori fondamentali della società occidentale, quello dei primi anni 2000 è ai limiti della propaganda neo-con repubblicana, di quel ritrovato senso di patriottismo ed unione generato a seguito della tragedia del World Trade Center. Alla faccia della coerenza.




Ad affossare definitivamente la visione è complice anche la presenza di un attore quale Tom Cruise, credibile nei panni di un proletario come lo sarebbe Denzel Washington in quelli di un gerarca nazista: con il suo mascellone squadrato, il fisico da fotomodello agghindato con un costoso giubbotto da motociclista mentre scorrazza su di una Mustang truccata sgommando a destra e a manca, Cruise è lontano anni luce dall'essere identificabile con il classico "Joe the Plumber" yankee, figuriamoci come devoto padre di famiglia.
Quel che è peggio, la sua canonica espressione blanda nelle situazioni drammatiche o di pericolo è del tutto fuori luogo; quando poi si trova a dividere lo schermo con una Dakota Fanning fin troppo espressiva e con un giovane Justin Chatwin sottilmente empatico, su tutto cala un alone di ridicolo involontario che ammazza ogni sospensione dell'incredulità. Il che risulta anche più fastidioso quando ci si accorge che nelle scene più intime, Cruise funziona dovere e che la dicotomia nella sua performance tra queste ultime e quelle di distruzione di massa è dovuta alla cattiva direzione di Spielberg.




"Malriuscito" è il termine che meglio descrive questo ennesimo exploit di genere del Re Mida di Hollywood, che non solo contraddice alcuni dei suoi film più amati per il gusto di farlo, ma riesce anche a vanificare ogni forma di coerenza all'interno di un adattamento mal concepito e peggio eseguito, che trova la sua forza nelle sole, sconvolgenti, immagini, come un qualsiasi blockbuster estivo, piuttosto che come nell'opera di uno dei registi più celebrati della Storia del Cinema.

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