giovedì 16 dicembre 2021

E' stata la mano di Dio

di Paolo Sorrentino.

con: Filippo Scotti, Toni Servillo, Teresa Saponangelo, Luisa Ranieri, Renato Carpentieri, Marlon Joubert, Massimiliano Gallo.

Drammatico

Italia 2021














Arriva anche per Sorrentino il momento della ricerca del tempo perduto, dell'amarcord, della rielaborazione del ricordo del passato in forma filmica. Una nuova maturità artistica? Può darsi, fatto sta che "E' stata la mano di Dio" è un film diverso dagli altri nella sua filmografia, un film dove la polemica lascia spazio all'elegia, un film intimista e dal tono dimesso, sicuramente piccolo, ma solo nel registro.


Napoli, anni '80. La vita dell'autore prende la forma di quella del giovane Fabietto Schisa (Filippo Scotti), ragazzo dalle vaghe aspirazioni, membro di una grande e affiatata famiglia, la cui vita viene sconvolta da un lutto improvviso.
Sorrentino scinde idealmente il racconto in due parti, con la tragedia a fare da spartiacque. La prima parte è disimpegnata, simpatica. Qui ritorna il suo gusto per i personaggi sopra le righe e le situazioni surreali, con Fabietto alle prese con la provocante zia e le riunioni di famiglia quasi grottesche. I personaggi sono al solito caricaturali, ma anche con quelli più negativi, il tratto con cui vengono dipinti questa volta non è del tutto negativo, non si cerca la polemica tramite la raffigurazione ostile di archetipi o stereotipi. Lo sguardo è sempre benevolo, quello di un adulto che ricorda un passato che ha assimilato e superato.


Ed è nella prima parte che si affaccia il fantasma di Fellini. Questa volta, Sorrentino quasi da corpo al suo nume tutelare e si diverte a ricreare una serie di provini con le famigerate "facce" felliniane. Ma il suo amarcord, questa volta, si tiene più ancorato al veritiero, lontano dalla rielaborazione fantastica. Ecco così affacciarsi un altro nume tutelare, quello di Sergio Leone, della sua "ricerca del tempo perduto" proustiana del capolavoro "C'Era una volta in America", questa volta ancorato totalmente ad un racconto reale e quanto più veritiero possibile. L'assurdo, di fatto, è confinato al prologo e all'epilogo e quest'ultimo, più che al grottesco, si rifà al simbolismo classico, con un omaggio questa volta diretto nuovamente a Fellini e al suo "I Vitelloni", ossia l'opera il cui il grande artista dava una forma più terrena e verosimile al ricordo.


Il ricordo è quello della Napoli degli anni '80, ovviamente, dei sussulti per Maradona, del suo culto ai limiti del religioso e della forza salvifica del caso o del destino ad egliassociato. E se nella prima parte Sorrentino gioca ancora con le inquadrature e qualche movimento di macchina (senza però mai oltrepassare il limite del virtuosismo), nella seconda il tono si calma, si fa sommesso, il discorso diventa sussurro, il ricordo si fa amaro, lo stile, di conseguenza, dimesso.
La ricerca del tempo perduto si fa romanzo di formazione, presa di coscienza per protagonista di sé stesso e del suo futuro, oltre che dello stato delle cose. Arriva così la figura di Antonio Capuano, quasi una coscienza del Sorrentino maturo, che sfata ogni mito possibile e immaginabile sul cinema e l'arte e si fa confessione diretta al pubblico, dichiarazione di intenti di un uomo che decide di mettere nero su bianco il suo pensiero, forse il pezzo di cinema più autentico di tutta la filmografia dell'autore.


La Napoli di Sorrentino è, per forza di cose, diversa dalla Roma vista in "La Grande Bellezza"; Roma era la città magica e decadente, il luogo che ha accolto un autore oramai maturo; Napoli è un'entità viva, che ha i propri santi protettori, i propri miti e le proprie usanze. Ma, ancora, Sorrentino non calca la mano nella sua descrizione, non spettacolarizza gli ambienti o le vedute, lasciando che la bellezza filtri da inquadrature misuratissime, colpi d'occhio rapidi e forse per questo incredibilmente incisivi. E' la Napoli del ricordo, ovviamente, e dell'esperienza personale, dove anche i criminali sono brave persone e non si usa mai la parola "Camorra"; ma non per questo, una Napoli altrettanto autentica, dipinta in modo amorevole e a suo modo sincero.


Messa da parte l'ossessione per la forma, il cinema di Sorrentino trova una slancio del tutto personale. "E' stata la mano di Dio" non è, forse, il capolavoro tanto sbandierato, ma con il suo tono pacato e la sua storia intimista, è tra le prove più riuscite dell'autore napoletano.

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