venerdì 11 dicembre 2020

Il Padrino- Coda: La Morte di Michael Corleone

The Godfather Coda: The Death of Michael Corleone

di Francis Ford Coppola.

con: Al Pacino, Andy Garcia, Diane Keaton, Talia Shire, Sofia Coppola, Eli Wallach, Joe Mantegna, Geroge Hamilton, Bridget Fonda, Raf Vallone, Donal Donnelly, Helmut Berger, John Savage, Franco Citti, Richard Bright, Mario Donatone, Vittorio Duse, Enzo Robutti.

Drammatico/Gangster

Usa 1990-2020








Ultimata, probabilmente, la carriera di filmmaker oramai da un decennio, con la sua ultima fatica che forse resterà lo sperimentale "Twixt", oltre che l'esperimento di "Distant Vision" e nella speranzosa attesa del fin troppo rimandato "Megalopolis", sembra che Francis Ford Coppola voglia rimettere mani ad alcuni dei suoi film più celebri. E' successo con "Apocalypse Now", la cui Final Cut è uscita circa un annetto fa, succede ora con "Il Padrino- Parte III", conclusione della saga della famiglia Corleone che, all'epoca della sua uscita, non raccolse i consensi auspicati e che tutt'ora si pone come il capitolo meno riuscito della trilogia.



Giudizio che, tuttavia, non deve trarre in inganno. Nella sua forma originaria, "Parte III" è comunque un affresco riuscito della collusione tra Stato e Cosa Nostra, con le vicende del don Michael Corleone, in precedenza solo ispirati a fatti reali, che ora si riallacciano a doppio filo alla realtà, allo scandalo del crack del Banco Ambrosiano e con la morte di Roberto Calvi mostrata in modo diretto come conseguenza dell'interconnessione tra il Vaticano e gli altri poteri forti.
Ciò che distanziava quella prima versione dai due capolavori precedenti era un tono a tratti troppo dimesso, che sembrava non ambire alla portata epica della saga per focalizzarsi più sui singoli personaggi, schiacciando in parte le ambizioni del racconto. Senza contare la pessima prova di Sofia Coppola, chiamata a supplire Winona Ryder che, datasi letteralmente alla fuga, aveva lasciato Coppola con un pugno di mosche in mano; cosa che scontentò parte del cast e che, contrariamente a quanto pur sostenuto, non fu dovuto ad una diatriba con il regista, ma ad un esaurimento che la colpì poco prima dell'inizio delle riprese. Altro grande assente è Robert Duvall ed il suo Tom Hagen, lasciato fuori dallo script perché la Paramount non acconsentì ad un aumento di salario per l'attore. E sempre la mala gestione della casa di produzione sembra essere dietro alla cattiva riuscita di tutta l'opera; stando a quanto dichiarato da Coppola, i produttori consentirono la realizzazione solo se la sceneggiatura fosse stata finita in 3 mesi, metà del tempo richiesto dall'autore e da Mario Puzo, con la conseguenza che l'intera produzione è stata organizzata nel breve arco di appena 6 mesi, il tutto per consentire l'uscita del film a cavallo del periodo natalizio.
Il nuovo montaggio ovvia ad alcune inconsistenze della sceneggiatura e riarrangia gli eventi, rendendo la narrazione più fluida e compatta. Restano quasi intatti sia gli alti che i bassi presenti nel primo montaggio.


La differenza sostanziale rispetto al montaggio originale risiede nell'epilogo: la morte di Michael Corleone, evocata nel titolo, non avviene; il padrino, ormai vecchio, continua a sedere all'aperto, mentre un testo sottolinea come l'espressione "Cient'anni!" significa "per lungo tempo"; Michael non muore, continua a soffrire; questo perché già all'inizio del film è morto. Lo ritroviamo, difatti, una ventina d'anni dopo la conclusione di "Parte II" oramai vecchio e stanco, un uomo dal potere inimmaginabile e che sta per divenire assoluto, ma oramai svuotato di ogni vitalità. Le conseguenze dell'uccisione di Fredo e dell'abbandono di Kay e dei figli lo hanno stremato nel profondo e ora non fa che trascinarsi tra i corridoi del potere. Coppola sottolinea questa sua disfatta interiore insistendo sulla fisicità di Al Pacino, sul suo corpo piccolo e curvo e lasciando parlare il personaggio quasi sempre sottovoce (e come sempre un plauso va fatto al compianto Ferruccio Amendola per essere riuscito a mantenere lo stesso tono nella versione italiana), riuscendo a restituire in toto il suo dramma.


Il potere ora viene posseduto da tre categorie: lo Stato, Cosa Nostra e la Chiesa. L'intreccio è totale; così come la Cupola opera nell'interesse di tutte le famiglie, allo stesso modo i tre poteri si vengono incontro nell'interesse comune. In questa nuova versione, il racconto si apre proprio con l'udienza tra Michael e il vescovo Gilday affinché il primo si carichi del debito di circa 700 milioni di dollari contratto dal Vaticano, preludio all'ingresso dei Corleone nell'Internazionale Immobiliare gestita tramite il Banco Ambrosiano. Il racconto di finzione ispirato ad eventi reali si riallaccia direttamente con la cronaca e i personaggi divengono doppi delle controparti reali, con il banchiere Keinszig di Helmut Berger esplicitamente ricalcato su Roberto Calvi, don Lucchesi come controparte fittizia di Giulio Andreotti e l'apparizione di Giovanni Paolo I e della sua misteriosa morte. Se già in precedenza si affermava come politica e mafia fossero uguali, ora il tutto si estende al potere ecclesiastico, girando il coltello in una piaga vergognosa ed espandendo il range anche oltre lo schermo. La ricostruzione degli eventi, pur romanzati, è certosina e Coppola e Puzo non si tirano indietro dinanzi a nulla; tant'è che il Vaticano arrivò a negare il permesso per girare negli interni reali della Santa Sede, prova di come quei fatti, resi pubblici, fossero, allora come ora, motivo di vergogna.


La componente più strettamente drammaturgica vede il vecchio padrino dover affrontare nuovi nemici, prendendo sotto la propria ala una nuova generazione, più spietata e violenta, incarnata dal personaggio di Vincent Mancini, figlio naturale di Santino, mentre un ruolo più centrale negli eventi viene ricoperto da Costanza, non più sorella da proteggere o rimproverare, ma vera donna di mafia che assiste Michael e media il suo rapporto, da principio burrascoso, con Vincent. La nuova generazione vede anche come protagonista il personaggio di Joey Saza, controparte fittizia di John Gotti, il quale non ha onore e arriva a dimenticare la tradizione in nome degli affari, tanto da arrivare a spacciare droga nel proprio quartiere.
Il potere posseduto dal Padrino, dal canto suo, sta per divenire assoluto, ma lui cerca di redimersi restando lontano dalle faide, cosa che ovviamente non può avvenire: il potere vero necessita affermazione e prevaricazione, pena la perdita, anche violenta, dello stesso; non può esserci redenzione o riscatto, solo una punizione estrema (la perdita della famiglia) che non porta conforto e anzi finisce per annichilire definitivamente la persona dietro il sovrano.


Se lo story-arc di Michael è avvincente, riuscito e compiuto, altrettanto non si può dire per quello di Vincent; troppo meccanica la love-story con la cugina Mary, così come la descrizione della sua ascesa. Molte delle sue azioni vengono lasciate fuori campo, come la scoperta dei piani di Don Lucchesi, in realtà essenziale per la narrazione. Difetto certamente dovuto all'impossibilità di rifinire lo script a causa dei tempi stretti di produzione.
Il tono, d'altro canto, è buono; il parallelo tra l'epopea dei Corleone e la tragedia ora passa attraverso l'opera, in particolare la "Cavalleria Rusticana" di Mascagni, usata come calco per la storia; ma quando, nell'ultimo atto, Coppola pone tale parallelo in modo esplicito, la sua mano si fa troppo pesante, con la riproposizione della tragedia su entrambi i lati del palco in modo sin troppo ovvio e macchinoso.
Manca, per il resto, l'enfasi necessaria per creare il tenore giusto, con gli eventi che si susseguono in modo quasi meccanico; persino l'uso del montaggio alternato appare incapace di adeguarsi alle necessità del racconto.


Se questa nuova versione non rimedia ai difetti intrinseci all'opera, quantomeno la rende più solida, ovviando in parte alle cadute di tono; quelle di stile restano, ma la colpa non può essere attribuita in toto agli autori. "Il Padrino- Parte III" resta così il capitolo minore, ma la sua riproposizione come "Coda" lo rende in parte meglio riuscito, configurandosi come una conclusione di un'opera monumentale, screziata ma tutto sommato efficace.

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