di François Truffaut.
con: Charles Denner, Brigitte Fossey, Nathalie Baye, Leslie Caron, Nelly Borgeaud, Geneviéve Fontanel, Valérie Bonnier.
Francia 1977
Un'ossessione, quella di Truffaut, un'immagine ricorrente che catalizza la sua attenzione ed i suoi desideri consci ed inconsci; quella della donna, del corpo femminile, dell'idea della donna o di un particolare tipo di donna, dal carattere forte e dispotico; ad ogni modo, la donna, con la sua innata sensualità, è sempre stata al centro della sua opera. E con "L'Uomo che amava le Donne" è al suo rapporto con queste che pensa, creando la sua opera più vicina ad un'autobiografia; lontano, però, da ogni forma di idealizzazione delle proprie inclinazioni ed anzi velando il tutto con un'inavvertibile ma onnipresente coltre di tristezza.
Bertrand ha il volto di Charles Denner, ma è ricalcato su Truffaut. Un uomo dall'apparenza semplice, di una bellezza virile di certo non travolgente, non da divo, ma al contempo carismatico, magnetico; un uomo che nell'approcciarsi all'oggetto del desiderio ha sempre un'espressione greve e sofferente: in molte gli confessano come abbiano provato un misto tra attrazione e pietà nel vederlo. Eppure, questa sua malinconia non gli impedisce di saltare da una donna all'altra, di cambiare amante come cambia cravatta; non è un uomo che cerca l'amore, è un uomo innamorato dell'amore o, per meglio dire, di una propria idea dell'amore: cerca in varie partner quello che solitamente un uomo cerca in una sola donna. Ed ama ognuna di queste con trasporto, anche se per poco tempo.
Il paragone con Casanova, pur schivato dall'autore nei dialoghi, è in verità azzeccato: come il grande seduttore veneziano, anche Bertrand non vede la donna come mero oggetto sessuale, nè come il premio per una caccia, bensì come un idolo, un qualcosa da conquistare ed amare, sia fisicamente che sentimentalmente.
Sentimento che brucia in pochi istanti; dacchè innumerevoli sono le "conquiste". E Truffaut non cela mai la sua passione sfrenata per il corpo femminile, in particolare per le gambe, definite "il compasso per misurare il mondo", centro gravitazionale della sua attenzione.
L'immedesimazione con il personaggio è totale, ancora più di quanto accadeva con il suo "quasi-doppio" Antoine Doinel; l'autore gli resta sempre vicino, adoperando questa volta una messa in scena scarna, usando inquadrature strette, girando quasi tutto il film in interni ed adoperando quasi sempre semplici campi e controcampi per portare in scena i dialoghi. La narrazione in sè stessa, composta al solito dagli "sketch", ha un'inedita forma ad incastro, più complessa rispetto a quella di "Mica Scema la Ragazza!", che invece seguiva un percorso bene o male lineare. La storia di Bertrand, al pari della sua vita sentimentale, è frammentaria, un continuo andirivieni tra passato e presente, una serie di piccoli e grandi flashback all'interno di uno più grande, lungo tutto il film, che si apre con l'epilogo, con il funerale dell'Uomo che amava tutte le donne.
La morte è l'unica fine possibile per il seduttore; una morte dovuta, paradosso puro, per la solitudine; benchè Bertrand non sia uno sciupafemmine, né un misogino, benchè non sia un uomo a cui piace usare le donne per i propri fini egoistici e corporali (a differenza di un altro grande seduttore filmico, l' "Alfie" di Michael Caine) è comunque contrario ad ogni unione. E si ritrova così, sotto le feste natalizie, totalmente solo, abbandonato, in un modo o nell'altro, da tutte quelle donne che così intensamente e brevemente ha avuto.
Ma Truffaut non vuole condannare la sua (e la propria) condotta libertina, solo riflettere sulla tristezza che si cela dietro un comportamento in apparenza frivolo.
La sofferenza di Bertrand ha radici profonde, causate in primis da quella figura matriarcale dalla libidine incontenibile, che si divertiva ad ignorarlo, senza mai dargli quell'affetto primigeneo di cui aveva bisogno.
Tristezza acuita dalla rottura con Vera, forse l'unico grande amore della sua vita, che reincontra per puro caso a Parigi e tramite la quale confessa allo spettatore come l'abbandono lo abbia portato ad una nera depressione.
Il legame affettivo, più che schifato, viene rescisso, nel corso della relazione, forse proprio per evitare tale dolore. Meglio che la fiamma della passione bruci velocemente, piuttosto che esplodere portando con sè ogni forma di felicità. Tanto che persino la relazione con la passionale Delphine, ideale nemesi di Bertrand, dall'appetito insaziabile e dalla gelosia incontenibile, finisce la prima volta con una tragedia, ossia il tentato omicidio del di lei marito, per poi sfumare in una relazione totalmente fisica, che trova nel puro affetto carnale l'unica possibile chiusura.
E Truffaut chiude il film con un interrogativo straziante: quanto felice era in verità questo seduttore? Non è dato saperlo: alla fine quel che resta delle sue avventure è un libro di memorie, un "figlio surrogato" unica testimonianza tangibile della sua esistenza; senza sbilanciarsi, con un'onesta di fondo incredibile, sembra voler chiedere allo spettatore di esprimere un giudizio definitivo su di un personaggio impossibile da condannare, nè da assolvere; un personaggio che trova nella coerenza del suo stile di vita e nella tristezza incurabile le sole certezze.
EXTRA
"L'Uomo che amava le Donne" è, assieme a "La Mia Droga si chiama Julie" l'unico film di Truffaut ad essere stato oggetto di remake. Nel 1983, niente meno che Blake Edwards ne ha infatti diretto una versione americana che, pur contando sul tocco del grande regista ed un cast che include Burt Reynolds, Julie Andrews e Kim Basinger, non ha di certo la profondità dell'originale, sostituendo l'indole dolente con un umorismo farsesco che appiattisce storia e personaggio.
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