con: Jodie Comer, Adam Driver, Matt Damon, Ben Affleck, Alex Lawther, William Houston, Marton Csokas, Tallulah Haddon.
Usa, Regno Unito 2021
Dinanzi al flop di "The Last Duel", Ridley Scott ha commentato, stizzito, come sia colpa dei giovani e dei loro smartphone; il che, sommato alla polemica contro i film Marvel d'ordinanza, non ha certo giovato alla reputazione del filmmaker, il quale, per non farsi mancare nulla, ha anche inveito contro un critico reo di averlo stroncato. Un comportamento che di certo è criticabile, ma forse comprensibile, visto come quest'ultima fatica del cineasta inglese è una delle sue più riuscite, elegante, affascinante e caustica.
Nella seconda metà del XIV secolo, il nobile Jean De Garrouges (Matt Damon) prende in sposa la bellissima Marguerite de Thibouville (Jodi Comer), la quale affascina l'amico/nemico Jacques Le Gris (Adam Driver); alle accuse di stupro mosse dalla donna verso quest'ultimo, viene istituito un duello per stabilire la verità, la quale muta in base al punto di vista dei personaggi.
Il punto di ispirazione è il capolavoro di Akira Kurosawa "Rashomon": anche lì al centro di tutto c'erano tre differenti versioni di un'accusa di stupro, solo che qui il punto di vista sui fatti non è narrato dai personaggi, ma ripreso direttamente dalla loro esperienza. Ma a Scott (e all'autore del romanzo di base Eric Jager) non interessa tanto la verità sui fatti per sè stessi. L'atto dello stupro non viene negato neanche nella versione dell'accusato, né addolcito. Ciò che conta è il modo in cui ciascuno vede la donna: Jean come moglie, Jacques come preda, Marguerite, custode della verità, come vittima.
La donna è ancella di supporto per il marito, angelo del focolare, supporto morale che lo aiuta a sopportare i doveri dell'uomo e i suoi doveri di perno su cui la società si basa.
La donna è preda da concupire, da sottomettere, da conquistare con la forza anche quando oggetto degli amorosi sensi. Nell'atto della congiunzione, non c'è differenza tra una dama ed una puttana.
La donna è la vittima per eccellenza, l'ultima ruota del carro in una società governata dagli uomini, ma di fatto gestita dalle donne, le quali attendono i doveri lavorativi in assenza del "padrone" e quelli coniugali, anche quando non ne hanno volontà.
Nei confronti, soprattutto durante il capitolo dedicato a Jacques, Scott si sofferma sulle reazioni di chi circonda i protagonisti, quei testimoni silenziosi chiamati ad assistere allo scontro ideale e fisico tra i personaggi, lasciando alle loro espressioni esterrefatte ogni commento sullo stesso. Se già durante i primi capitoli il messaggio femminista è forte, nel terzo diventa dirompente. Limitandosi a mostrare il ruolo che la società del Basso Medioevo riservava alle moglie, si riflette il ruolo che queste hanno nella società odierna. Qualche metafora risulta forzata, come quella della giumenta, ma in generale si riesce davvero ad empatizzare per una categoria che, all'epoca, viveva in subalternità, priva di una propria voce e di importanza effettiva sul piano politico-sociale.
Una forma di femminismo che riesce a non essere mai petulante o pretenzioso, sicuramente poco originale, ma quantomai efficace.
Nella messa in scena, Scott abbandona gli anacronismo che lo hanno reso famoso ed usa un registro classico e realistico. La ricercatezza dei costumi è incredibile, così come la riproposizione delle usanze e dei modi. L'uso di scenografie naturale, con location al posto dei set con green screen, concede un'aura tangibile alle immagini, splendidamente immortalate dalla fotografia del sempre bravo Dariusz Wolski.
La costruzione delle scene d'azione è meno caotica di quanto fatto dall'autore in passato; il duello, cuore del film, non ha certo la perfezione formale di quelli visti nell'esordio "I Duellanti", ma ha comunque una forza unica, data dalla forte fisicità e dalla coreografia puntuale, ottimamente trasposta grazie ad un montaggio più lineare di quanto era lecito aspettarsi.
Il tocco di classe definitivo lo da il cast: Adam Driver è solido come sempre, Ben Affleck si diverte un mondo a giogioneggiare, mentre Matt Damon si riscopre quanto mai espressivo e ispirato. Ma su tutti domina Jodie Comer, in una performance forte e sentita.
Inutile dire che il flop sia stato immeritato. E' vero che Scott ha diretto un film antispettacolare, del tutto lontano dalla sensibilità del pubblico moderno, ma la capacità espressiva che qui dimostra non si vedeva nel suo cinema da anni. Senza contare come la messa in scena verosimile e quadrata fa dimenticare le orride ricostruzione para-storiche di "Le Crociate" e "Robin Hood".
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